Fanalino di coda in Europa? Non esattamente. La nostra intervista a Claudio Colaiacomo, Vice President delle relazioni accademiche e istituzionali di Elsevier
Uno dei libri manifesto del movimento ecologista globale è Silent Spring, pubblicato nel 1962 e scritto dalla scienziata americana Rachel Carson. Da quei tempi sono passate diverse epoche, contraddistinte generalmente da un disinteresse della politica e dell’opinione pubblica verso l’ambiente e la nostra casa comune. Soltanto negli ultimi anni la transizione ecologica ha assunto non solo dignità nel dibattito, ma centralità nell’agenda. In occasione della Giornata mondiale della biodiversità, parliamo di investimenti in un ambito chiave, ma anche di ricerca. Su 142mila pubblicazioni scientifiche globali sul tema, dal 2017 al 2022, quasi 60mila sono state realizzate in Europa. Cifra che pone il vecchio continente come l’area del mondo in cui perlomeno l’accademia e gli scienziati studiano di più l’impatto delle attività antropiche e della crisi climatica sulla biodiversità.
La nostra casa comune
Partiamo però dalle basi. Cosa si intende con biodiversità? La Treccani ci aiuta a riassumerla così: “diversità biologica, ossia l’insieme della differenziazione, della variazione e della complessità della vita sulla Terra”. Tutti noi facciamo parte della biodiversità. Abituati a pensare all’Italia come fanalino di coda e Paese che rincorre sempre gli altri, è confortante scoprire che siamo invece il primo per cifra investita sulla biodiversità: secondo il report Legambiente 2022, l’Italia guida la classifica con oltre 1,7 miliardi di euro che hanno finanziato più di 970 progetti per la protezione della natura.
In queste molteplici attività per tutelare e valorizzare la ricchezza e il patrimonio naturale, giocano un ruolo fondamentale anche le startup. Qui, ad esempio, trovate una lista di dieci aziende innovative che vi avevamo segnalato per l’ultima edizione della Giornata mondiale della terra, esattamente un mese fa. Ma per quanto riguarda la ricerca accademica? Per capirne di più, con dati e spunti, ci siamo fatti aiutare da Claudio Colaiacomo, Vice President delle relazioni accademiche e istituzionali di Elsevier, editore scientifico tra i più importanti al mondo, con più di 3mila riviste accademiche in ogni ambito, che ha pubblicato in occasione della Giornata mondiale della biodiversità un’analisi sulle pubblicazioni in materia.
Biodiversità: un patrimonio di conoscenza
«Quando si parla di ricerca in Italia si pensa spesso al povero ricercatore senza soldi – spiega Colaiacomo -. Nell’immaginario è questo che spesso viene trasmesso. In realtà i dati sulla produzione scientifica pongono l’Italia tra i grandi player internazionali». Dal 2017 al 2022 nel nostro Paese sono stati pubblicati 840mila paper in totale e quasi l’1% di questi – circa 7.500 – ha riguardato il tema della biodiversità, con una media globale che si attesta allo 0,66%. Trattandosi di paper anche le citazioni sono rilevanti.
Per quanto riguarda l’Italia l’indicatore dell’impatto medio delle citazioni (che confronta il numero effettivo di citazioni ricevute da un articolo con il numero previsto di citazioni per articoli dello stesso tipo di documento) è di 1,73 sempre su ricerche legate alla biodiversità. Dato al di sopra la media nazionale di 1,43. Ciò significa che la ricerca italiana sulla biodiversità è citata di più rispetto alla ricerca su altri argomenti scientifici.
Dove si fa più ricerca
Trattandosi di ricerca, su StartupItalia cerchiamo anche di capire quali possono essere le opportunità per questo patrimonio di uscire dai laboratori e diventare impresa. Il cosiddetto tech transfer a che livello è? «Come editori siamo agnositici a riguardo. Senz’altro nella ricerca c’è un forte fenomeno di trasferimento tecnologico. Pur essendo una minoranza, diverse pubblicazioni portano a brevetti». La vivacità dell’accademia in Italia e la crescita di spin off universitari lasciano comunque ben sperare sullo slancio di ricercatori e ricercatrici per tentare anche la strada dell’imprenditoria. Ne abbiamo parlato di recente con Paola Paniccia Presidente di PNICube.
A questo proposito, le università italiane più prolifiche nella ricerca sulla biodiversità sono La Sapienza di Roma, seguita dall’università di Firenze e di Bologna; a seguire troviamo l’università di Torino e di Milano. Rispetto agli istituti al primo posto c’è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), principale ente pubblico di ricerca del Paese, seguito dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Nell’ambito della ricerca e delle pubblicazioni scientifiche esistono strumenti digitali che aiutano, gli esperti soprattutto, a orientarsi e conoscere i lavori altrui, in tutto il mondo. Scopus, ad esempio, è paragonabile a una sorta di “Google” che Elsevier ha realizzato come biblioteca globale. «Tutto è iniziato 20 anni fa, quando abbiamo acquisito i dati delle case editrici di tutto il mondo. È una banca dati completa». E, visto che se ne parla molto, pure Scopus potrebbe essere interessato da futuri progetti con l’intelligenza artificiale. «Stiamo valutando di proporre una versione più divulgativa, per mettere a disposizione di tutti articoli e contenuti grazie all’AI. Nel frattempo continuiamo con le nostre analisi: vedendo cosa bolle nei laboratori vediamo infatti quel che diventerà interessante in futuro».