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Dall’Università di Trento arriva una di quelle decisioni che più fragorose e divisive di così non si può. Varando il Regolamento generale di ateneo, il consiglio di amministrazione ha infatti stabilito che d’ora in poi, nelle comunicazioni ufficiali, si userà il cosiddetto femminile sovraesteso. Ovvero, si scriverà professoresse per intendere l’insieme dei professori e delle professoresse o candidate per nominare chiunque si candidi a un ruolo, indipendentemente dal genere. Di più: anche riferendosi alla singola persona, la carica sarà sempre declinata al femminile. Via libera, dunque, a la rettrice al posto di il rettore, la presidente, la direttrice del Sistema bibliotecario… A portare avanti questa più che audace mutazione non è una donna, come ci si aspetterebbe, ma un uomo, il rettore Flavio Deflorian.

I perché di una decisione controcorrente

Racconta il rettore che, puntando a formulare un regolamento che risultasse inclusivo ma anche fluido e leggibile, aveva provato con la formula maschile + femminile (tipo gli studenti e le studentesse), quindi con quella più neutra della schwa che cancella i generi, ma aveva poi optato per un unico genere e, a quel punto, per un femminile esplicitamente di rottura. Consapevole di manovrare una materia incandescente, deve essersi poi messo in attesa delle reazioni, che sono arrivate con la rapidità dei temporali e scavando solchi netti tra detrattori e supporter.  

I perché di chi gli dà ragione 

Il rettore non ha fatto che applicare la comune formula standard, ha commentato chi lo approva, solo che l’ha voltata al femminile. In fondo non c’è persona che si sia mai scandalizzata per quel dire uscire con amici, che sottintende anche con le amiche, o per quei benvenuti a tutti pronunciati serenamente davanti a platee pure in maggioranza femminili. Per non dire delle professioni prestigiose nominate per abitudine al maschile, vedi il primario anche quando si tratta di una primaria o lingegnere e il ministro, che appena da una manciata d’anni si sono guadagnate il beneficio della a. La lingua quotidiana – sostengono –  è imperniata sugli uomini e fino a oggi le donne si sono dovute adeguare. Le parole possono cambiare il mondo, ma le nostre sono lo specchio invecchiato di asimmetrie tra i generi che è ora di superare: cominciamo a usarle con giustizia e piano piano si cureranno anche gli ingiusti squilibri. 

femminile sovraesteso 1

I perché di chi si oppone 

Chi contesta la decisione del rettore chiama, invece, in causa la carica ideologica del documento accademico e si oppone al tentativo di cancellare secoli di stratificazione linguistica e culturale: si tratta – contestano in sintesi- di un ingorgo della logica, di una forzatura che inquina la correttezza della lingua. Per giunta – aggiungono – se si pensa di risarcire le donne degli squilibri patiti, si è imboccata la strada sbagliata: ci sono questioni ben più rilevanti e cruciali del mettere mano alla lingua! Il dissenso è culminato nella petizione su Change.org Il femminile sovraesteso”? No, grazie con la quale si chiede al Governo di esprimersi e al rettore di rimettere mano al regolamento in quanto le linee guida “sono contrarie al buon senso e avverse al senso comune linguistico e alla declinazione pubblica e istituzionale dell’italiano, che deve rispondere alle esigenze di tutta la comunità nazionale”.  

Ma, alla fine, chi ha ragione? 

Praticare l’inclusione significa guardare al mondo da altri punti di vista, specie  da quelli delle persone che sono meno rappresentate, anche sul piano linguistico, in questo caso le donne. Motivando la decisione del consiglio di amministrazione, il rettore ha detto di avere scelto il genere femminile anche per mantenere all’attenzione degli organi di governo la questione delle discriminazioni di genere. «Leggere il documento mi ha colpito», ha commentato. «Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali». 

Scegliere di dire le rettrici per intendere anche i rettori non può – è chiaro – costituire una soluzione, perché non è inclusivo, non rappresenta tutte, tutti, come del resto non fa neppure la formula opposta. Dall’altra parte, è legittimo desiderare che il linguaggio con il quale ci si esprime sia scorrevole, leggibile e non ceda a integralismi o a mutazioni repentine decise a tavolino. Detto ciò, una lingua non è mai data per sempre: la lingua è flusso, è materia vivente e perciò già di suo si trasforma, si innova, si allarga, accompagnando – e qualche volta anticipando – i cambiamenti sociali e culturali. Lo fa da sempre. In fondo, attraverso la sua scelta simbolica, la rettrice (femminile sovraesteso) non ha voluto risolvere un problema, ha voluto porlo. Ha voluto dire: esistono persone, molte, che si sentono escluse dalla lingua che parlano e noi dobbiamo farle sentire dentro. Ci sono proposte?