Un sondaggio della Repubblica degli Stagisti ha cercato di fare luce sul rapporto tra università e aziende
La testata online Repubblica degli Stagisti ha svolto un sondaggio tra le aziende del proprio network per indagare il tema della collaborazione e comunicazione tra mondo dell’università e mondo del lavoro. Le aziende aderenti alla Repubblica degli Stagisti sono infatti un’ottantina, rappresentate da una trentina di marchi.
Complessivamente danno lavoro a oltre 42mila persone e hanno ospitato, nel 2017, più di 2mila stagisti, con percentuali di assunzione post-stage largamente al di sopra della media; prova ne sia il fatto che oltre 1000 sono stati i giovani contrattualizzati al termine del percorso di tirocinio. Inoltre, le aziende del network hanno anche effettuato assunzioni dirette senza passare attraverso il tirocinio, assumendo più di 1600 giovani under 30 nel corso del 2017.
Università e stage
Il campione del sondaggio non è dunque rappresentativo, ma i risultati hanno comunque un rilevante valore indicativo. Il primo dato rilevante è che le aziende collaborano attivamente e volentieri con il mondo universitario. In particolare, il 93% ha convenzioni attive con almeno una università (l’86% con più d’una). Un po’ meno frequente invece la collaborazione con master e scuole di formazione post-universitaria: qui, a fronte di un 31% che non collabora con nessun master, c’è un 20% di aziende dell’RdS network che ha una collaborazione con un master specifico, e un 49% che invece intrattiene relazioni con vari master contemporaneamente.
La motivazione principale che spinge le aziende a scegliere un’università o un master piuttosto che un altro è il fattore “settoriale”: le partnership vengono avviate con università che hanno facoltà inerenti al business aziendale, indipendentemente dalla collocazione geografica. Circa la metà delle convenzioni tra università o master e aziende ha questa caratterizzazione. Segue poi il fattore geografico, cioè la prossimità dell’università con la sede dove opera l’impresa, il fattore del prestigio (stipulare partnership con università che godono di ottima reputazione) e infine il fattore umano (accordi con università in cui lavorano professori di cui l’azienda ha stima e/o con cui ha attive collaborazioni professionali). Nel 63% dei casi le partnership tra aziende e università sono del tutto gratuite; nel restante 37% sono in alcuni casi gratuite e in altri a pagamento. Sale, nel caso dei master, la percentuale di partnership esclusivamente (20%) o parzialmente (30%) a pagamento: la quota di collaborazioni completamente gratuite si ferma al 50%.
Reclutamento
Le aziende utilizzano il canale delle università per pubblicizzare le proprie posizioni aperte. Ma come? Nel caso delle posizioni di stage, il 90% delle aziende usa le bacheche delle università con le quali ha convenzioni come una delle azioni di reclutamento, insieme alla pubblicazione dell’annuncio di stage su altri canali. I dati cambiano leggermente quando si parla di aprire una posizione non di stage, bensì di lavoro. In questo caso per nessuna azienda il canale universitario è la prima azione di reclutamento; per un 83% è comunque una delle azioni di recruiting, insieme alla pubblicazione dell’annuncio di lavoro su altri canali, mentre per un 17% è l’ultima azione, nel caso in cui non vada a buon fine attraverso altri canali.
La valutazione delle aziende rispetto alla preparazione degli stagisti
I ragazzi sono preparati? La risposta è unanime: nessuno considera la loro formazione “scarsa” o “sufficiente”. Il giudizio complessivo è invece positivo: un 69% la definisce “buona, sono abbastanza preparati”, e un 31% sostiene addirittura che sia “ottima, sono molto preparati”. Naturalmente ciò non vuol dire che non ci siano margini di miglioramento. Interrogate sugli aspetti in cui i giovani dimostrano maggiori lacune, le aziende dell’RdS network hanno indicato soprattutto le competenze linguistiche (nel 37% dei casi) e le soft skills (“mancano le competenze trasversali necessarie per adattarsi all’ambiente di lavoro”) nel 33%. Distanziate, vi sono anche lacune nelle competenze informatiche (13%) e nelle hard skills (“mancano le competenze di base necessarie a svolgere il lavoro per il quale hanno studiato”, un altro 13%). La lacuna meno percepita è invece quella sul lavoro di squadra: solo il 3% delle aziende rileva candidati impreparati da questo punto di vista.
Il voto di laurea, quanto conta per le aziende?
“Molto” nel 65,5% dei casi: “è un criterio importante, ma ci capita di selezionare anche persone che si sono laureate con voti medi”. Solo “abbastanza” per un altro 27,5%: “è solo uno dei tanti criteri, anche perché non abbiamo grande fiducia sul fatto che indichi in maniera veritiera la preparazione del candidato”. I due giudizi più estremi (le opzioni erano “moltissimo: è il primo criterio per noi, perché consideriamo il voto il più efficace indicatore della preparazione di un candidato” e “per nulla: il voto di laurea non è rilevante per valutare la preparazione di un candidato”) raccolgono invece percentuali residuali. A coloro che hanno risposto “per nulla” o “abbastanza” il sondaggio chiedeva poi di esplicitare il perché: qui la maggior parte (50%) ha risposto di aver notato nella propria “esperienza di reclutamento che gli stagisti laureati con voti meno alti sono ugualmente brillanti rispetto a quelli laureati col massimo dei voti”; la seconda opzione più scelta – 30% – esplicita una diffidenza verso i criteri di valutazione che “variano troppo da università a università per poter avere un valore oggettivo”.
Cosa fanno le aziende in concreto in collaborazione con le università?
Il buon vecchio career day la fa ancora da padrone: nel 19% dei casi le aziende confermano di partecipare a questo tipo di eventi “fieristici” con il proprio stand. A seguire, nella maggior parte dei casi (17,5% delle risposte) vanno a tenere delle lezioni agli studenti, nella modalità della “testimonianza aziendale”, oppure – 16,5% – organizzano eventi di incontro ad hoc con gli studenti per raccontare la propria realtà, o ancora vengono invitate “a parlare a convegni che si svolgono all’università” o realizzano business game o altre attività non convenzionali che coinvolgono gli studenti. Un’altra modalità di collaborazione non infrequente (10%) è quella di proporre argomenti per lo sviluppo di tesi di laurea da svolgere in azienda. Residuali le attività di sponsorizzazione di eventi specifici di reclutamento (5%), acquisto di spazi pubblicitari per far conoscere la propria azienda agli studenti (2%) o la sponsorizzazione di borse di studio per studenti meritevoli (2%).
Cosa vogliono le aziende per migliorare il loro rapporto con il mondo delle università e dei master?
Innanzitutto, nel 35,5% dei casi, vorrebbero più momenti gratuiti di incontro tra studenti e aziende e che, nel 33,5%, gli uffici stage/placement fornissero per ogni posizione aperta cv adatti alle loro esigenze, svolgendo una attività di preselezione. Una su cinque (il 19%) vorrebbe che gli uffici stage/placement dessero accesso gratuitamente ai loro database di cv di laureati, e una su dieci (10,5%) che le università le ascoltassero di più nell’inserire nei corsi di laurea materie/focus su elementi importanti nell’attività lavorativa aziendale quotidiana (es. programmi informatici, simulazione di lavoro in team…). «Il nostro sondaggio dimostra essenzialmente due cose – spiega Eleonora Voltolina, la giornalista che ha fondato e dirige la Repubblica degli Stagisti – la prima è che le aziende valutano molto positivamente gli studenti e i neolaureati, giudicando buona la loro preparazione: vuol dire che la qualità dell’insegnamento nelle università italiane è ancora alta.
La seconda è che ci sono comunque ampi margini di miglioramento nell’interazione tra mondo dell’università e mondo dell’impresa. Il nostro auspicio è che i risultati di questo studio siano uno spunto di riflessione e una base per intensificare e rendere ancora più efficiente il dialogo tra aziende e università, nell’ottica di agevolare il più possibile i giovani nel momento del passaggio dalla formazione al lavoro».