La migrazione è andata dalle attività non essenziali a quelle considerate tali e che dunque avevano la possibilità di aprire anche durante il lockdown
In quest’anno tanto insolito, abbiamo imparato a conoscere i codici ATECO così come abbiamo imparato a conoscere i DPCM. Entrambi sono persino divenuti elemento ricorrente nei discorsi e prima di ogni chiusura del Paese si è registrato un boom di ricerche in materia attraverso Google segno che sempre più persone, oltre i diretti interessati e gli addetti ai lavori, li usa ormai per capire quali tipi di attività devono tirare giù le serrande. Infatti il Codice Ateco è una combinazione alfa numerica che identifica un’attività economica: le lettere individuano il macro settore economico di appartenenza di quella specifica attività, i numeri invece rappresentano categorie e sotto categorie dei settori. L’esecutivo, è noto a tutti, li ha utilizzati per indicare i settori colpiti dalle restrizioni e ora si scopre, grazie a uno studio di Bankitalia, che proprio quest’anno si sono registrate migrazioni inusuali da una categoria all’altra. Ma andiamo con ordine.
© Palazzo Chigi
Leggi anche: Dpcm e lockdown, il calendario delle feste di Natale 2020
Nel periodo di lockdown fra l’11 marzo e maggio, si legge nella pubblicazione ‘Note Covid‘ della Banca d’Italia “c’è stato un forte balzo del cambio dei codici Ateco da parte delle imprese, specie nel settore manifatturiero e nelle regioni del Nord. Secondo l’istituto, “il maggior incremento si è registrato per i passaggi dai codici delle attività classificate come ‘non essenziali’ durante il lockdown ai codici riferibili alle attività ‘essenziali’ (10,2 per cento, rispetto al 3,4 osservato in media per gli stessi codici nello stesso periodo del quinquennio precedente)”.
© Palazzo Chigi
Misteriose migrazioni di codici ATECO
Lo studio individua varie cause alla base del fenomeno: “Oltre all’effetto di fattori stagionali, le motivazioni sottostanti tale andamento possono essere molteplici: in primo luogo, le imprese potrebbero essersi effettivamente spostate su produzioni per loro nuove, a fronte di attese di aumento della domanda di un dato bene o servizio”. Pensiamo per esempio a tutte quelle sartorie che, nell’attesa di riprendere la produzione, hanno iniziato a creare mascherine. “In secondo luogo – si legge – è possibile che le imprese fossero non classificate o erroneamente classificate (ad es. per mancati aggiornamenti a fronte di mutate attività), e che ne siano divenute consapevoli in questo frangente, poste di fronte alla necessità di sapere se la propria produzione fosse o meno oggetto di sospensione, apportando quindi le necessarie rettifiche”. Infine, i cambi di codici ATECO potrebbero essere stati effettuati dolosamente per evitare la sospensione della propria attività, portando a una riclassificazione come attività “essenziale”. Non è escluso che su tali condotte stia già indagando la magistratura.
© Palazzo Chigi