Fattore umano, soft skills, competenze sono alcune delle parole chiave nel mondo del lavoro di oggi e di domani. Intesa Sanpaolo, con l’Osservatorio Look4ward, realizzato insieme al Centro di Ricerca in Strategic Change “Franco Fontana” dell’Università LUISS Guido Carli, e in partnership con SIREF Fiduciaria, Accenture e Digit’Ed, giunto alla seconda edizione, analizza cambiamenti e mutazione nella ricerca e nella richiesta di lavoro, con l’obiettivo di capire che cosa manca al sistema affinché si possa trovare un buon equilibrio tra domanda e offerta e lavorare sulle competenze oggi più richieste dalle aziende, che un domani lo saranno ancora di più. «In un mondo in costante evoluzione ci troviamo di fronte a sfide globali guidate da trend trasformativi come la transizione digitale ed energetica in diversi settori tra cui quelli della space economy e della digital economy – spiega Elisa Zambito Marsala, responsabile Education Ecosystem and Global Value Programs di Intesa Sanpaolo – Con Università, centri di ricerca e attori nazionali e internazionali l’Osservatorio vuole creare azioni e modelli di intervento di innovazione che generino valore per il business e nuove opportunità per il nostro Paese, identificando quali sono le competenze maggiormente richieste nel futuro». Scopriamo assieme che cosa emerso durante la presentazione dei risultati dell’Osservatorio Look4ward moderato dalla giornalista di Sky TG24, Maria Latella.
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I trend del presente e del futuro
A fronte di un costante aumento di domande legate all’artificial intelligence e alla sostenibilità, l’Osservatorio Look4ward punta a diventare una piattaforma di riferimento verso un approccio trasversale e multisistemico. «Vogliamo costruire ecosistemi e ponti per accelerare i fabbisogni in continua e rapida trasmissione», spiega Elisa Zambito Marsala. «Tra le priorità del Paese c’è quella di accrescere il numero di laureati, ora la percentuale è attorno a poco più del 20%. Il Paese cresce se si alza il livello di cultura e per questo dobbiamo contrastare l’abbandono dell’Università, che deve essere un luogo dove proliferano ambizione e curiosità – spiega Marcella Panucci, capo di Gabinetto del Ministero dell’Università e della Ricerca – Con molta attenzione guardiamo a diverse competenze, come le STEM, che ad oggi contano il 17-18% di iscritti con una percentuale di 40-60 tra donne e uomini. Un dato che va portato a parità. Inoltre, la chiave è la flessibilità delle competenze: i nostri giovani devono essere preparati per il futuro a fare salti quantici in termini di skills: per questo promuoviamo la trans-disciplinarietà. Per rafforzarla abbiamo approvato il decreto sull’Erasmus italiano, al fine di apprendere discipline che non sono disponibili in un ateneo ma lo sono in un altro, oltre alla mobilità internazionale». Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, ha affermato: «In Italia la domanda di lavoro da parte delle imprese non è sempre soddisfatta e l’offerta non è adeguata e rispondente alle richieste. 2/3 degli occupati oggi sono over40, mentre i giovani tra i 15 e i 19 anni non hanno ancora spazio nel mondo del lavoro. In termini di occupazione, che è cresciuta dell’1.9% nel 2023, si prevede quest’anno un tasso di crescita dell’1%, e per il 2025 e 2026, dello 0.7%. Il mercato del lavoro rimane, comunque, teso. Mancano 2 milioni e mezzo di professionisti che il sistema produttivo non riesce a trovare. Gli operai specializzati sono la categoria di lavoratori più difficile da reperire».
Gli investimenti
Paolo Boccardelli, professore ordinario in Strategie d’Impresa dell’Università Luiss e direttore del Centro di Ricerca in Strategic Change Carlo Fontana, ha affermato: «C’è un’accelerazione negli investimenti previsti, oltre il 32% delle imprese dichiarano di investire tra il 20 e il 30% nelle transizioni digitali e green. Le aree più significative per quanto riguardano il digitale sono quelle dell’intelligenza artificiale e del cloud, che si confermano le due tecnologie più disruptive del momento, così come l’efficientamento energetico. Dai risultati che sono emersi nell’Osservatorio, il 5% delle piccole imprese sono proattive in queste rivoluzioni, il 19% tende ad adattarsi e il 76% sono indecise perché queste transizioni generano incertezza sul futuro rispetto a fattori di successo del presente. Paradossi organizzativi, di appartenenza, della performance fanno sì che le imprese, in molti casi, siano indecise sul da farsi. Emerge una carenza di leader, e per coniugare questi paradossi si ha bisogno di una leadership che è orientata verso le strategie, con un tratto umanistico, che abbia capacità di costruire relazioni, intelligenza emotiva e mindset innovativo, oltre ad attrarre talenti».
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Perchè l’AI spaventa?
Secondo Leandro Pecchia, professore di Ingegneria Biomedica all’Università Campus Bio-Medico Roma: «Ci spaventa il fatto che, per la prima volta, abbiamo inventato una macchina che apprende, osserva e impara da se, generando dei contenuti con i quali i nostri ragazzi si formano. La domanda da porsi a mio avviso è: “Abbiamo imparato la pedagogia per insegnare alle macchine? Siamo sicuri di aver capito come si insegna a una macchina?” Perché, come abbiamo avuto modo di constatare, queste macchine assumono dei bias». Per Vincenzo Esposito, amministratore delegato di Microsoft Italia: «C’è stata la tempesta perfetta tra big data e computing che ha, però, generato anche una serie di rischi legati alle fake news e al fatto che l’AI restituisca, a volte, risultati sbagliati. Automatizzare la scrittura del codice permette di aprire molte finestre nel mondo del lavoro». E tra i lavori del futuro, secondo Giacomo Castri, Head of Recruiting & Assessment Center di Intesa Sanpaolo, ci sarà l’esperto di “etica dei dati”: «Il prompt engineer non è più un lavoro del futuro, ora si parla di data ethics. Nel futuro, il tech sarà sempre più centrale, serviranno competenze ancora più di nicchia, che devono evolvere e integrare settori interdisciplinari. Si deve accelerare la trasformazione con multidisciplinarietà e con la formazione giusta. Non possiamo avere un’intelligenza viziosa o con dei bias».
Cosa ruota attorno all’AI
Ulijan Sharka, CEO di iGenius, ha affermato che: «Il settore dell’AI è passato da un valore di 100 miliardi a oltre 200 miliardi e si avvia verso il trilione. Si tratta di una tecnologia orizzontale che ha la capacità di rivoluzionare tutti i settori e sino ad oggi non ne abbiamo sfruttato tutto il potenziale: da un lato la tecnologia aiuta a chiudere un gap e dall’altro diventa una nuova materia che le persone devono imparare. L’Italia può avere un ruolo chiave nella corsa globale all’AI, prevedendo sempre il fatto che l’essere umano debba stare al centro anche delle prossime evoluzioni. La tecnologia può rappresentare un vantaggio in variegati settori, tra cui anche per l’ambiente e per i servizi pubblici, rendendoli accessibili a molte più persone».
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AI e gender gap
Secondo il World Economic Forum, al ritmo attuale occorreranno 131 anni per raggiungere la piena parità di genere, e l’Italia si trova al 13° posto per l’inclusione di genere nell’UE. Le nuove tecnologie devono essere impiegate rispettando gli aspetti di diversità e inclusività. Sul tema è intervenuta Letizia Moratti, ex ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed ex sindaco di Milano: «In termini di parità economica secondo quanto emerso dal World Economic Forum serviranno altri 169 anni per raggiungerla. Serve un cambio culturale a più livelli, che parte dalla scuola, per valorizzare le softskills, fino al carico domestico, che oggi in Italia è ancora per il 70% sulle spalle delle donne. Le scuole sono ancora troppo rigide, mentre nei paesi europei avanzati nn c’è più l’orario scolastico ma si misura il livello di apprendimento sulla base di quello che gli studenti hanno imparato. Anche i curriculum universitari devono modificarsi rapidamente. Questo cambio deve partire, prima di tutto, dagli uomini».
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Paola Mascaro, presidente emerito di Valore D, ha posto l’accento sul mercato imprenditoriale femminile: «Circa metà delle donne in Italia sono fuori dal mercato del lavoro e quelle che lavorano hanno contratti fragili. Queste lavoratrici vanno aiutate in un tema di upskilling. Inoltre, le donne che si laureano sono più degli uomini, ma di queste solo il 20% lavora in ambito STEM. Il tema è, prima di tutto, culturale. A partire dai 6-7 anni le bambine già prendono le distanze dalle materie scientifiche. C’è un problema nella scuola che va affrontato e superato, e il mondo delle imprese e della cultura deve forzare il cambiamento. Si tratta di un problema che coinvolge, soprattutto, le democrazie occidentali, mentre le donne che lavorano nelle STEM sono, per la maggior parte, nelle economie emergenti».