Secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro i primi a tornare al lavoro sono soprattutto i maschi sopra i 50 anni nelle zone più funestate dal Coronavirus. Proprio il contrario di ciò che chiedevano gli esperti
Tra i tanti consigli delle task force per la gestione della Fase 2 ce ne è almeno uno caduto nel vuoto, che il governo di Giuseppe Conte non ha voluto assolutamente prendere in considerazione: predisporre un rientro in società scaglionato sulla base del fattore anagrafico. Questo nonostante ancora l’ultimo bollettino dell’Istituto superiore della Sanità dica che “l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 79 anni ed è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 81 anni – pazienti con infezione 62 anni)”. Insomma, quel principio di precauzione più volte sbandierato dall’esecutivo avrebbe voluto che, per evitare il rischio di terapie intensive nuovamente intasate dall’afflusso di ammalati gravi, si sarebbe dovuto tenere più a lungo in casa i soggetti maggiormente esposti al rischio complicazioni. È andata così?
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Come sarà la Fase 2 secondo i consulenti del lavoro
Ovviamente no. Anzi, starebbe andando proprio al contrario. Lo certifica la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, secondo cui saranno gli over 50 a riprendere a lavorare prima dei giovani nella Fase 2 e la “settorialità” delle aperture interesserà maggiormente il Nord Italia. La ripresa, spiegano dalla Fondazione, oggi interesserà principalmente i lavoratori dell’industria, dove l’attività potrà ritornare a pieno regime (100% dei settori riaperti): su 100 lavoratori che rientreranno al lavoro il 60,7% lavora nel settore manifatturiero; il 15,1% nelle costruzioni; il 12,7% nel commercio e l’11,4% in altre attività di servizio. E già qui si nota il primo paradosso: “principalmente occupazione maschile la più presente in tale comparto” e sempre l’Iss ci dice che i più a rischio morte o complicazioni che rendono necessarie il ricovero sono proprio i maschi. “Saranno, infatti, 3,3 milioni gli uomini che torneranno al lavoro (il 74,8% del totale), mentre “solo” 1,1 mln le donne (25,2%). In generale, saranno soprattutto lavoratori dipendenti (3,5 mln, pari al 79,4% di chi riprenderà a lavorare) mentre gli autonomi (il restante 20,6%) dovranno ancora aspettare: solo il 49% di quanti sono stati interessati dai provvedimenti di sospensione potrà riaprire già dal 4 maggio”.
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Ma il paradosso principale della Fase 2 è indubbiamente quello anagrafico: “gli over 50 riprenderanno a lavorare prima dei giovani. Su 100 occupati in settori “sospesi”, a rientrare saranno il 68,7% dei 50-59enni; il 67,1% dei 40-49enni; il 59% dei 30-39enni e il 48,8% degli under 30. Alta anche la percentuale degli over 60 (pari al 60,1% di quanti sono rimasti a casa per effetto del blocco delle attività). Anche la settorialità delle aperture delinea un quadro non coerente rispetto alla diffusione della pandemia”.
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Già, perché c’è pure un terzo paradosso, quello geografico: “la ripresa si concentrerà proprio nelle aree più interessate dal virus: a fronte di 2,8 mln di lavoratori al Nord Italia, saranno 812 mila al Centro e 822 mila al Sud gli occupati che rientreranno al lavoro. Tra le regioni interessate: Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto, Marche e Lombardia, dove il tasso di rientro oscilla intorno al 69%; di contro in Val d’Aosta (49,3%), Lazio (46,7%), Sicilia (43,4%), Calabria (42,5%) e Sardegna (39,2%), la ripresa interesserà meno di un lavoratore su due tra quelli sospesi. Ovviamente la riapertura dei settori non comporterà necessariamente la presenza in sede dei lavoratori, ma seguendo le indicazioni ribadite negli stessi ultimi provvedimenti governativi, dovrà essere promosso il più possibile il lavoro agile. Da questo punto di vista, tuttavia, l’indagine evidenzia come solo nel 36,6% dei casi i lavoratori chiamati a riprendere le proprie attività potranno farlo in smart working; mentre la maggior parte (63,4%), per le caratteristiche del proprio lavoro, non potrà che farlo in sede”.