In un’epoca attraversata da profonde trasformazioni quali sono i desideri, le paure e gli ostacoli per la Generazione Z? Ne abbiamo parlato con Alessandro Rosina, Coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano
La giovinezza, è per antonomasia, il tempo dei cambiamenti, dello spaesamento e dell’incertezza. Ma anche delle speranze, dei sogni e della voglia di costruirsi il proprio percorso di vita. Questo è ancor più vero oggi, in un’epoca attraversata da profonde trasformazioni. “La condizione giovanile in Italia 2023. Rapporto giovani 2023″ dell’Istituto Giuseppe Toniolo indaga come i giovani vivano e interpretino i cambiamenti in atto e quali ricadute abbiano non solo sulle condizioni oggettive ma anche su preferenze, obiettivi e significati del loro essere e agire nella società e nel mondo del lavoro. Ne abbiamo parlato con Alessandro Rosina, Coordinatore scientifico dell’Osservatorio e professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano, dove dirige il Center for Applied Statistics in Business and Economics.
Tra incertezze, disincanto e voglia di futuro, i giovani puntano a costruirsi la propria identità. Ma quali sono i principali ostacoli e difficoltà da affrontare?
Tra le maggiori preoccupazioni dei giovani ci sono soprattutto il lavoro, il reddito, l’accesso ad una casa. Oltre un terzo dei giovani italiani arriva a trent’anni senza un impiego stabile e con il timore di trovarsi nel pieno dell’età adulta senza un impiego o con un’occupazione precaria. Questi timori sono maggiori rispetto ai coetanei europei e sono la conseguenza dei limiti e delle carenze presenti in tutto il percorso di transizione scuola-lavoro. Le difficoltà di solido ingresso nel mondo del lavoro e la carenza di politiche abitative accentua la dipendenza economica dai genitori e porta a rinviare importanti tappe di transizione alla vita adulta. Sulle scelte di vita impegnative e responsabilizzanti, come quella di avere un figlio, oltre alle difficoltà oggettive pesa anche il clima di incertezza verso il futuro causato dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina.
E quali invece i desideri?
Al di là dei livelli attuali di disoccupazione e sottoccupazione quello che pesa nei giovani è soprattutto il non sentirsi inseriti in processi di crescita individuali e collettivi, ovvero inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente il proprio impegno e il proprio valore. Il desiderio di realizzazione professionale e dei progetti di vita dei ventenni italiani non è più basso rispetto ai coetanei degli altri paesi. Ciò che non aiuta chi è nella fase giovanile a compiere in modo solido la transizione scuola-lavoro, a fare esperienze di valore sociale che rafforzano senso di appartenenza e fiducia in se stessi, a conquistare una propria autonomia abitativa e a formare una propria famiglia, rende più deboli i progetti di vita delle nuove generazioni. Il degiovanimento quantitativo è quindi, a sua volta, soprattutto conseguenza di un degiovanimento qualitativo, ovvero della bassa presenza di giovani nei contesti in cui si apprende e agisce il cambiamento come soggetti attivi, responsabili e consapevoli.
Nei confronti del mondo del lavoro e della vita adulta, quali sono gli atteggiamenti più diffusi?
Come mostrano molte ricerche nella Generazione Zeta convive la preoccupazione verso il futuro personale con il desiderio di sentirsi parte attiva nel migliorare il futuro collettivo. Anzi, più i giovani si sentono esclusi dalla possibilità di sentirsi parte dei processi di cambiamento della realtà in cui vivono, più cresce il timore di un proprio percorso di vita pieno di rischi e rinunce. In particolare, i dati di una indagine condotta nel 2022 dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo mostrano come alla domanda “Pensando alla tua generazione, quanto sei d’accordo con le seguenti affermazioni?”, il maggior consenso sia andato a due opzioni (entrambe con grado di accordo dell’84%) in apparente contrapposizione tra di loro: “Ha meno certezze rispetto al futuro” e “È più aperta al cambiamento e all’innovazione”. Due voci che riflettono due diverse visioni di ciò che il futuro offre e della possibile collocazione all’interno dei processi di cambiamento. Tutte le azioni messe in atto devono contribuire a consentire all’atteggiamento delle nuove generazioni a spostarsi sempre più in modo solido verso la seconda voce.
Dispersione scolastica e NEET. Quali i rischi e come arginare questi fenomeni?
Quello che manca all’Italia è soprattutto il valore che possono generare le nuove generazioni quando messe nelle condizioni di essere ben formate, ben inserite nel mondo del lavoro e adeguatamente valorizzate. La percezione di vivere in un paese che investe sulle nuove generazioni mettendole, al di là della protezione dei genitori sui singoli figli, nella condizione di dare il meglio di sé e sentirsi parte attiva dei processi di sviluppo e benessere, si è rafforzata negli ultimi decenni. I dati raccolti in un’indagine internazionale, condotta a maggio 2021 da Ipsos per l’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, rivelano come gli intervistati italiani tra i 18 e i 34 anni diano nel 47 percento dei casi un giudizio negativo su come finora è stata affrontata la questione dei NEET dalla fine della Grande recessione fino all’impatto della Pandemia di Covid-19. Solo il 18% circa pensa che in Italia si sia fatto più che nel resto d’Europa. La percentuale di giudizio negativo su quanto fatto nel proprio paese risulta più bassa da parte dei giovani spagnoli, 40%, e ancor più bassa da parte dei coetanei tedeschi e francesi, 29%. Il PNRR prevede azioni di rilievo per contrastare il fenomeno dei NEET, in particolare di rafforzamento della formazione professionale e delle politiche attive del lavoro. Non bastano però le risorse per convergere verso le migliori esperienze europee, serve una grande attenzione all’implementazione coerente con il contesto italiano e le caratteristiche delle diverse realtà territoriali.
Come incentivare le nuove generazioni? Quali le sfide future della società verso tale rotta?
Il ruolo delle nuove generazioni non è quello di replicare ciò che facevano quelle precedenti alla stessa età, non è sostituire chi invecchia, ma è quello di farsi nuovi interpreti delle sfide delle trasformazioni del proprio tempo e portare la propria novità nelle soluzioni da proporre. E’ questo rinnovo generazionale quantitativo e qualitativo che consente di generare nuovo valore nei tempi nuovi. Tutto quello che l’Italia metterà in campo con i fondi di Next Generation Eu sarà efficace, come abbiamo detto, nella misura in cui consentirà di farli sentire soggetti attivi di un paese che cambia e migliora con loro. Alla base deve rafforzarsi la consapevolezza che per lo sviluppo competitivo in questo secolo non serve solo la mera occupazione dei giovani, ma la capacità di metterne pienamente a valore le specificità e sensibilità nei processi che generano nuova ricchezza e benessere. Questa operazione antropologica è ciò che più manca nel sistema italiano, prima ancora dele infrastrutture e della dotazione tecnologica.
Digital e Skill Mismatch. Quali le reali cause del disallineamento?
La ripresa economica dopo la frenata provocata dalla crisi sanitaria ha reso ancora più evidente il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Al di là degli stereotipi e delle letture superficiali del fenomeno, il disallineamento ha varie cause intrecciate. La prima è quella del “degiovanimento”, ovvero della progressiva riduzione demografica delle nuove generazioni. In Italia abbiamo meno giovani, sia rispetto al passato che nel confronto con le altre economie avanzate. All’epoca del miracolo economico del secondo dopoguerra gli under 30 erano oltre la metà della popolazione italiana, ora sono il 27%, il valore più basso in Europa. Il secondo motivo è la debole formazione e la carenza di competenze necessarie per il mondo del lavoro nelle economie moderne avanzate. Il sistema produttivo italiano si accorge della mancanza di manodopera qualificata quando deve assumere, ma, molto meno degli altri paesi con cui ci confrontiamo, si fa per preparare per tempo le competenze necessarie attraverso un’interazione continua tra aziende, scuole e istituzioni. Ma anche questo, pur necessario, risulta sempre meno sufficiente. Non basta, infatti, formare bene i giovani è necessario anche essere attrattivi nei loro confronti e saper valorizzare al meglio il loro specifico capitale umano. Il terzo motivo è, quindi, legato ai limiti della domanda di lavoro di qualità in Italia, legata sia al basso investimento in Ricerca e sviluppo sia alla tendenza del sistema produttivo italiano a considerare i giovani più come manodopera a basso costo anziché investire per renderli leva principale per lo sviluppo e la competitività delle imprese e delle organizzazioni.
Great Resignation, come riuscire ad attrarre e trattenere i talenti oggi?
Quello che i giovani vorrebbero è una flessibilità a proprio favore, che consenta ad essi di scegliere come crescere nella professione, anche cambiando lavoro, non invece difendersi dai rischi di un lavoro malpagato e incerto che porta a rinunce e a sottoutilizzo del capitale umano. Se quindi l’aspetto economico è guardato con particolare attenzione nella fase di ingresso nel mondo del lavoro, sono altre dimensioni che fanno la differenza nel coinvolgimento rispetto all’attività svolta sentendosi soggetti riconosciuti di produzione di valore e non solo di profitto.
Quindi?
Detto in altre parole, non basta formare bene i giovani, potenziare i servizi per l’impiego e dare incentivi per l’occupazione (tutti aspetti comunque più carenti in Italia rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo), è necessario anche essere attrattivi nei loro confronti e saper valorizzare al meglio il loro specifico contributo. Nei membri della Generazione Zeta è forte il desiderio di essere riconosciuti nella propria specificità. Sentono come riduttivo che venga chiesto di portare solo le competenze di cui l’azienda ha bisogno, mentre vorrebbero, prima di tutto, portare quello che sono. Il fenomeno della “Great resignation” è espressione di questo mutamento qualitativo di fondo. Se non sentono di crescere in termini sia di proprio sviluppo umano sia di contributo nello sviluppo dell’azienda con il proprio valore distintivo, perdono motivazione e lasciano. La chiamata che li ingaggia non è quella di sostituire un lavoratore andato in pensione o coprire una mansione richiesta, ma generare valore con la novità che rappresentano. Questo non vale solo nel mondo del lavoro, ma anche in molti altri campi, compreso quello della partecipazione politica e sociale.