I progressi scientifici da una parte ci consentono di vivere meglio e più a lungo, ma dall’altra stanno portando a una perdita di empatia tra medico e paziente e una crisi della sanità. La denuncia di Domenico Ribatti nel suo libro” La buona medicina. Per un nuovo umanesimo della cura”
La lingua inglese utilizza tre termini differenti per indicare la malattia: disease, illness e sickness. Il primo indica lo stato fisiologico di un organismo e la sua alterazione; il secondo la percezione soggettiva del malessere; infine la sickness il modo in cui la società rappresenta la malattia. Questo perché la malattia è allo stesso tempo “concetto patologico, condizione esistenziale vissuta dal paziente e condizione percepita da coloro che stanno intorno al malato”. Esordisce così nel suo ultimo libro “La buona medicina. Per un nuovo umanesimo della cura”, edito da La nave di Teseo, Domenico Ribatti, professore ordinario di Anatomia umana all’Università degli Studi di Bari. A indicare come in realtà la medicina e quindi i medici, non dovrebbero occuparsi esclusivamente dell’aspetto più tecnico della malattia, ma adottare un approccio olistico che abbia anche un risvolto più umanistico.
Il medico “tecnocrate”
Una strada che secondo Ribatti i medici da tempo hanno perso di vista – pur con le dovute eccezioni – portando a una crisi nel rapporto tra medico e paziente: “Nel corso degli ultimi 10-20 anni di pari passo con il progresso tecnologico della medicina si è perso quel rapporto di fiducia che è necessario tra due esseri umani” racconta a Startupitalia. “Il medico è sempre più un tecnocrate e ha sempre meno tempo a disposizione per le persone che assiste. Mentre invece l’empatia è fondamentale, come dimostrano anche numerosi studi scientifici, anche per una buona risposta da parte del paziente a parità di approccio terapeutico. Invece si ha l’impressione che il medico sia diventato un tecnocrate, più interessato a come funziona la malattia che alla qualità della vita dell’ammalato”.
…e il paziente informato
D’altra parte anche il paziente nel tempo ha sviluppato un atteggiamento iper-critico nei confronti di questi specialisti. Sia a causa degli strumenti oggi disponibili, come internet, che ci consentono di svolgere indagini preliminari (“nell’era pre-internet avremmo dovuto avere a casa i trattati di medicina per informarci su possibili patologie” commenta Ribatti). Sia a causa dei numerosi pareri contrastanti che si sentono ogni giorno e disorientano il cittadino. Un esempio su tutto l’attuale pandemia di Covid-19, durante cui il sommarsi caotico dei tanti e a volte contrastanti pareri di esperti non ha fatto che aumentare lo scettiscismo dell’opinione pubblica.
Verso una disumanizzazione della medicina
“Con queste pagine ho voluto lanciare una sorta di allarme per i colleghi” spiega Ribatti, attento osservatore e critico del mondo sanitario che da sempre ha avuto un grande interesse per discipline umanistiche, oltre che per la ricerca medica. “Sono sempre stato attirato anche da tutto ciò che appartiene agli esseri umani, quegli aspetti più intimi della nostra vita, di cui la malattia fa parte. È un’esperienza che mette in risalto queste componenti e c’è chi non ha la sensibilità per coglierlo. Anche se oggi viviamo più a lungo grazie ai numerosi progressi in ogni campo, la medicina sta andando alla deriva a causa di una sorta di disumanizzazione del mondo in cui viviamo, che si ripercuote anche su questa disciplina”.
Un nuovo umanesimo della cura
Ribatti quindi parla di un nuovo umanesimo della cura, del ri-appropriarsi di una dimensione umana. Un tempo in fondo i medici di famiglia non avevano tutti gli strumenti che hanno oggi, ma erano ancora di più un punto di riferimento per la comunità. Non erano solo medici ma anche una sorta di confidente, a cui ci si rivolgeva per dirimere questioni che andavano al di là della medicina, come ricorda ancora l’esperto. Oggi invece il tempo dedicato all’ascolto del paziente è sempre meno e spesso esistono figure che si frappongono – come le segretarie che fanno da filtro per gli appuntamenti o la richiesta di visite mediche e farmaci – creando ancora più distanza.
“Il tutto ha portato a una crisi dell’assistenza sanitaria territoriale – sottolinea Ribatti – come ancora questa pandemia ha avuto modo di mettere in risalto. La rete di medici di medicina generale che dovrebbe stabilire un filtro tra il paziente e l’ospedale viene meno e comporta anche un sovraccarico nei confronti delle strutture ospedaliere. Una situazione che oggi con il Covid è ancora più stressata”.
La crisi parte dalle università
L’analisi di Ribatti però va oltre toccando temi differenti come l’università e la formazione, la sanità pubblica e privata, la medicina difensiva e l’aumento dei contenziosi legali tra medici e pazienti, la pressione dell’industria del farmaco, le problematiche relative al fine vita e al testamento biologico, l’aumento dell’età media nella popolazione.
La crisi che sta attraversando la medicina passa infatti anche dalle aule universitarie, dove ai giovani medici viene proposta una pratica della medicina specialistica già dai primi anni: “E questo è un male perché un medico dovrebbe essere in grado di affrontare anche gli aspetti generali della pratica medica” aggiunge Ribatti. “La capacità dei medici di ascoltare e rispettare i malati nel momento della loro sofferenza è un’arte difficile da insegnare e il suo apprendimento richiede più tempo e denaro rispetto alla padronanza della tecnica. Così oggi, il medico che esce dalle nostre università è portato all’esercizio di una medicina spersonalizzata e tecnologizzata, orientata verso la malattia e non verso il paziente”.
Disuguaglianze sanitarie
Inoltre sempre più anche in Italia – che ha sempre vantato un servizio sanitario di tutto rispetto in grado di fornire assistenza di qualunque tipo a chiunque – si sta perseguendo la strada della sanità privata, che di fatto avvantaggia una parte della popolazione che dispone di più risorse a discapito di altre meno abbienti. “Sempre più italiani rinunciano all’assistenza sanitaria perché non hanno i soldi per pagare una visita o in alternativa devono aspettare mesi” denuncia l’esperto. Ancora una volta la pandemia non ha fatto che aggravare la situazione dislocando spazi e risorse ai pazienti Covid-19, e sottraendole a tutti gli altri pazienti che hanno visto rimandare o annullare visite di routine o diagnostiche. “È stato stimato che nel 2021 e ancora di più 2022 ci sarà un aumento significativo della mortalità dei pazienti oncologici e cardiopatici che non hanno potuto usufruire dell’assistenza sanitaria dovuta” aggiunge Ribatti.
La buona medicina
Da dove ripartire dunque? Sicuramente dalla comunicazione e dalla ricostruzione di un rapporto di fiducia reciproca. “Soprattutto da parte del medico” conclude Ribatti. “Non si possono dedicare all’anamnesi solo 6 o 7 minuti. Non si possono trattare i pazienti con numeri. Va recuperata l’umanità e quel codice etico che è stato in gran parte dimenticato per avere davvero una ‘buona medicina””.