I figli degli immigrati hanno un ritardo scolastico superiore agli italiani ma nelle aule non ci sono risorse. Tuttavia hanno grandi potenzialità, come dimostra l’esperienza di Herni, immigrato dell’Albania, che nel 2009 è stato premiato dal Presidente della Repubblica tra i migliori studenti d’Italia
Don Lorenzo Milani, sessant’anni fa, si preoccupava della scuola che perdeva i figli degli operai. Nel 2015, la situazione non è cambiata di tanto: il sistema d’istruzione italiano continua a lasciarsi indietro qualcuno. Gli “ultimi della classe” ora sono gli Hamed, le Fatima, le Katrina arrivati in Italia dopo che i loro genitori hanno attraversato il mare. Hanno cercato la fortuna attraversando confini chiusi nel container di un camion o hanno scelto di vivere ventidue ore su ventiquattro accanto ad un nostro anziano. Ufficialmente li chiamano: “alunni con cittadinanza non italiana”. Per chi sta in cattedra sono bambini, ragazzi. Punto. Nel nostro Paese sono 802.844, il 9% del totale degli studenti.
Quanti sono gli studenti stranieri?
Impossibile pensare che spariranno, che faremo a meno di loro, che l’immigrazione prima o poi si arresterà. La storia ha dimostrato il contrario. Dopo anni di decrescita, i neo-immessi nel sistema scolastico italiano, tra l’anno scolastico 2012/2013 e il 2013/2014 sono tornati ad aumentare (7.989 ragazzi in più). E mentre gli iscritti da altri Paesi registrano un segno positivo (in quattro anni +19,2%) si osserva un calo degli alunni italiani (- 2,0%).
Agli studenti immigrati si danno i giusti strumenti?
Ciò che preoccupa è il fatto che questi volti rischiano di non avere gli strumenti per arrivare a scalare la montagna. La Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) a consegnarci una desolante fotografia: nell’anno scolastico 2013/2014 gli alunni con cittadinanza non italiana in ritardo erano il 14,7% nella primaria contro l’1,9% degli italiani e il 41,5% nella secondaria di primo grado rispetto al 7,4% dei nostri ragazzi. Alla secondaria di secondo grado il dato sale persino al 65,1% a fronte del 23,3%.
Sono ragazzi che perdono il treno, che non ce la fanno. La loro storia è segnata: il tasso di ripetenza alla scuola secondaria di secondo grado arriva al 12,1%. La maggior parte di loro dopo le medie scegli i professionali o i tecnici. Solo la metà, rispetto agli italiani, prova con il liceo.
E il mercato del lavoro?
L’epilogo della loro “carriera” scolastica, per molti di loro, sta in un acronimo: NEET, Not in Employment, Education and Training, giovani che non lavorano e non studiano. Nel 2013 quelli tra i 15 e i 29 anni immigrati erano il 15,8% dei NEET in Italia.
La scuola non fa il suo dovere. Quando un sistema d’istruzione lascia indietro qualcuno ha perso la sfida. Dobbiamo rivedere gli strumenti a disposizione dei maestri, dei professori. Abbiamo bisogno di mediatori culturali, di chi sa parlare con Hamed quando arriva per la prima volta in classe. Potremmo utilizzare l’innovazione digitale per agevolare lo studio di questi ragazzi, per favorire il loro approccio alla nostra lingua. Abbiamo bisogno anche solo, di avere in ogni classe, un mappamondo per far capire al resto della classe da dove vengono i loro compagni.
Qualcuno ce l’ha fatta?
Sì. Henri Ibi, è arrivato a Cremona dopo aver fatto quattro anni e mezzo di scuole elementari in Albania. Suo padre nel 1996 era stato uno di quelli che aveva scelto di partire: da Pogradec a Tirana in autobus, da Tirana a Bari in traghetto. E poi da Bari a Cremona in treno. Henri ricorda ancora il giorno in cui l’ha salutato. Per ventisette mesi restarono separati. Nel 2001 Henri arriva in Italia. Incontra degli insegnanti che credono in lui. Nel 2009 viene premiato al Quirinale tra gli studenti più bravi d’Italia. Grazie ad una borsa di studio dei Cavalieri del lavoro si iscrive a giurisprudenza a Roma. Era il suo sogno. L’ha realizzato.