Dopo il primo sciopero femminista nel 1975, le donne di questo Paese dell’Europa settentrionale hanno ottenuto sempre più parità. Oggi, grazie anche a un programma educativo dedicato, guidano la classifica del World Economic Forum sul divario di genere
Fredda com’è e lontana dai riflettori della politica internazionale sembra difficile pensare che l’Islanda possa avere un primato sociale che tutte le altre nazioni del mondo le invidiano. Eppure quest’isola dell’Oceano Atlantico settentrionale guida da sei anni la classifica del World Economic Forum degli stati più avanzati per quanto riguarda il divario di genere. Norvegia, Finlandia e Svezia la seguono a ruota, a dimostrazione che sono i Paesi nordici i più virtuosi nell’empowerment femminile. Nonostante una popolazione di non più di 330 mila abitanti e una densità abitativa scarsa, l’Islanda è riuscita a dotarsi di 19 scuole, tra asili e scuole elementari, che dedicano programmi appositi alla formazione delle ragazze per lo sviluppo della forza fisica e del coraggio, lasciando da parte gli stereotipi sulla cucina e le lezioni di piano.
Il primo sciopero femminista islandese
La fondatrice di questo programma educativo si chiama Margrét Pála Ólafsdóttir. Il progetto è stato lanciato una ventina di anni fa, ma si è innestato su un tessuto sociale in via di rinnovamento e già attento alle tematiche femministe. È dal 1975 che le donne islandesi hanno cominciato a guadagnare progressivamente uguaglianza e libertà sopra la media nella conduzione di uno stile di vita moderno. Le ragioni storiche di questo processo sono forse da rintracciare nella realtà economica islandese che per secoli ha costretto le donne a rimanere da sole a casa mentre i mariti erano per mare. La necessità di gestire in autonomia la casa e provvedere al sostentamento dei figli ha fatto di mogli e compagne delle perfette massaie, ma anche delle cacciatrici, delle costuttrici e delle coltivatrici. Nel 1975 questo ruolo sociale fondamentale delle donne, però, non era adeguatamente riconosciuto a livello politico e legislativo. Il 24 ottobre 1975, 25 mila donne islandesi, un quinto della popolazione femminile totale, decisero di scendere per le strade di Reykjavik per uno sciopero generale in grado di paralizzare la nazione.
Il posto migliore al mondo per l’occupazione femminile
Da quel momento le donne sono riuscite a costituire anche un loro partito, la Women’s Alliance, e a ottenere un terzo dei seggi in Parlamento, già nel 1999. L’anno successivo lo Stato ha elaborato una legislazione per il congedo parentale sia per le mamme che per i papà. Il coinvolgimento degli uomini nella cura dei figli non solo ha favorito il ritorno al lavoro delle donne, ma ha distribuito a tutta la popolazione la responsabilità educativa domestica dei più piccoli, tradizionalmente demandata alla sola popolazione femminile. L’Islanda oggi è considerata il posto migliore al mondo per le donne lavoratrici secondo una classifica realizzata dall’Economist. La percentuale di donne occupate raggiunge l’80 per cento. Grazie a delle quote obbligatorie, metà dei consigli di amministrazione è rappresentato da donne e circa il 41 per cento degli studenti universitari. Questo non significa che la totale parità è stata raggiunta. Ancora bassa è la percentuale di donne manager e, soprattutto, notevole è la distanza tra gli stipendi degli uomini e quelli delle donne, più bassi del 14 per cento. Questo problema, condiviso con altre nazioni occidentali, è legato principalmente a due fattori: l’impiego delle donne in occupazioni a bassa retribuzione e l’accesso più consistente al part-time.
Il rap contro le differenze di genere
Noreena Hertz del The Guardian ha intervistato le componenti di un gruppo rap che ha fatto delle tematiche femminili il centro della sua produzione. Il gruppo si chiama Reykjavíkurdætur (Le figlie di Reykjavik) e ha affrontato con la sua musica anche il problema della diversità di salari tra uomini e donne. Secondo loro il problema risiede anche nella riluttanza delle donne a chiedere la giusta paga: «È come se non potessimo essere presuntuose. Si dà per scontato che noi siamo modeste», dice la rapper Bloer Johanusdottir. Il governo islandese si è impegnato ad appianare ancora di più le differenze di genere entro il 2022. Le donne nel frattempo non rinunciano alla loro battaglia, condotta individualmente o in gruppo, spesso attraverso mezzi di aggregazione come Facebook.