Da fulgido esempio di azienda in grado di cavalcare i venti della green economy a realtà in balia dei flutti e dei capricci di Donald Trump. Si trova infatti in un mare sempre più in tempesta (come già vi avevamo raccontato) Orsted, colosso danese di proprietà statale attivo nel campo delle rinnovabili (principalmente energia eolica, ma anche solare). Tutta colpa dei venti burrascosi che soffiano da mesi da Washington.

Perché Orsted è di nuovo capitombolata in Borsa
Al termine della mattina Orsted in Borsa si trova a dovere fare i conti con perdite di oltre il 16% a 179,45 corone, dopo lo stop ricevuto dalle autorità statunitensi al progetto da 5 miliardi di corone di una wind farm al largo d Rhode Island. Progetto che risultava ormai ultimato all’80%, con tutte le fondazioni offshore installate e 45 delle 65 turbine eoliche installate.

Cos’è Revolution Wind, il parco eolico che fa tremare Orsted
Ancora prima di essere completato Revolution Wind ha raccolto accordi di acquisto di energia ventennali per fornire 400 MW di elettricità al Rhode Island e 304 MW al Connecticut, sufficienti ad alimentare – fa sapere il colosso danese – oltre 350.000 abitazioni in entrambi gli Stati, soddisfacendo la crescente domanda energetica.
Che cosa farà la compagnia danese ora?
Oersted ha annunciato che cercherà di trovare una mediazione con le autorità statunitensi ma eventualmente potrebbe valutare in alternativa una causa legale, avendo ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per il suo sviluppo. La società ha chiarito che lo stop al progetto non cambia le sue previsioni per il 2025 e conferma che una volta completato il progetto avrebbe un effetto positivo sull’EBITDA di 1 miliardi di corone
Alla base di tutto l’arrivo alla Casa Bianca di un nuovo inquilino, ben poco propenso a portare avanti gli investimenti nel settore delle rinnovabili decisi dall’amministrazione Biden. Proprio perché esposta ai capricci di Trump che ipotecano i numerosi progetti portati avanti negli USA, Orsted è nel pieno di un aumento di capitale da 60 miliardi di corone approvato dallo Stato danese in qualità di azionista di maggioranza.