Il furto ha compromesso una consegna e il giovane rifugiato si è visto decurtare punti preziosi per effettuare le consegne nelle fasce orarie maggiormente ambite
È una storia destinata senza dubbio a rinfocolare le polemiche sulle condizioni di lavoro dei rider, quella raccontata quest’oggi da Repubblica. I fatti sono avvenuti a Torino: un rifugiato dal Gambia, che per vivere effettua consegne per conto di Glovo, spedendo mensilmente tutti i guadagni ai figli ancora nel Paese natale, domenica scorsa è stato vittima di una aggressione e del furto della propria bicicletta. Mentre entrava in un bar per recuperare l’ordine di un cliente, un ladro si allontanava a gran fretta con la sua bici.
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Per la sfortuna del ladro, che quando è stato raggiunto ha colpito più volte la sua vittima con forbici e coltello, il rider è un ex militare che non si è fatto intimorire. Anche perché la bici rappresenta la fonte di tutti i suoi guadagni. Il fattorino ha così inseguito, catturato e consegnato il malvivente ai carabinieri. Tutto bene quel che finisce bene? Non proprio.
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La tecnologia che governa le consegne, algida e stupida, ha dato l’ordine in corso al momento del furto come “fallito per colpa del rider”. Mentre il rifugiato riceveva pacche sulle spalle e complimenti dalle forze dell’ordine per il coraggio dimostrato, l’inflessibile algoritmo gli decurtava punti dal curriculum. Quei punti, però, sono essenziali per salire nella graduatoria che permette di ottenere più incarichi nelle fasce orarie e nei giorni maggiormente remunerativi. «Fino a domenica ho sempre avuto il massimo dei punti, il mio impegno per far arrestare un ladro, invece, mi ha penalizzato», si è sfogato con il collega del quotidiano che ne ha raccolto la storia. E quel che è peggio è che adesso teme di non poter più restare in regola in Italia: «Non solo la piattaforma mi ha ridotto i punti ma quando mi scadrà il permesso di soggiorno non potrò più lavorare».
Quando il capo è un algoritmo
Tutti noi, da consumatori, sappiamo quanto sia frustrante avere a che fare con un algoritmo. Pensate per esempio al tempo speso insultando il nastro di un centralino che abbiamo contattato lamentando un disservizio o un malfunzionamento. Abbiamo provato sconforto mentre realizzavamo che la tecnologia, molto spesso, viene frapposta come un muro di gomma tra noi e chi dovrebbe raccogliere la nostra lamentela. Ecco. Provate ora a immaginare cosa vuol dire essere controllati da un algoritmo, che vi cronometra, decide chi fa carriera e chi no e non ammette reclami. Questo non può certo essere il mondo del lavoro del futuro. È utile allora dar voce alla storia del rider di Torino per fare in modo che Glovo non solo corregga l’errore commesso dall’intelligenza artificiale ma possibilmente riveda anche il proprio sistema, auspicando pure un serio intervento del legislatore.