A fronte di un tasso di disoccupazione giovanile del 22,3%, il 45% delle aziende italiane non riesce a reperire manodopera necessaria allo sviluppo. I progetti pensati per ridurre il gap
I dati sulla disoccupazione giovanile in Italia sono molto preoccupanti. A fronte di un tasso del 7,8%, che sale al 22,3% tra i giovani. E i neet (not in education, employment or training) italiani sono 3 milioni tra i 15 e i 35 anni; il 23.1% tra i 15 e i 29 anni. Il nostro Paese è fanalino di coda rispetto agli altre nazioni europee (dove la media è del 13%), siamo dietro alla Romania. Per colmare questo gap è necessario investire sulle competenze, facendo leva soprattutto su nuove tecnologie, sostenibilità e soft skills. Con l’obiettivo di monitorare i fabbisogni di nuove competenze e di rigenerazione di figure professionali a sostegno dei nuovi business in settori strategici è nato Look4ward, l’Osservatorio per il lavoro di domani, realizzato da Intesa Sanpaolo con l’Università LUISS Guido Carli in partnership con SIREF Fiduciaria, Accenture e Digit’Ed.
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Disoccupazione, i dati italiani
«Sono 80mila i laureati italiani immigrati all’estero negli ultimi 10 anni – ha affermato Elisa Zambito, responsabile di Valorizzazione del Sociale e Relazioni con le Università di Intesa Sanpaolo – E i dati raccontano un disagio lavorativo delle giovani generazioni, con una disfunzione tra domanda e offerta di lavoro. Da un lato, le aziende crescono ma non trovano profili adeguati; da un altro i giovani non hanno le competenze atte a soddisfare i bisogni del mercato».
Una perdita di capitale umano decisamente importante considerando anche il fatto che in Italia sono davvero pochi i giovani che occupano posizioni apicali a livello aziendale. Secondo l’Osservatorio, infatti, i top manager under49 sono diminuiti nell’ultimo decennio del 40% mentre gli over 70 sono cresciuti del 27%. «Il fenomeno dei neet, inoltre, crea un problema enorme al Paese – ha affermato Davide Dattoli, vice presidente e founder di Talent Garden – Nelle altre nazioni del Nord Europa c’è uno sforzo da parte delle istituzioni di formare i giovani: lo stesso non si ravvede in Italia». E in un Paese dove si fanno pochi figli ma si vive a lungo, ancora poco ci si è concentrati sugli effetti che questo cambio di passo comporta. «L’Italia è passata da una terra che produceva capitale umano in modo massivo a un paese che lo “importa” – ha affermato Francesco Billari, Rettore dell’Università Luigi Bocconi – Il 15% dei nati in Italia hanno entrambi i genitori stranieri ma restano stranieri per molti anni: una situazione che dobbiamo trasformare in opportunità. Oggi si pensi che i neonati sono pari al numero di immigrati. E in Italia le aziende crescono molto lentamente, con un tasso del 7% contro il 15-18% delle aziende francesi e tedesche».
E in materia di gender gap non siamo messi meglio. «Il 50% delle donne di questo Paese non lavora, e la restante parte opera in settori con contratti “fragili”», ha affermato Paola Mascaro, Marketing e Communication director di Accenture.
Cosa fare per ridurre il gap
Se il fattore tempo è fondamentale per risolvere il mismatch, riconvertire le posizioni lavorative resta un’altra priorità. «Oggi il manager ragiona per skills, non più per ruolo, e riorganizza il lavoro sulla base delle competenze che già ci sono, avviando anche programmi di formazione interna», ha affermato Gian Luca Mondovì, direttore della unit Business Development dell’Humanitas. Allo stesso tempo, però, mancano piattaforme di collegamento tra nuove richieste e competenze disponibili e a subire il colpo è, soprattutto, il terzo settore. «Vogliamo legare le sfide all’impatto delle progettualità delle imprese e delle istituzioni identificando i driver di cambiamento – ha affermato il professore Paolo Boccardielli dell’Università Luiss Guido Carli – Il terzo settore è centrale in questo Paese e sta profondamente cambiando, verso un modello ibrido che è stato avviato con la pandemia. Nei prossimi 10 anni avremo a che fare con una società molto diversa».
E, spesso, ci sono gli strumenti ma non si sa come applicarli perché mancano le competenze. «Ci stiamo chiedendo cosa trasferire ma non come farlo – ha affermato Mario Vitale, Chief Commercial Officer di Digit’ed – Se il digitale rappresenta uno strumento essenziale, da un altro lato le competenze vanno insegnate a una popolazione che è cambiata nel modo di apprendere».
Progetti e best case
Attraverso la promozione di iniziative per la formazione e l’inclusione dei giovani, in un quadro complessivo di interventi a forte valore sociale, si può riuscire a cambiare qualcosa. Qualche esempio è rappresentato dal programma “Giovani e Lavoro”, avviato nel 2019 per incrociare esigenze delle imprese e skills dei giovani. «Per accedere al programma non si richiedono skills specifiche, ma si deve passare una selezione che prevede percorsi brevi ed esperienziali – ha affermato Paolo Bonassi, responsabile direzione Strategic Support Intesa Sanpaolo – Siamo partiti nel 2019 con 3 corsi nei settori alberghiero e del digitale, dedicati a sviluppatori. Oggi siamo presenti in 15 regioni e l’80% dei ragazzi che completa il percorso trova lavoro». “Social Intelligence” è, invece, stato pensato in contrasto alla povertà educativa e al fenomeno dei neet. In collaborazione con Nuvola Verde e Talent Garden, Intesa Sanpaolo ha anche creato percorsi di orientamento virtuosi per i ragazzi attraverso i social media e, con TAG, “Ideas2Grow”, un programma che rappresenta un incentivo all’imprenditorialità nel settore dell’Agritech. «Si tratta di un’iniziativa che parte dal Sud, dove c’è necessità di investire in modo concreto con le aziende e i territori per la valorizzazione delle idee imprenditoriali più innovative con azioni di sistema volte a generare un impatto forte e concreto», ha affermato Davide Dattoli.
L’Osservatorio Look4ward
L’Osservatorio lanciato da Intesa Sanpaolo si occupa, ogni semestre, di pubblicare uno studio qualitativo e quantitativo sulle competenze del mercato del lavoro nei settori Hospitality, Agrifood, Energy, Social & Health, Banking, It, con focus verticali su trend di rilievo – neet, passaggio generazionale, silver economy, blue economy e altri. «Si tratta di una reale opportunità per lanciare una roadmap e un diverso approccio al tema dei “neet”, una parola che non ci piace e che vogliamo convertire in “teen“, che sta per “territorio”, “engagement”, “empowerment”, “network”», conclude Elisa Zambito. La mission dell’Osservatorio è quella di far emergere quali sono le priorità necessarie alla riqualificazione delle figure professionali e favorire l’inclusione socio-lavorativa.