Peace boat ha attraversato 20 Paesi e ospitato ogni tipo di cultura. Un viaggio alla scoperta del mondo e di se stessi. A bordo anche il fumettista e professore di scienze Giulio Pompei: «Le persone sono la scoperta più bella, immerse in una sete insaziabile di cultura»
Giulio Pompei è un insegnante di Scienze con una grande passione per i trend emergenti e la comunicazione online. Specializzato in didattica della Biologia, Chimica e Geografia, nel 2010 ha fondato “Doyouspeakscience?” un progetto di comunicazione scientifica per presentare i contenuti in modo semplice ed efficace avvalendosi di illustrazioni e animazioni. Il professore per diversi anni ha insegnato anche in scuole straniere, ha preso parte a diversi programmi TV e fiere della scienza, poi è arrivata la decisione di intraprendere un nuovo viaggio, destinazione mondo, a bordo di una nave un po’ fuori dal comune, Peace Boat. Lo abbiamo intercettato al termine della navigazione durata oltre 3 mesi e partita dal Giappone per concludersi nella stessa nazione dopo aver circumnavigato il globo. Un viaggio alla scoperta del mondo ma non solo, anche di nuove lingue, culture, religioni, modi di pensare e di esplorare ciò che ci circonda.
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Professore, che tipo di esperienza è stata quella a bordo di Peace Boat?
Anzitutto professionale ma si è trattata anche di un’esperienza culturale avventurosa. Sono stato a bordo di Peace Boat principalmente in qualità di docente, intraprendendo questo viaggio intorno al mondo. La “nave della pace” è un progetto nato da una ONG giapponese attiva da 40 anni che promuove i diritti umani, la sostenibilità, il disarmo nucleare e la pace. Istituita nel 1983, detiene lo statuto consultivo speciale presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e offre un percorso di studio mentre si naviga incentrato sul disarmo nucleare, sulla pace, sull’educazione, sui diritti umani e, con l’arrivo degli ESG, anche sulla sostenibilità ambientale. Mi sono sentito un ingranaggio di un organismo che cerca di promuovere la cultura e l’educazione nel mondo.
Chi c’era a bordo con lei?
Sulla nave della quale sono stato ospite, la “Pacific World”, c’erano circa 2000 persone, di queste, 1.800 passeggeri e 200 tra addetti ai servizi e alla logistica, il personale di bordo e 70 persone che si occupano di organizzare gli eventi. Alcuni degli organizzatori sono dei docenti, come me, con alcune peculiarità come la conoscenza delle lingue straniere che è un requisito chiave per poter prendere parte al progetto con l’obiettivo di offrire workshop e lezioni più dinamiche possibili. La navigazione dura 3 mesi, e per questa ragione, a bordo ci sono persone che stanno affrontando un periodo di transizione della loro vita che ho avuto modo di scoprire conoscendole: chi sta traslocando, chi sta cambiando carriera, chi è in pensione, chi ha a disposizione un bel patrimonio e può godersi un’esperienza unica. Il target è veramente molto variegato, dai 20 ai 93 anni, ma tutti hanno qualcosa in comune: voler intraprendere un cambiamento. Circa il 70% dei partecipanti sono pensionati, poi ci sono studenti, ricercatori, miliardari, imprenditori principalmente giapponesi coreani e cinesi. L’età media è sui 60-65 anni.
Può raccontare in breve le tappe di questa navigazione?
Dal Giappone siamo andati verso Est e ci siamo fermati alle Hawaii, che rappresentano una posizione strategica perché si trovano in mezzo al Pacifico. Qui abbiamo fatto rifornimento, poi siamo arrivati in Messico, in Guatemala, nel canale di Panama, e poi dalla Giamaica verso Miami, New York, il Canada e ancora nell’Atlantico, verso l’Islanda. Abbiamo anche trovato una brutta tempesta, all’interno della nave cadevano diversi oggetti e non potevamo adoperare gli ascensori ma ce la siamo comunque cavata benissimo. Dall’Islanda siamo poi scesi in Europa, verso la Francia e il Portogallo, poi lo stretto di Gibilterra, e siamo arrivati nel Mediterraneo, passando per Roma, Atene, Istanbul e nel canale di Suez, dove a causa della guerra che era appena iniziata in Israele abbiamo temuto di non riuscire a passare, ma alla fine ci siamo riusciti. Così siamo arrivati nel Mar Rosso, dove, soprattutto nella zona della Somalia, ancora ci sono i pirati con motoscafi che sparano ma puntano principalmente alle imbarcazioni commerciali. Poi abbiamo raggiunto lo Sri Lanka, verso la Malesia, Singapore, Hong Kong e in Giappone. Il tour si è concluso in circa 100 giorni di navigazione, attraversando più di 20 Paesi e cambiando continuamente fusi orari, monete, lingue e stagioni. In ciascun porto ci siamo fermati 1 o 2 giorni, così da ottenere una sorta di “istantanea” del Pianeta.
Che tipo di attività si svolgono durante il giorno? E chi sono i partecipanti?
A bordo si approfondiscono questioni internazionali come i diritti umani, il disarmo, gli ESG, con docenti, attivisti, startupper, professori, ricercatori. Per alcuni la giornata inizia alle 4.30/5 della mattina con la ginnastica e la colazione e verso le 8 si iniziano le varie attività che terminano intorno alle 17/18. La sera a bordo cambia l’atmosfera perché rimangono solo i più giovani. Durante la giornata si svolgono attività prettamente culturali, quasi ti dimentichi che stai viaggiando, spesso sei pieno di eventi e corri da una parte all’altra per inseguirli. Tra queste ci sono presentazioni di libri, di articoli a tematiche internazionali come le fake news, la guerra, le questioni legate alla sostenibilità ambientale, che si svolgono in grandi sale che possono contenere fino a 500 persone e poi ci sono altre location più piccole, anche in base alle richieste dei passeggeri. Sono anche previsti eventi sulla cultura del Giappone, della Cina e della Corea oltre a corsi di lingua inglese, piscina, yoga, spinning, palestra, ginnastica, cinema, attività culturali che mirano alla socializzazione e al dialogo tra coloro che sono a bordo. Internet non c’è, pertanto le persone sono quasi “costrette” a comunicare tra loro. I partecipanti vogliono viaggiare e imparare, sono persone estremamente vive e curiose che possono unire l’utile al dilettevole. Molti sono stati creativi, intraprendenti e in questa fase della vita lo sono ancora e vogliono sfruttare al massimo ogni singolo momento. Sono persone fuori dagli schemi, una sorta di team di “supereroi” della cultura. C’erano anche dei ragazzi che parlavano perfettamente 2 o 3 lingue e che avevano esperienze e competenze da mettere a disposizione.
Che cosa la ha arricchita di più?
Condividere uno spazio ristretto con il team, interagire con le persone e accorgersi che sono proprio le persone a diventare l’aspetto più interessante del viaggio è stato senza dubbio l’aspetto che credo mi abbia arricchito di più.
E da insegnante che cosa ha imparato?
In 3 mesi succedono tantissime cose, provo a riassumerle in pillole: Conoscere le lingue è molto importante e in un futuro non molto lontano magari l’AI sarà anche in grado di tradurre simultaneamente una conversazione. Avere una buona base culturale è un passaporto ed è una fortuna poter studiare. Gli studenti giapponesi sono più cortesi di quelli italiani e sanno dire “grazie”. Da occhi esterni mi dispiace che l’Italia venga sempre vista solo come cibo, turismo e moda, ma quando sei a Singapore ti rendi conto che ci sono città che sono proiettate nel futuro. Il vecchio detto “impara l’arte e mettila da parte” è sempre molto utile, ma anche imparare sempre il più possibile, perché non sai mai quello che ti può servire. Il sistema scolastico italiano è formativo, migliore rispetto ad altri, ma se sono riuscito ad arrivare a bordo di Peace Boat è perché ho fatto molta esperienza all’estero. Avere tanta voglia di imparare è uno “state of mind” che non dipende dall’età e, anzi, è un modo per lottare contro il tempo che passa. Personalmente, ho imparato che devo approfondire lo studio delle religioni internazionali. La natura umana si assomiglia dappertutto nel pianeta, così come i desideri e i pensieri dell’essere umano, dell’essere vivi, ci accumunano. Far comprendere un concetto e portare il cambiamento è qualcosa di veramente difficile. Ci sono ancora dei superstiti delle esplosioni atomiche, gli “Hibakusha”. L’istruzione, per essere più orientata al futuro, deve essere più pratica che teorica.