Per due anni consecutivi nelle primissime posizioni al mondo e in Europa tra i migliori incubatori universitari d’impresa, adesso il Polihub si “apre” a Cina, Uk e internazionalizzazione. Il Ceo, Mainetti: «No, non è fuga dei cervelli»
E’ uno dei 1.200 incubatori universitari d’impresa nel mondo, il quinto, lo scorso anno, nella top 25 mondiale, solo dopo gli incubatori universitari britannici, statunitensi e canadesi. Il secondo, in assoluto, tra quelli europei.
Fin qui le classifiche, e dopo un anno di stop nel 2017 ripartirà il benchmarking da parte di chi monitora (e giudica) gli incubatori universitari per capire se queste posizioni potranno, come auspichiamo, essere addirittura superate. Perché oltre alle idee e al modello, dalla parte del Polihub di Milano ci sono anche i numeri. In una parola: soldi. 17 milioni di euro, tra raccolta e fatturato aggregato delle startup accelerate e dei progetti incubati e di distretto. E un’attenzione “ai” e soprattutto “dai” mercati internazionali che segna un trend in fortissima crescita.
Per tracciare un bilancio del 2016 che si sta per chiudere e capire insieme cosa aspettarci per e dall’ecosistema il prossimo anno, ma anche quello che Polihub farà nel suo 2017, abbiamo intervistato il Ceo, il prof. Stefano Mainetti.
“L’ecosistema cresceva del 200%, poi ha rallentato”
Professore, sinceramente, cosa te ne pare di questo 2016?
«E’ stato un bel anno, perché comunque 200 milioni è un buon indicatore e stiamo avvicinandoci a Spagna, Franca e Germania. E’ stato un anno tutto sommato bello, ci son state delle exit. Insomma, sono piuttosto contento di come sono andate le cose. Per quanto riguarda l’Italia, già nel primo semestre si era mosso bene Invitalia Ventures. Complessivamente, a livello di ecosistema la speranza era mantenere il trend di crescita, che nel primo semestre era 200%, ma non possiamo dire che non sia stato un bel anno. Son nati nuovi fondi di venture capital, ci sono anche fondi pubblici di matching, lo Stato è riuscito a migliorare nella legge di bilancio l’incentivazione e, terzo si consolida come asset di innovazione il mondo dell’università. È stato molto più facile unire mondo di startup e impresa. Noi come Polihub con l’osservatorio startup intelligence e i 40 innovation manager che si incontrano ogni 15 giorni stiamo già assistendo alla nascita di molte iniziative di collaborazione… facciamo quel mix che è potente, perché la grande impresa vuole innovare, e con le startup abbassa i costi di ricerca e sviluppo, dall’altro lato la startup che fa fatica a avere clienti ha da subito un parco clienti su cui lavorare».
Cos’è cambiato di più, non solo a livello di mercato ma anche a livello di “sensibilità” nei confronti dei temi dell’innovazione, rispetto agli scorsi anni?
Diciamo che il tema è rimasto “mediaticamente” spinto, però finalmente i migliori ci sono e si vedono. Percepisco che la qualità inizia ad essere filtrata. Capire e seguire la direzione della qualità anche per noi che siamo un incubatore universitario è molto importante. Son contento di quello che sta accadendo perché finalmente anche il nostro ecosistema, seppur con molti ritardi, inizia a maturare. Si inivia, insomma, a lavorare bene. E certamente gran parte del merito è anche della vostra testata».
Più brevetti che seed
Nel 2016 sono raddoppiati gli investimenti in startup, e in totale sono stati investiti quasi 200 milioni. Una buona notizia, o non basta?
«E’ una buona notizia, ci mancherebbe. Però non è che se a un adolescente riesci a insegnare una formula matematica, una derivata questo diventa subito più bravo…» (sorride)
Spiegaci meglio?
«Dico che non servono solo i soldi, serve creare soprattutto delle condizioni favorevoli. Si potrebbero, ad esempio, contabilizzare le perdite. E poi ci sono dei punti molto importanti. Pensa che noi a Polihub abbiamo molti inventori ed è difficile trovare chi mette i primi 50K. Insomma, ci sono tanti brevetti ma non ci sono grandi fondi specializzati su quello, mentre ce ne sono molti impegnati in round di seria A e B. Ecco, una delle novità di questo 2016 è la nascita di Primomiglio sul fronte dei pre-seed e seed, e speriamo che serva a colmare presto questo gap».
Tutti i numeri di Polihub nel 2016
Però a quanto ci risulta avete comunque ottimi numeri, tra i migliori in Italia. Vogliamo ricordarli?
«Le startup incubate da noi hanno raccolto 17 milioni.. il perimetro, noi misuriamo le startup che stanno dentro il nostro incubatore e dentro le sedi remote del Politecnico di Milano. Il numero delle startup è cresciuto. Abbiamo 100 iniziative incubate, 30 in corso di accelerazione, 6 progetti imprenditoriali che sono incubati in fase di pre-seed, e 46 startup fondate che hanno ottenuto finanziamenti. E poi 18 aziende sono in fase di scale up, con un fatturato aggregato di 17 milioni e mezzo. Le chiamiamo iniziative di distretto, perché noi siamo uno startup district e incubator. Abbiamo per esempio Tattile, azienda che realizza dispositivi e software per i tutor autostradali, e che tiene dentro il Polihub la parte di ricerca e sviluppo».
A proposito di startup. Quali sono le 3 del vostro portfolio che hanno fatto meglio nel 2016?
«Di quest’anno siam molto contenti di GreenRail, Leaf Space per l’aerospaziale (che ha chiuso un round da 1 milione, ndr), e poi Fabtotum, che come sapete ha fatto l’exit».
La sfida del 2017: internazionalizzazione (si parte da Cina e Uk)
Quali sono i trend del 2017 per l’ecosistema dell’innovazione? O meglio, c’è un appuntamento col mercato, una sfida, che non vorrai mancare nella tua agenda per il prossimo anno?
«Noi ancora investiamo sul trend dello scorso anno, l’open innovation. Bisogna spingere. Però per noi il 2017 è l’anno dell’internazionalizzazione. Per esempio, abbiamo attivato come Politecnico un corso di laurea in Cina, e quindi abbiamo messo a punto anche accordi tra i nostri rispettivi incubatori, per cui le migliori startup incubate in Polihub le mandiamo in Cina per capire se hanno spazi anche in quel mercato. E poi, sempre a proposito di internazionalizzazione abbiamo dei programmi che aiutano a lanciare in una settimana lanciare una startup in Uk, aprire una Ltd, incontrare Vc per costruire un round…»
E, però passaci la provocazione: internazionalizzazione, Cina, Uk… se li spedite tutti fuori qui poi non rimarrà nessuno. Non è fuga dei cervelli?
«No, no. Le operation restano qui in Italia (sorride, ndr)».
Aldo V. Pecora
@aldopecora