Ci sono oggetti di uso comune e dal modico prezzo che hanno fatto la storia del design, dell’innovazione e dell’arte. Tanto che il Museum of Modern Art, meglio noto come MoMa, di New York ne ha raccolto oltre 100 in una mostra dal titolo Humble Masterpieces. Parte di questi oggetti sono poi confluiti in una collezione permanente che, ad oggi, comprende più di 3 mila capolavori qualificati dal Museo come useful (utili) e humble (umili). Della collezione fanno parte, tra gli altri, la spilla da balia, il Chupa Chups, il cartone delle uova, lo scotch, le pile Duracell, il post-it, le forbici, il cubo di Rubik, la bottiglia di plastica, e anche la penna più venduta al mondo. Nel settembre 2006 è stata infatti venduta la centomiliardesima BIC Crystal.
La penna non è un oggetto. Secondo D. A. Norman, è un artefatto cognitivo che espande le capacità della mente. Grazie alla sua capacità di supportare il ragionamento, la penna è unostrumento di pensiero.
Com’è nata la BIC?
È il dicembre del 1950 quando il barone Marcel Bich, torinese naturalizzato francese, mette in vendita la sua prima Bic Cristal. Non una invenzione rivoluzionaria, ma una penna biro migliorata. Marcel Bich è figlio di un ingegnere minerario di origine valdostana. A causa delle scelte, anche imprenditoriali, fallimentari del padre, Marcel non ha la possibilità di frequentare l’università.
I principi alla base della sua azienda, racconterà in seguito «non sono stati plasmati da un’istruzione formale proveniente da una scuola di business francese o americana, ma piuttosto dalla dura scuola del business pratico in cui sono entrato all’età di 18 anni come semplice matricola». Fattorino, rappresentante di insegne luminose, venditore porta a porta, infine impiegato. Da questa ultima esperienza comprese quanto detestasse la burocrazia. E quanto il suo carattere e il suo spirito avessero bisogno di un contesto diverso per potersi esprimere. Era fermamente convinto che sarebbe diventato ricco. Il tempo gli darà ragione.
La necessità è madre dell’invenzione
Nel 1945 insieme al socio in affari E. Buffard fonda la Société PPA (poi Société Bic). Un acronimo, PPA, che indicava il tipo di specializzazione: porta penne, porta lapis e accessori. Dapprima rivenditori, con il tempo iniziarono a produrre in proprio, in particolare componenti delle penne stilografiche.
Un giorno un cliente ordinò alcune migliaia di fusti per penne a sfera. Marcel sconsigliò il cliente dall’investire in quel settore merceologico. «Le penne a sfera sono destinate al fallimento». Il motivo? Secondo l’imprenditore macchiavano troppo ed erano costose.
Ma qualche tempo dopo ci ripensò intravedendo in quello strumento di pensiero una grossa opportunità di business. Nella versione francese della storia l’illuminazione gli venne un giorno mentre era in giardino. Mentre la sua carriola scavava un sottile solco nella terra smossa del suo orto si domandò cosa fosse la penna a sfera. «Semplicemente l’applicazione della ruota alla scrittura», avrebbe pensato.
C’è chi crede invece che a Bich l’illuminazione gli sia venuta dopo aver visto una penna a sfera prodotta da László Bíró. Solo allora si convinse che la penna a sfera aveva un potenziale. A patto che fosse senza difetti, di basso costo, utilizzabile in ogni luogo dall’ufficio alla scuola. La sua value proposition era chiara: democratizzare l’accesso alla parola scritta, rendendo accessibile a tutti la sua penna.
La società investì nei due anni successi nella ricerca e sviluppo dell’idea. E, nel 1950, mise sul mercato la sua penna al costo di 50 centesimi di franco. La penna, fabbricata con sofisticati macchinari svizzeri, in uso al settore dell’orologeria, durava a lungo, l’inchiostro inodore non perdeva né intasava la sfera, aveva un design accattivante. Ma la penna sottile come una matita, trasparente come il vetro e resistente perché di plastica incontrò un primo ostacolo: i distributori tradizionali.
In un primo momento infatti le cartolerie si rifiutano di mettere a listino il prodotto perché aveva un design dozzinale, per alcuni addirittura brutto, rispetto alle altre penne presenti sul mercato. Il secondo ostacolo erano le abitudini e la resistenza al cambiamento: l’uso di penna e calamaio nelle scuole era consolidato da tempo.
Buona produzione + buona pubblicità = buoni profitti
Bich non molla e non cambia il prodotto ma si rivolge al pubblicitario P. Guichenné, il quale consigliò di togliere la h a Bich e lanciare il marchio Bic. Dal suono meno duro, facile da ricordare, adattabile globalmente, in linea con le tendenze di branding dell’era post-bellica. A fare il resto una campagna pubblicitaria memorabile che farà della Cristal un successo.
Al successo seguirono però alcuni guai giudiziari. H.G. Martin, socio di Bíró, e, al tempo, manager della svizzera Biro Patente citò in giudizio Bich per violazione di brevetto. In tribunale Bich perse. Fu condannato a pagare un milione e mezzo di franchi alla Biro Patente. Gli furono pure confiscate tutte le Bic Cristal prodotte e depositate nei magazzini.
Il barone non si perse d’animo. Si recò nottetempo a Zurigo prima della seduta di appello. E dopo un colloquio con Martin, verrà siglato un accordo. Bich avrebbe versato 100 milioni di franchi a Biro Patente nel giro di due anni.
Secondo Bich la formula vincente per fare impresa era contenuta in questa espressione: P+P = P (buona produzione + buona pubblicità = buoni profitti). Risolti i problemi giudiziari e soddisfatta la prima P, Bich investì nella seconda P assumendo il designer di poster R. Savignac, grazie al quale vinse il premio francese Oscar de la publicité. È lo stesso designer a creare, nel 1960, il logo che è rimasto invariato nel tempo: il Bic®Boy. Savignac, in occasione del lancio della nuova campagna Nouvelle Bille, disegna un bambino con la testa a sfera, posizionandolo davanti a una penna e accanto alle lettere BIC.
Nel 1959, la penna Bic fu venduta nel mercato americano con lo slogan Writes the First Time, Every Time!. Nel 1965, il Ministero dell’Istruzione francese approvò l’uso della Bic Cristal nelle scuole. Nel settembre 2006, la Bic Cristal fu dichiarata la penna più venduta al mondo dopo la vendita della centomiliardesima unità. Un successo enorme che relegherà le stilografiche a oggetto da sfoggiare in occasione della firma di documenti importanti o da regalare in particolari momenti.
Se a Loud spetta il merito di aver ideato la penna a sfera, a Bíró quello di averla resa funzionante e commerciabile e a BIC quella di averla ulteriormente migliorata e trasformata in un oggetto quasi culturale. BIC è oggi sinonimo di prodotti economici, usa e getta, di uso quotidiano, come il rasoio, l’accendino, i profumi e la lingerie da indossare e cestinare. Ma questa è un’altra storia di successi e fallimenti che racconteremo in un’altra lezione. E che nuovamente vedrà intrecciarsi il destino commerciale di Bíró e Bich. A riprova che le innovazioni nascono da sfide condivise e rivalità stimolanti.
Le 3 regole d’oro
Le 3 regole d’oro sono contenute nella lettera agli stakeholders del 4 giugno del 1973, che Marcel Bich scriverà in occasione della quotazione alla Borsa di Parigi.
Ridurre il ricorso a finanziamenti esterni per gli investimenti. Lo sviluppo di Bic «è stato ottenuto assumendo dei rischi. I guadagni potenziali aumentano in proporzione ai rischi assunti. Più si rischia, maggiori sono le possibilità di vincere… o perdere. La soluzione più pratica è coprire tutti i rischi fin dall’inizio, e così non si può perdere. Questo spiega perché non troverete nel nostro bilancio alcun debito a medio o lungo termine».
Avere fiducia nelle persone. «La nostra azienda è fermamente contraria alla tecnocrazia. La tecnocrazia comporta un costo di produzione elevato e, cosa più preoccupante, una morale bassa tra i dipendenti che diventano scoraggiati e annoiati con lavori in cui non possono prendere alcuna iniziativa. Con la fiducia nei lavoratori tutto diventa più facile».
La necessità è madre dell’invenzione. «Conciliare le necessità finanziare, industriali e commerciali con la fiducia nelle persone non è sempre facile. BIC cerca di affrontare questa sfida nella sua pratica quotidiana: la necessità è madre dell’invenzione».
Dai bisogni e dalle frustrazioni quotidiane possono nascere innovazioni straordinarie. La storia della penna a sfera ne è una dimostrazione. E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu