Sara Vezza Saffirio ha convertito la cantina puntando sul biologico: presto nascerà un Barolo tutto green. E intanto ha fissato le 10 regole base per la qualità. Eccole
“Non sopportavo più i prodotti chimici che usavamo, mi facevano star male. E volevo poter portare i bambini nella vigna”. Inoltre bisognava ridurre i costi di produzione. Da quando Sara Vezza Saffirio nel 2002 è entrata nell’azienda di famiglia – la Cantina Josetta Saffirio di Monforte d’Alba – non ha avuto dubbi nel passare all’agricoltura biologica. Nel 2014 ha chiesto la certificazione ufficiale e ora è nel periodo di conversione (3 anni). Tra qualche anno vedrà la luce il barolo ricavato dalla vendemmia di quest’anno, con etichetta bio.
“È un vino sensibile alla zona e alla mano del produttore”, spiega Sara, che riconosce di avere un rapporto viscerale con le Langhe: “La mia è stata una presa di coscienza. Sono io che appartengo a questa terra, e non il contrario”. Anche per questo la Cantina Saffirio si è avviata con passione sulla strada della sostenibilità. Con il bio ha messo al centro il “terroir”, termine francese che racchiude i vari aspetti del rapporto del vino col suo suolo d’origine.
Il decalogo della cantina
È un percorso innovativo? Potete giudicarlo seguendo le scelte della Cantina: un decalogo per chi vuole avvicinarsi all’alternativa biologica, senza demonizzare il vino convenzionale. Tenendo a mente che “dev’essere una scelta personale, vissuta nell’esistenza di ogni giorno”. Per Sara è stata spontanea: “Lo si fa per sé stessi, per la propria salute. In fondo, abbiamo ereditato un privilegio a stare qui”.
1. Certificazione ufficiale
“Se non otteniamo una certificazione, il nostro lavoro non lo riconoscerà nessuno, diceva mio padre. Quando l’abbiamo chiesta, erano già dieci anni che seguivamo i criteri bio”, spiega Sara. “Ci sono aziende che vanno nella stessa direzione da trent’anni, ma senza alcun certificato. Così hanno più libertà: si possono usare tanti tipi di concimi, non bisogna preoccuparsi di come lavora il tuo vicino…Noi invece siamo vincolati, ma è una tutela in più per noi stessi e i clienti”.
2. Rispetto per il suolo
Anche il trattore conta. E se è più leggero, la terra si preserva meglio. Una scelta che ha già dieci anni, “siamo partiti con dei prototipi usati nell’edilizia”, spiega Sara. La lavorazione del terreno non è profonda, “non abbiamo fatto quello che viene chiamato ‘lo scasso’ della terra”. E i filari della vigna sono tutti inerbati, per ridurre l’erosione delle acque superficiali (problema tipico di una coltivazione in pendenza).
3. Malattie della vite
Rame e zolfo saranno rimedi antichi, ma funzionano. E soprattutto sono sostanze di copertura che non entrano nel circolo linfatico della pianta. Per la concimazione si usano prodotti organici o il sovescio, un mix di erbe con la funzione di fissare l’azoto.
4. Confezione sostenibile
Il vetro scuro delle bottiglie è riciclato al 90%, e allora perché non usarlo anche per il vino bianco? Conta pure adottare tappi più corti (con le capsule verniciate ad acqua) e delle confezioni con meno cartone. Per l’invecchiamento, la scelta delle botti da 30 ettolitri al posto delle barrique ha un doppio risvolto: in proporzione serve meno legno per fabbricarle, e danno un vino dal sapore con più spazio per il frutto. Se possibile, la produzione del packaging è a chilometro zero. “Meglio aziende piccole, in cui si può parlare sempre con il titolare. E vicine, così gli eventuali problemi si risolvono subito”. Una ulteriore riduzione dei costi, sia per l’ambiente che per il consumatore, “in più c’è la certezza di far lavorare chi ha bisogno”.
5. Trattamento rifiuti
Obiettivo: l’impatto zero. Gli scarti agricoli sono rifiuti speciali, e il loro smaltimento non va sottovalutato. La Cantina Saffirio da qualche anno li ha affidati al consorzio “Cascina Pulita”, uno dei leader nel settore dei servizi ambientali per aziende agricole.
6. Architettura tradizionale
Gli edifici della Cantina sono isolati con il sughero. La produzione di vino avviene al piano terra, l’invecchiamento invece è al livello inferiore: “Sottoterra si raggiunge la temperatura giusta al naturale, senza bisogno di macchinari costosi (per il prezzo e per l’ambiente)”. Per l’elettricità si sono affidati al fotovoltaico. Sara si dichiara “ipercontenta”: “Siamo autosufficienti, anzi produciamo più energia di quanta ne consumiamo”.
7. Risparmio di acqua
Un obiettivo che accompagna tutto il lavoro agricolo. Se ha un simbolo, probabilmente è la macchina-tunnel a pressione, che serve a lavare le cassette ogni giorno durante la vendemmia. La cascina è anche dotata di cisterne sotterranee per il recupero dell’acqua piovana, da usare per l’irrigazione. Per lo stesso scopo è in progetto il recupero delle acque di lavorazione, da purificare con potassa caustica.
8. Pazienza
“Ci vuole tanta pazienza. E per me, impaziente e ansiosa, non è facile!”, scherza Sara. Pazienza per accettare la natura così com’è e “passare tutti gli anni sotto il cielo”. Grande pazienza, grandi speranze. Dal momento della raccolta a quello in cui si può stappare la prima bottiglia passano 4 anni – 6 se si considera la fase della potatura. Ma quando deve nascere un vino famoso in tutto il mondo, la responsabilità verso il proprio territorio non ammette scorciatoie.
9. Qualità, non quantità
“Non ha senso nascondersi dietro al biologico”. Prima di tutto, c’è bisogno di un prodotto buono. È capitato che dietro l’etichetta bio si siano nascosti vini difettati, “c’è stato un momento in cui tutto veniva giustificato in nome del biologico o del biodinamico”. Ma se le mode passano, l’importanza della denominazione d’origine resta. E conta più di ogni altra cosa per il cliente, ovvero “il signore seduto in un ristorante di Manhattan e paga 100 dollari per un prodotto che racconta la Langa”.
10. Impronta carbonica
Prima la lavorazione. Poi le bottiglie viaggiano, soprattutto verso la Scandinavia o negli Stati Uniti. Come è possibile compensare le emissioni di anidride carbonica? Innanzitutto con la fotosintesi delle viti. E poi, nel caso della Cantina Saffirio, con due ettari e mezzo di bosco gestito, “nato come bosco dei bambini, il regalo di un nonno ai suoi nipoti”. Si possono spendere ore per lavorarci – tagliare erbe, pulire bordi, ripristinare le piante seccate – ma la sua doppia funzione è troppo importante per abbandonarlo: “Dobbiamo lasciare ai nostri figli la possibilità di una terra sana”.
Francesco Riccardi