L’idroponica, l’aeroponica e l’acquaponica sono tre tecnologie di coltivazione che prescindono dall’impiego di terreni agricoli. Possono essere sfruttate nelle serre, ma anche nelle vertical farm e sono una delle carte che l’umanità ha a disposizione per sfamare il mondo
Zucchine, melanzane e pomodori in pieno inverno sono la normalità, il consumatore è ormai abituato a trovare, al supermercato, tutti i prodotti in qualsiasi momento della stagione, 365 giorni all’anno. È grazie alle coltivazioni in serra, il più delle volte in condizioni di ambiente controllato e fuori suolo, che è stato possibile prescindere dalle condizioni meteo esterne e soddisfare l’esigenza di poter cucinare una parmigiana, utilizzando melanzane fresche, a Natale.
Al di là delle ambizioni ai fornelli, in molti indicano proprio nella produzione fuori suolo, in serra, la soluzione per riuscire a sfamare una popolazione che dovrebbe superare i 9 miliardi sulla Terra nel 2050. Basti pensare che oggi, nelle serre ad alta tecnologia dell’Olanda, fra le più avanzate al mondo, la media produttiva è di circa 70 kg di pomodori a metro quadro, ma si può arrivare a superare anche i 100 kg. Se le rese sono molto alte e notoriamente il risparmio di acqua e agrofarmaci (conosciuti come pesticidi) è notevole, l’altra faccia della medaglia è un alto consumo energetico. Si fa presto però a dire fuori suolo, le tecnologie sono diverse e diventano più performanti anno dopo anno.
Che cos’è il fuori suolo
“Con le parole fuori suolo – ha raccontato a StartupItalia il prof. Antonio Ferrante, docente di orticoltura e floricoltura all’Università Statale di Milano – intendiamo tutte le coltivazioni che avvengono fuori dal terreno agrario. Il terreno è sostituito con una soluzione nutritiva o un substrato, che può essere naturale o artificiale. In questo secondo caso però il substrato è solo un elemento di supporto per la pianta, acqua e nutrienti infatti sono distribuiti tramite fertirrigazione”.
I vantaggi di coltivare fuori suolo
Se si vuole distinguere dettagliatamente le tecniche di coltivazione senza suolo, la più diffusa e conosciuta anche ai non addetti ai lavori, è l’idroponica. Ci sono però anche aeroponica e acquaponica. “Il vantaggio di tutte le coltivazioni fuori suolo – ha spiegato ancora il prof. Ferrante – è che il contesto è molto diverso dai raccolti in pieno campo. Sono coltivazioni in serra, in ambiente controllato e possiamo quindi regolare temperatura, umidità, radiazione solare. Tutti i parametri sono sotto controllo e le piante crescono in condizioni ottimali e prive di stress. C’è poi il vantaggio di non avere erbe infestanti e quindi di non dover diserbare. Non ci sono funghi, insetti o patogeni. Coltivando fuori suolo non c’è mai la necessità di interventi drastici dal punto di vista della difesa. Se l’ambiente è completamente chiuso, come nelle serre ad alta tecnologia, il prodotto che otteniamo è privo di residui, il cosiddetto residuo zero”.
Utilizzando sistemi di produzione in serra e fuori suolo quindi si abbatte l’uso di agrofarmaci e, d’altro canto, si risparmia anche acqua: “Se il sistema recupera la soluzione nutritiva dopo l’utilizzo, come avviene in Olanda, il consumo di acqua è inferiore al pieno campo. Ed anche per quanto riguarda i nutrienti, il contesto è più sostenibile perché questi vengono dosati precisamente”, ha aggiunto ancora Antonio Ferrante.
Idroponica, aeroponica e acquaponica: le differenze
Quando si usa la parola fuori suolo si sottintende in realtà il sistema idroponico: “L’idroponica – ha spiegato ancora il prof. Ferrante – fa riferimento alla presenza di acqua e di soluzioni nutritive. Possiamo avere un sistema tipo Floating, quando le radici sono direttamente nella soluzione. Si tratta in pratica in questo caso di pannelli galleggianti. Un altro metodo è l’NFT (Nutrient Film Tecnique), abbiamo una canaletta che contiene le piante e nella quale scorrono acqua e soluzione nutritiva, in maniera continua”.
È classificata come agricoltura fuori suolo, anche se molto meno diffusa, soprattutto in Italia, anche l’aeroponica: “Non abbiamo né terreno, né substrato, né soluzione nutritiva. Entrando in una serra dove si coltiva in questa maniera vediamo le piante con le radici sospese in aria. L’apporto idrico e minerale avviene per nebulizzazione. Ci sono ugelli che spruzzano in maniera continua o a intermittenza, per esempio ogni 10 minuti, un getto di soluzione nutritiva sulle radici. La soluzione è poi recuperata”, ha raccontato ancora Ferrante.
Combinando la coltivazione di piante e l’allevamento di pesci si ottiene invece un sistema acquaponico. “In pratica si sfruttano parte degli elementi nutritivi apportati dai pesci, attraverso i loro escrementi, per crescere le piante. L’acquaponica è una fusione di allevamento ittico e coltivazione. L’acqua viene ovviamente filtrata, non può essere usata tal quale, non tutti gli elementi apportati dai pesci sono infatti utili. C’è poi la necessità di aggiungere i microelementi mancanti per equilibrare la nutrizione, ma piante e pesci crescono sostanzialmente assieme”.
Quali coltivazioni per il fuori suolo
La tecnica di coltivazione fuori suolo è potenzialmente adatta a ogni pianta, ma ciò che va valutata è la convenienza economica nell’adottare questa tecnica. Se in Italia è ancora relativamente poco diffusa, in Olanda, secondo gli ultimi dati ufficiali (2019), le serre occupano una superficie di poco inferiore ai 10mila ettari. Fra le coltivazioni più frequenti ci sono il pomodoro, la fragola, il melone a inizio stagione e poi peperoni e melanzane.
La comodità di trovare questi prodotti in qualsiasi stagione a volte va però a discapito del sapore degli stessi, tutto dipende dalla capacità di gestione dell’azienda agricola. “Non è detto che il prodotto sia sempre eccellente quando coltivato fuori suolo – ha raccontato ancora Antonio Ferrante – Anche con questo sistema, come quando si lavora a pieno campo, c’è bisogno di un bravo agronomo, che riesca a gestire la coltivazione in maniera ottimale. Come in campo, tutti i fattori della produzione devono essere ottimizzati. Spesso quando si lavora fuori suolo il ciclo produttivo è molto corto, non ci sono stress e la pianta è in condizioni migliori quindi cresce più velocemente. Se cresce troppo velocemente però ha meno tempo per fare la fotosintesi e questo va a discapito del sapore”.
Valutazione della sostenibilità del sistema
Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, se da un lato si riducono gli apporti di nutrienti, la distribuzione di agrofarmaci e si consuma meno acqua, è indubbio che, coltivando tutto l’anno e con la necessità di riscaldare le serre in inverno, ci sia un importante dispendio di energia. Prendendo sempre come punto di riferimento l’Olanda, leader in Europa e fra i più avanzati Paesi al mondo, il riscaldamento delle serre nel Paese vale circa il 9% del consumo di gas.
“Andrebbero fatti calcoli precisi, caso per caso – ha detto, concludendo, Antonio Ferrante – Sicuramente il consumo di energia per riscaldare le serre è alto ma andrebbero comparate le emissioni di gas serra per produrre una certa quantità di pomodoro, per esempio, alle porte di Milano con quelle necessarie a fare arrivare il pomodoro, dal Sud America o da un altro Paese produttore dell’altro emisfero. Il consumatore è infatti abituato ad avere sempre disponibilità di prodotto, tutto l’anno”.