L’Oréal, multinazionale nata alle porte di Parigi, continua un percorso di trasformazione infondendo tecnologia e ricerca in prodotti che puntano a incidere sulla vita di ognuno di noi. Ne abbiamo parlato con Guive Balooch, responsabile globale dell’open innovation del colosso francese
C’è un punto preciso dove si possono collocare oggi gli sforzi di L’Orèal in tutto il mondo: è il punto dove si riuniscono le diverse spinte propulsive che oggi si fanno sempre più presenti e influenti nella scelte e nelle strategie dell’azienda, spinte legate alla tecnologia, alla scienza, alla sostenibilità. Tutte queste iniziative vengono poi fuse insieme, forse sarebbe meglio dire “miscelate” visto che parliamo di un’azienda che è leader della cosmesi, per cercare di generare due effetti principali: da una parte l’innovazione nel prodotto e nell’offerta, dall’altro un cambio di paradigma rispetto a come L’Oréal intende sé stessa e come la percepiscono i suoi clienti. Il risultato è un quadro ricco di dettagli da osservare: con tanti grandi e piccoli passi avanti, e una visione sul lungo periodo che può servire da ispirazione a molti altri.
Miliardi di investimenti, petabyte di dati
A guardare gli ultimi annunci fatti da L’Orèal a livello globale, si potrebbe rimanere sorpresi: annunciate collaborazioni con Microsoft sulla realtà aumentata, novità nei device elettronici offerti al pubblico, l’impegno nell’ambito di alcuni progetti di ricerca medica, istituiti comitati interni per l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi secondo principi etici. Dei prodotti per cui la casa di Clichy è famosa in tutto il mondo, a una prima occhiata, quasi non v’è traccia: ma queste novità sono i mattoni fondanti su cui si basa la strategia a lungo termine di cui parlavamo poco sopra, sono le risorse che nell’intenzione dei vertici dell’azienda dovranno garantire presente e futuro di un’azienda con oltre 100 anni di storia alle spalle.
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Prendiamo il caso della digitalizzazione dei servizi: le analisi di mercato di L’Orèal dicono che, laddove offre servizi in digitale al pubblico, il mercato risponde con una crescita nel volume delle vendite di oltre sette volte. E, inoltre, il digitale consente di fare qualcosa che fino a pochi anni fa era impensabile: consente di avviare una conversazione con il consumatore, di lavorare con lui o lei spalla a spalla per offrire prodotti sempre più personalizzati e rispondenti ai loro desiderata, di costruire un percorso che comprenda a sua volta altri servizi a valore aggiunto per migliorare ancor di più l’esperienza dell’utente finale.
Il tutto tenendo saldi alcuni principi: quando ci sono in ballo terabyte di dati raccolti da varie fonti ogni giorno, giorno dopo giorno, diventa tassativo stabilire i confini etici entro cui muoversi per gestirli, analizzarli, eventualmente utilizzare nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale per estrarne altro valore. Per farlo è indispensabile garantirsi il rispetto di linee guida entro cui muoversi e istituire anche un controllo terzo (esterno) che possa verificare in qualsiasi momento il rispetto di questi principi, cosa che L’Oréal ha scelto di fare già oggi muovendosi in anticipo rispetto alla regolamentazione europea che vedrà la luce solo il prossimo anno.
Vocazione da scienziati
A questo poi si unisce quello che, dalla sua fondazione, è uno dei pilastri su cui si basa L’Oréal: la ricerca, intesa come ricerca scientifica di base e ricerca di nuovi prodotti basati sulle scoperte del team di oltre 4.000 ricercatori che l’azienda ha assemblato in ogni angolo del pianeta. Un team che sforna una media di 500 brevetti l’anno, che dà vita a molecole capaci di cambiare il modo stesso in cui viviamo: nel 1935 il marchio Ambre Solaire commercializzava la prima protezione solare, nel 2022 il marchio La Roche-Posay ha dato i natali al primo prodotto basato su una molecola chiamata UVMune 400 in grado di schermare completamente i raggi ultravioletti.
Ricerca, insomma, partita da quella che definiamo “di base”: studio della pelle, della sua reazione a diverse lunghezze d’onda degli ultravioletti, studi su come costruire uno schermo efficace per le diverse tipologie di UV alle diverse lunghezze d’onda. Ricerca che poi si trasforma in “applicata”, in un prodotto che finisce in vendita: così come accaduto con la nuova generazione di fondotinta capaci di coprire uno spettro sempre più ampio di tonalità della pelle. Ricerca che spazia dalla chimica alla biologia, che comprende un lavoro di sviluppo anche di strumenti e tecnologie di laboratorio che in alcuni casi possono diventare base per sviluppi e ricerche altrui.
Oppure le ricerche in materia biologica per studiare i microbiomi che vivono sulla nostra pelle: che hanno bisogno di essere nutriti e curati giorno per giorno, soprattutto per chi vive in luoghi ricchi di sostanze inquinanti come le grandi città, e che danno vita a una linea di prodotti in grado di agire contro patologie sempre più diffuse come i vari tipi di dermatite. O, ancora, ricerche volte a ridurre l’impatto ambientale della produzione: trovando il modo di estrarre la stessa quantità di principio attivo da una quantità inferiore di materia prima, di migliorare quindi l’efficienza del processo con evidenti vantaggi per tutti.
La visione di Guive
Non è la prima volta che su StartupItalia ospitiamo Guive Balooch, nel frattempo diventato responsabile a livello globale di open innovation e quella che L’Oréal chiama “augmented beauty”. Un concetto che va oltre l’aspetto puramente tecnologico, che abbraccia cioè quanto dicevamo sulle diverse spinte propulsive che contribuiscono allo sviluppo e alla crescita dell’azienda: un principio che va di pari passo anche con la crescita del rapporto con il futuro utilizzatore dei prodotti, che può approfittare di soluzioni allo stato dell’arte in diversi settori.
La prima domanda è legata alle dichiarazioni fatte recentemente dall’amministratore delegato di L’Oréal, anche durante un keynote al VivaTech di Parigi, Nicolas Hieronimus. Di fatto, L’Oréal ha annunciato la partecipazione a programmi di ricerca come quello in partnership con Verily, ma allo stesso tempo ha ribadito che una quantità pari di risorse sarà investita anche nell’innovazione tecnologica. Parliamo di un miliardo di euro l’anno investita sulla ricerca, e di altrettanto nella tecnologia. Una scelta interessante.
Il mio lavoro oggi è tutto costruito all’intersezione tra scienza e tecnologia: di fatto oggi è un po’ come se mi occupassi di due team, quello che lavora alla ricerca&sviluppo e quello che si occupa di open innovation per tutto il gruppo. Non solo tecnologia, ma anche biotecnologia. Si tratta senza dubbio di una posizione interessante, perché l’unione di queste due materie consente di dare vita a una concreta innovazione in molti settori: Verily è un buon esempio, perché in quel caso la salute va di vari passo con il beauty per dare vita a una medicina di precisione unita a una cosmetica di precisione. Grazie a questo tipo di partnership, inoltre, possiamo lavorare allo sviluppo di una cosmetica sostenibile e accessibile a tutti: offrendo a tutti il prodotto giusto per le loro esigenze.
Una parola che abbiamo sentito ripetere spesso è “etica”: di come sia fondante nel design stesso di progetti che poi vedono la luce sul mercato, ma pure come sia alla base dell’approccio che viene seguito nei vostri laboratori di ricerca. Potrebbe darci qualche informazione in più su quale sia l’approcio L’Oréal in questo senso, come vi assicurate che questi principi vengano rispettati in ogni fase del processo?
Ciò che conta, prima di tutto, è puntare sui giusti valori. Ancora prima di pensare alla tecnologia, ti chiedi: cos’è che voglio realizzare? Qual è il problema che sto cercando di risolvere? Faccio un paio di esempi. Ci sono persone che non riescono a trovare la sfumatura giusta di fondotinta perché non riescono a individuare correttamente la sfumatura della propria pelle; oppure ci sono persone che non riescono a modellare le proprie sopracciglia perché non sono pratiche di questa operazione, o non possono farlo. L’unico modo di offrire una soluzione a queste problematiche è attraverso un approccio etico inclusivo: per risolvere questi problemi devi partire da un algoritmo e da dati che sono a loro volta inclusivi. Basati su persone reali e non una loro approssimazione digitale, frutto dell’interazione con le persone.
Cosa cambia rispetto all’altro approccio?
Questo è un approccio che richiede investimenti, richiede un team che ci lavori. Richiede un approccio scientifico, ed è così che lavoriamo in L’Orèal: se non lo fai, rischi di inserire tecnologia senza risolvere realmente il problema, anzi può essere fonte di enorme frustrazione. Devi partire con una visione chiara di quello che vuoi realizzare, a quel punto supererai tutti gli ostacoli per assicurarti che ogni tecnologia che realizzi funzioni per tutti.
Allo scorso CES di Las Vegas avete presentato Hapta, un prototipo di un dispositivo per consentire anche a chi è affetto da alcuni tipi di disabilità motoria di truccarsi in autonomia. C’è una costante crescita, in questi ultimi anni, di device realizzati da L’Oréal che sono differenti dal classico prodotto cosmetico: qual è l’impegno in questo senso, qual è l’obiettivo in questo caso?
Ci sono alcune richieste che sono un punto nodale per i nostri clienti. Per esempio la skin-care: in questo caso la priorità è individuare il prodotto giusto, quindi abbiamo sviluppato dei servizi che possono essere impiegati ad esempio per comprendere la natura di una pelle affetta da acne. Servizi e device che svolgono una funzione di tipo diagnostico, che analizzano in profondità capelli e cute, che possono essere impiegati a casa tramite smartphone o nei saloni attraverso dispositivi appositi. Non c’è un solo punto di contatto, sono servizi che si integrano tra loro: non intendiamo cambiare le abitudini dei consumatori, ma vogliamo offrire loro sempre maggiore possibilità di scelta e personalizzazione. Per questo continuiamo a sviluppare questi device e servizi, alcuni pensati per l’utilizzo da parte del cliente e altri, invece, pensati per gli spazi retail e altri ancora riservati ai professionisti.
Un altro tema che ritorna spesso è la sostenibilità: un approccio che attraversa trasversalmente tutte le vostre attività. Persino le vostre pubblicità online vengono gestite per ridurre il peso in byte dei materiali video e fotografici utilizzati così da diminuire il consumo di energia. Quali sono i prossimi passi in chiave sostenibilità?
Ormai è un tema, la sostenibilità, che è entrato nel nostro DNA. Fa parte nativamente di ogni aspetto delle nostre attività: nel packaging, nelle fonti energetiche rinnovabili, nella scelte delle materie prime per i nostri prodotti. L’obiettivo è mantenere e migliorare sempre la qualità del prodotto finale, ma rendendo il processo sempre più sostenibile. Le partnership che stringiamo nel settore della genomica e delle biotecnologie servono anche a questo: ma, allo stesso tempo, cerchiamo di garantire massima trasparenza al consumatore sulla provenienza dei materiali utilizzati nei prodotti, dando vita a un vero e proprio “eco-beauty score” che speriamo possa diventare standard per l’industria.
Un impegno che si allarga, quindi.
Stiamo provando ad innovare anche in aree che non sono strettamente di nostra competenza. Per esempio, abbiamo investito in un’azienda che si chiama Gjosa che è funzionale al settore in cui operiamo: i suoi prodotti consentono di offrire un’esperienza di shampoo nei saloni del tutto soddisfacente, ma consumando il 69 per cento di acqua in meno. Quando individuiamo una innovazione rivoluzionaria di questo tipo cerchiamo di essere non soltanto utilizzatori, ma di essere partner che investono e contribuiscono alla sua realizzazione. Il nostro impegno spazia dalla ricerca al packaging, dal marketing all’advertising: ci impegniamo in tutte le aree dove pensiamo possiamo fare la nostra parte.
Cosa ci aspetta allora nel futuro?
Credo molto nella biotecnologia dei microbiomi, vedremo molto in quel settore. Credo che lavoreremo anche sul packaging per usarne sempre meno ma renderlo comunque efficace e funzionale. Un altro settore promettente è quello degli ingredienti naturali, che inizieremo a usare sempre di più come mai prima d’ora. E la diagnostica farà la propria parte: offrire a tutti il prodotto giusto, e nella quantità esatta che gli occorre, ridurrà complessivamente l’impatto del carbon footprint dei prodotti. Vedo davvero i confini tra tutte queste innovazioni farsi sempre più vicini, fino a intersecarsi: e questo ci permetterà di dare vita, nel prossimo futuro, a molte incredibili innovazioni.