Ha guardato cosa succede in natura e preso ispirazione per un progetto rivoluzionario. E osservando come la natura rimuove la CO2, con i suo team ha brevettato una tecnologia per catturare l’anidride carbonica e stoccarla in mare. Lui è Stefano Cappello, 28 anni e la sua è la storia meravigliosa di un ingegnere che lascia un lavoro sicuro per trasformare il progetto scientifico di uno zio inventore in un’impresa. «Dobbiamo essere a zero emissioni entro il 2050. La nostra è la generazione che deve fare il cambiamento. Nessun altro, se non noi, lo farà»
L’anidride carbonica diventa… acqua
La startup si chiama Limenet, è una società benefit deep tech nata nel 2023 e che ha già raccolto 2 milioni di euro dagli investitori. Trasforma la CO2 in una soluzione acquosa di bicarbonati di calcio e la dissolve in mare, contribuendo così all’aumento dell’alcalinità e portando benefici anche all’ecosistema marino. In questo modo è possibile ottenere una soluzione di stoccaggio di CO2 duratura e stabile (per oltre 10 mila anni) all’interno di mare e oceani. È l’unica startup italiana in questo nuovissimo mercato e una delle cinque che nel mondo sta cercando di combattere il cambiamento climatico sfruttando il mare, il più grande serbatoio del pianeta. L’insieme di tecnologie usate per catturare la Co2 e stoccarla negli Oceani o in altri serbatoio naturali, va sotto il nome di CCUS, Carbon Capture, Utilization and Storage.
Limenet è stata fondata da Stefano con lo zio Giovanni Cappello, uno dei più grandi esperti in Italia di gassificazione ed Enrico Noseda, imprenditore seriale. Ad oggi conta un team composto da 16 persone tra scienziati e manager esperti del settore. Da sempre appassionato di ambiente e clima («Ho visto sulla mia pelle gli effetti del cambiamento climatico e fin da piccolo sono innamorato del nostro pianeta»), Stefano si laurea al Politecnico di Milano. Facoltà di Ingegneria Meccanica. Studia anche tra la Spagna e l’Inghilterra.
Poi inizia a lavorare alla Leonardo, gruppo industriale internazionale attivo nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. «Per due anni ho lavorato sugli aerei da caccia. A un certo punto però mi sono reso conto che non stavo portando valore aggiunto alla società. O comunque alla mia sfera di valori. Così mi sono licenziato e ho iniziato a dedicarmi a tempo pieno a questo progetto che già seguivo da fine 2020 nelle mie ore libere da lavoro. E quando mi sono reso conto che in Italia non c’era un’iniziativa concreta legata alla rimozione della CO2, ho spinto per farne un’impresa».
Limenet ha elaborato una tecnologia unica in questo ambito. «L’ispirazione è nata guardando la natura. La CO2 viene assorbita durante le precipitazioni delle piogge, intrappolata nell’acqua va a sciogliere quelle che sono le rocce carbonatiche. Così la CO2 si trasforma in una soluzione di bicarbonato di calcio che finisce negli oceani, e qui ci rimane per centinaia di migliaia di anni. Dopo molti anni passati a far ricerca, abbiamo capito come imitare questo ciclo naturale e velocizzarlo».
Perché Limenet?
«Lime è l’insieme di composti chimici derivati dal calcio che noi utilizziamo per fare il processo e Net sta per Negative Emission Technology, ma anche Net Zero». Dopo anni di ricerca in cui è stato coinvolto il Politecnico di Milano con i dipartimenti di Chimica Ambientale e Aerospaziale, Limenet ha realizzato il primo impianto pilota La Spezia, nato per condurre i primi esperimenti scientifici. Un altro, per finalità commerciali, in costruzione ad Augusta e che sarà pronto entro la metà del 2024. Obiettivo: rimuovere circa 200 chilogrammi all’ora di CO2.
«Stiamo cercando di industrializzare e rendere scalabile questa scienza già nota, utilizzata anche nel lago d’Orta tra 1989 e 1990, per andare a riequilibrare il PH del lago». L’impianto di Augusta punta a essere il primo di una lunga serie. «Essere un pioniere mi dà un senso di orgoglio e di soddisfazione ma al tempo stesso mi preoccupa. Dobbiamo rimuovere 10 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050. Attualmente ne rimuoviamo solo qualche migliaia all’anno. Punteremo a rimuovere dapprima 4.000 tonnellate di CO2. Poi con la standardizzazione di un impianto da 100.000 tonnellate, raccoglieremo capitali per costruire una serie di impianti capaci di assorbire centinaia di milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno».
Una sfida ambiziosa, nata con l’unico obiettivo di cambiare il mondo in meglio. «Dobbiamo essere carbon neutral entro il 2050, ma dagli ultimi report sembra che siamo lontani. I nostri nipoti avranno 60 gradi d’estate in centro a Milano e io questo non lo voglio. Cercherò di dare il massimo per evitarlo e vorrei che anche altre persone lo facessero»
Difficoltà? «Tantissime. Ho deciso di fare qualcosa nel rispetto dei valori con cui sono cresciuto. Ma passare da un’idea a un’impresa è molto difficile. Non significa che non è fattibile. Ma che le difficoltà sono davvero tante. Voglio partire dall’Italia per andare all’estero e lo faccio per un senso di riconoscenza verso il mio Paese. Ma sono in tanti ancora a non aver capito la gravità e l’urgenza di adottare politiche climatiche in linea con gli accordi di Parigi del 2015. C’è di più. In molti Stati la ricerca scientifica è largamente finanziata dallo Stato, noi stiamo usando i soldi degli investitori…»
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Cosa insegna la tua storia ai giovani innovatori? «Per farcela, ci vuole una sorta di ossessione. Se non ce l’hai, alla prima difficoltà, molli. Invece se uno è ossessionato è come un ariete, sbatte la testa tutti i giorni, ma prima o poi butta già la spranga… Io sono ossessionato, questo è il mio viaggio vero il 2050».