Per combattere l’impatto ambientale di plastica e rifiuti alimentari, a Genova hanno pensato di utilizzare gli scarti vegetali per realizzare un materiale ipertecnologico. Una plastica smart che presto potrebbe arrivare nei nostri supermercati ed aprire la strada anche a nuove soluzioni “commestibili”.
La plastica salverà il pianeta. No, non siamo impazziti. Stiamo parlando di una plastica speciale, creata nei laboratori dell’Istituto Italiano di Tecnologia. O per meglio dire una bioplastica, ottenuta dagli scarti di lavorazione delle industrie alimentari. Sì perché, per ridurre l’impatto ambientale di ciò che mangiamo, i ricercatori dell’IIT hanno deciso di puntare su materiali costituiti da fibre naturali. I cosiddetti smart materials.
Questi ultimi, pur presentando proprietà meccaniche simili a quelle della plastica, a fine ciclo potranno essere riassorbiti dalla natura. Potremo così smettere di produrre plastica dal petrolio ed iniziare ad utilizzare gli scarti vegetali per realizzare plastiche supertecnologiche ad impatto zero.
I numeri che fotografano una realtà allarmante
Un recente studio pubblicato sulla rivista Science stima che negli oceani di tutto il mondo galleggino complessivamente tra 5 e 13 milioni di tonnellate di plastica. Secondo gli esperti, con la popolazione mondiale ancora in forte crescita, entro il 2025 la quantità di plastica potrebbe decuplicarsi, rischiando di trasformare gli oceani in una immensa discarica. Allo stesso tempo, “in Europa produciamo circa 28 milioni di tonnellate di scarti vegetali, circa il dieci per cento di quelli globali”, ci dice Athanassia Athanassiou, responsabile dello Smart Materials Group nel Dipartimento di Nanofisica dell’IIT. Non è più sufficiente dunque, usare sacchetti riciclabili. C’è bisogno di nuovi materiali e innovative tecniche di produzione. Da qui l’idea di riutilizzare gli scarti vegetali per fare “plastica a chilometro zero e di origine controllata”.
Una plastica 100% vegetale ricavata dai rifiuti
Per realizzare la loro plastica smart, all’IIT hanno utilizzano caffè, prezzemolo e cannella. Ma potenzialmente il principio si può applicare a qualunque coltura, per tutto ciò che resta su un campo dopo il raccolto. Ecco perché Athanassiou la definisce “a chilometro zero e di origine controllata”. Un materiale 100% green che, in un sol colpo, potrebbe aiutarci anche a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti biologici. Insomma, dalle verdure alla plastica. Ma in che modo?
Il processo prevede che i residui vegetali – come appunto gli scarti di caffè, prezzemolo e cannella – vengano trattati con solventi o polimeri biocompatibili. In questo modo, si arriva ad un materiale malleabile e versatile, del tutto simile alla plastica derivata oggi dal petrolio, ma completamente biodegradabile. Non solo. Oltre a non impattare sull’ambiente, questi polimeri plastici incorporano le proprietà degli “scarti” da cui sono prodotte. “A seconda del vegetale che viene usato e dalle nanoparticelle con cui lo si arricchisce – precisa Athanassiou – si possono ottenere plastiche antiossidanti oppure antibatteriche. E pure in grado di cambiare colore e fragranza ad ogni stagione”.
In definitiva, miscele diverse porteranno a proprietà meccaniche diverse. In questo modo si potranno ottenere plastiche con proprietà antiossidanti e antimicrobiche dal prezzemolo. Oppure una plastica antibatterica dalla cannella. E ancora, plastiche con la capacità di assorbire metalli pesanti dispersi nell’acqua ottenute dal caffè, o adatte per inserire chip, sfruttando le caratteristiche magnetiche.
Un prodotto dal mercato potenzialmente enorme
Tra le caratteristiche di questi materiali c’è anche l’alto contenuto di olii essenziali che consentono applicazioni nel campo del packaging alimentare. In futuro dunque, i nostri alimenti potrebbero essere riposti all’interno di confezioni anch’esse commestibili. Quello della plastica smart insomma, è un mercato potenzialmente enorme. Dai tappetini per il mouse fino ai fili per la sutura chirurgica, passando per biberon e giocattoli, questi materiali sembrano perfetti per impieghi ad alto valore aggiunto. Il processo di produzione è molto semplice e potrebbe essere ben integrato con la filiera agricola-alimentare, valorizzandone gli scarti con alti costi di smaltimento. “Per partire però per una produzione allargata, bisognerebbe puntare su alcune nicchie: penso agli imballaggi, al settore beauty, alla purificazione dell’acqua e ad alcuni accessori per la moda”, spiega Athanassiou. Unico neo: il prezzo. Il valore della plastica normale è di un euro al chilo, quello della bioplastica è stimato intorno ai 6/7 euro.