L’approccio si sta facendo strada nella scena mondiale della ricerca dei talenti. Ecco le riflessioni di Fabiana Andreani, una delle massime esperte italiane in orientamento e carriera, seguitissima anche sui social
Un’interessante prospettiva per far fronte alla lotta per i talenti. Nella mia vita professionale ho almeno indossato tre pelli. Sono partita come dottoranda in linguistica giapponese; dall’interesse per le parole sono passata a quella per le persone e la loro carriera con più di dieci come training manager nelle maggiori business school italiane; poi ho unito i due fil rouge di comunicazione e sviluppo di carriera nella mia attuale attività di content creator. Attualmente lavoro fianco a fianco con chi fa talent attraction e employer branding, ruoli che non mi dispiacerebbe ricoprire nel futuro.
Tutto questo per dire cosa? Che se mi fossi fermata ai titoli, la mia carriera sarebbe stata limitata all’accademia. Quando invece mi sono concentrata sulle competenze, ho abbracciato ruoli che nemmeno avrei immaginato negli anni universitari. Ovviamente non è mancata una integrazione mirata su alcuni strumenti che mi servivano al momento ma i più li ho imparati sul campo.
Quello di concentrarsi sulle competenze e meno sui titoli o sulle carriera formali lineari è l’approccio che si sta facendo avanti nella scena mondiale della ricerca dei talenti. Il motivo è semplice e ne parla chiaramente il report di LinkedIn “Economic Graph Skills-First: Reimagining the Labor Market and Breaking Down Barriers”.
Competenze a scadenza
La ricerca di talenti nel futuro prossimo diventerà sempre più problematica. Causa declino demografico, avanzamento tecnologico, le competenze richieste diventeranno sempre più rare e poco durevoli. Infatti si stima che le competenze di cui un professionista ha bisogno siano già cambiate del 25% dal 2015 e ci si aspetta saranno inutilizzabili per il 50% entro il 2027.
Inoltre c’è un altro problema. Gli attuali metodi per la ricerca dei talenti spesso escludono i professionisti che hanno le competenze richieste ma non hanno un’esperienza lineare o i titoli/credenziali per tale ruolo. Una recente ricerca di LinkedIn conferma che l’88% dei recruiter esclude candidati potenziali, solo perché mancano di elementi come il giusto precedente job title o titolo di studio. Ovviamente, non stiamo parlando di sostituire i medici o avvocati con delle persone che si improvvisano ma, se guardiamo alle funzioni aziendali come comunicazione, risorse umane, marketing, vendite, customer care, sviluppo e innovazione, troveremo sicuramente connessioni e competenze in comune tra i vari campi. Una persona con un background in marketing o comunicazione perché non può occuparsi di employer branding? Un data analyst non può supportare le attività di people analytics?
Secondo la ricerca LinkedIn sopra citata, lo skills first approach porterà ad un 20x di professionisti tra i candidati adatti per una posizione, +24% di donne, che di solito sono tra le categorie meno rappresentate, il 10,3% in più di candidati Gen Z e Millennial. Da dove partire per questo cambiamento? Lato candidato, il primo passo è quello più complesso: imparare a vederci non come la nostra laurea o il nostro job title ma anche delle competenze sia tecniche sia trasversali che abbiamo sviluppato nel tempo.
Cosa valorizzare nel CV
Questo vuol dire che, a livello di CV e di colloquio, dovremmo valorizzare quelle attività parallele a studio o lavoro (volontariato, progetti personali, corsi, Side job) che ci hanno arricchito come persona e come professionista. LinkedIn offre tra l’altro un interessante strumento per aiutarci a individuare le carriere possibili: si tratta di Career Explorer Tool (figura 2) che, data una professione e la sua area geografica, ti aiuta a individuare competenze comuni con altre figure professionali.
Se la difficoltà è individuare le skills più rilevanti, possiamo fare riferimento allo strumento del World Economic Forum chiamato Skills Taxonomy che classifica in macro aree le competenze più rilevanti per il lavoro. Lato recruiter, ma anche candidato: grande aiuto nella selezione dei talenti a partire dalle competenze ce lo può dare anche LinkedIn, che ha introdotto la possibilità di ricercare i profili direttamente dalle skills, in modo da garantire un ampio spettro di candidature coerenti. Lato utente, ricordiamo solo di aggiornare anche l’elenco delle competenze presenti, cliccando sulla matita in corrispondenza dell’esperienza da modificare (figura1). E per scoprire nuove attitudini e competenze per le quali “abbiamo talento”, come fare?
La soluzione è contaminarci di sapere ovvero estendere la curiosità anche oltre il nostro ambito lavorativo in senso stretto. Come dicevo qui, la formazione attualmente è molto più fluida che non dieci anni fa: le possibilità di fare corsi brevi, on-demand, seminari on-line o anche semplicemente Masterclass gratuite o a un costo ridotto è molto ampia e non richiede troppo tempo. Ovviamente si tratta di un’infarinatura ma intanto abbiamo acceso qualche scintilla.
Per concludere, cito i vantaggi individuati dal World Economic Forum che un approccio sulle competenze e non sui titoli può portare.
- Dà l’accesso ai migliori candidati: perché la selezione, corredata anche di prove tecniche, è mirata sulle effettive capacità di impatto e azione del singolo, non solamente su un titolo o un nome. E se quella persona non si è aggiornata in dieci anni?
- Rende più democratico l’accesso alle posizioni ad alto potenziale: non tutti possono avere le stesse chance di raggiungere i medesimi risultati nello stesso tempo. Questo approccio dà la possibilità invece a molte più persone di candidarsi per un ruolo.
- Focalizza sull’effettiva capacità del candidato: quindi valutiamo la persona su quanto sa fare non semplicemente sulle parole in un curriculum.
- Migliora l’engagament dei dipendenti: Dare alle persone la possibilità di raggiungere obiettivi di carriera in linea con le proprie ambizioni e caratteristiche, non mettendo per forza paletti di età o titoli, aumenta esponenzialmente l’attaccamento all’azienda e la capacità di portare valore con le proprie azioni.
- Rende l’azienda più resiliente ai cambiamenti: in quanto le risorse possono essere più facilmente riorganizzate e avere un potenziale di ruolo più elevato, a fronte di piccoli interventi di formazione specifica.