Non solo: oltre al gommone, il progetto “Pianeta Migranti” ha portato in aula anche la riproduzione di un ufficio di accoglienza ed attori che interpretavano scafisti e sfruttatori
Un conto è vedere le immagini alla TV di chi ogni giorno arriva sulle nostre coste attraversando il mar Mediterraneo, rischiando la vita, cercando la speranza per fuggire una tragedia. Un altro è provare sulla propria pelle quello che vivono le persone che partono dalla Siria, dall’Africa o da altri Paesi sconosciuti ai nostri ragazzi. Mettersi nei panni dei profughi, dei migranti, anche solo per qualche ora non è un gioco da ragazzi ma un’esperienza che l’onlus “Cies” (Centro informazione ed educazione allo sviluppo) propone alle scuole medie con il progetto “Pianeta migranti”. Non c’è molto spazio per la finzione in questo esperimento. Gli educatori dell’associazione fanno sul serio.
“Voi venite dal Niger e da questo punto vi imbarcherete per l’Italia”. Da quel momento inizia il “gioco”. Serrande abbassate, silenzio. Quelle voci “amiche” improvvisamente assumono un tono burbero. I bambini vengono bendati al buio, consegnati nelle mani degli scafisti e fatti salire su un vero gommone portato in classe. Non ci stanno tutti ma sono costretti a stringersi e a non fiatare. Improvvisamente nessuno più ride. Anzi quando il frastuono delle onde del mare, trasmesse dalle onde di uno stereo, si fa più forte e le voci degli scafisti ancora più severe, qualcuno non capisce più qual è il limite tra la finzione e la realtà. Nulla è lasciato al caso in questo terribile esperimento che serve a far comprendere a questi adolescenti cosa possa provare un loro coetaneo che si ritrova su uno di quei barconi.
Quando le onde si placano e il gommone arriva nell’immaginario porto, vengono condotti in questura: un ufficio ricostruito in un’altra aula dove qualcuno prende le loro impronte digitali. Nessuno ha voglia di parlare con loro. Per qualche minuto quei ragazzi sono solo dei migranti e come nella realtà qualcuno viene “accolto” come rifugiato, altri vengono respinti, considerati clandestini. E’ in quel momento che ci si domanda: e ora? Prima ero persona e ora sono costretto a scappare ancora, a nascondermi? Ad andare in “aiuto” dei ragazzi è ancora una volta un animatore del “Cies” che si immedesima nella parte del “cattivo”, dell’aguzzino. In una nuova classe propone loro di andare a vendere rose, borse, accendini. E’ l’unica via d’uscita per vivere. La “rappresentazione” non risparmia alle ragazzine nemmeno la più crudele delle sorti: la via della prostituzione. L’aguzzino spiega loro come funziona: si lavora dalle dieci di sera all’alba e i soldi vanno la maggior parte a chi fornisce quel marciapiede.
Quando la simulazione è terminata più nessuno dei ragazzi riesce a pensare a quelle immagini viste in televisione con la leggerezza di prima. E’ come se quei volti ora gli appartenessero, gli fossero famigliari. Una lezione di vita che, per ora, è approdata in dieci scuole romane ma presto coinvolgerà altri istituti del Paese che hanno già chiesto alla onlus di intervenire per incontrare i ragazzi, per spazzar via ogni pregiudizio nei confronti dei migranti che si incontrano ogni giorno per strada.