Secondo il WWF ogni minuto più di 33 mila bottigliette di plastica finiscono nel Mediterraneo. Un danno economico che all’Italia costa circa 70 milioni di euro annui
Siete in spiaggia? Amate le isole? State facendo un giro in barca? Se state veleggiando tra l’Elba e Capraia potreste imbattervi nella versione tutta italiana della Great Pacific garbage patch, l’inquietante – e inquinante – isola di rifiuti che galleggia nell’oceano tra Stati Uniti e Asia. Avete capito bene: a pochi chilometri dalle nostre coste galleggia un’altra isola di plastica. Molto più piccola ma non meno pericolosa.
Foto: Greenpeace
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L’isola di plastica nel Santuario dei Cetacei
A documentare l’esistenza dell’isola di plastica mediterranea Greenpeace. Questo enorme ammasso di rifiuti per lo più plastici l’ultima volta è stato avvistato nella zona tra Elba-Corsica-Capraia, all’interno del Santuario dei Cetacei. Un fatto che ha subito messo in allarme la comunità scientifica: è infatti tristemente noto come balene e capodogli scambino la plastica che galleggia in acqua per possibili prede, ingerendone quantità mostruose che, a lungo andare, provocano la morte. Particolarmente a rischio gli esemplari più giovani e quelli in stato interessante.
Le immagini, girate dagli attivisti di Greenpeace durante la loro ultima ricognizione, sono eloquenti. E soprattutto rivelano da cosa si compone l’isola di plastica mediterranea: polistirolo, bottiglie e flaconi di plastica. Molto di questo materiale è stato abbandonato direttamente in spiaggia, durante vacanze e pranzi “mordi e fuggi”.
Per questo proprio in estate è essenziale porre in essere un turismo attento e consapevole, evitando di abbandonare lungo l’arenile i piatti e le posate utilizzati durante i pranzi e le cene al mare e riponendo i mozziconi delle sigarette negli appositi posacenere.
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Ogni minuto nel Mediterraneo 33mila bottiglie di plastica
Secondo i dati raccolti dal WWF, nel Mar Mediterraneo finiscono 33mila bottiglie di plastica ogni minuto. Nel 2016, 53.000 tonnellate di rifiuti plastici sono state disperse nel Mar Mediterraneo, tanto che le zone costiere italiane registrano tra le più elevate concentrazioni di rifiuti plastici. Numeri spaventosi che, oltre a spiegare l’origine dell’isola di plastica tra l’Elba e Capraia fanno sospettare che ne possano esistere di simili. Interi arcipelaghi, ancora non documentati.
Dopo la dispersione in mare, il 65% della plastica rimane in superficie per 1 anno ed è destinata a viaggiare per circa 10 anni spinta da venti e correnti. L’80% di questa plastica finirà nuovamente sulle coste. Le coste italiane ricevono una media giornaliera di 5,3 kg di rifiuti plastici per km.
La dottoressa Svitlana P. Liubartseva dell’Euro-Mediterranean Center on Climate Change, Bologna, Italy · Ocean Predictions and Applications Division e i suoi collaboratori nel 2018 hanno rilevato nelle acque italiane una concentrazione di plastica galleggiante tra le più alte del Mediterraneo, con oltre 20 grammi per metro cubo di frammenti plastici nel nord dell’Adriatico, nella zona del delta del Po, e nella laguna di Venezia.
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I più comuni oggetti di plastica rinvenuti sulle spiagge sono: frammenti di piccole dimensioni (17%), tappi (8%), bastoncini cotonati (8%), pezzi di polistirolo (8%), bottiglie e contenitori per alimenti (6%), bicchieri, cannucce e posate (4%) (fonte: Legambiente).
Le nostre spiagge? Polvere di rasoi usa e getta e contenitori di CD
Una ricerca del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa coordinata dal professore Valter Castelvetro che ha analizzato campioni di sabbia raccolti nei pressi delle foci dei fumi Arno e Serchio, ha dimostrato il fatto che ci siano ormai notevoli quantità di materiale polimerico parzialmente degradato, fino a 5-10 grammi per metro quadro di spiaggia, derivante per lo più da imballaggi e da oggetti monouso abbandonati in loco, ma in prevalenza portati dal mare.
In quell’occasione, i ricercatori avevano trovato frammenti infinitesimali di poliolefine, di cui sono fatti ad esempio gran parte degli imballaggi alimentari, e di polistirene, una plastica rigida ed economica usata anche per i contenitori dei CD o i rasoi usa e getta. Questi residui variamente degradati sono stati ritrovati in quantità diversa a seconda della distanza dal mare, più concentrati nella zona interna e dunale per effetto della progressiva accumulazione rispetto alla linea della battigia.
Il Po è già un fiume di plastica
Ancora più recentemente, il nostro inviato Alessandro Di Stefano ha risalito il Po, il principale fiume del Paese, in secca a seguito della siccità invernale documentando il fatto che il suo letto fosse ricoperto da rifiuti plastici. L’allarme che arriva da Greenpeace è dunque solo l’ultimo di una lunga serie che dovrebbe farci riflettere su ciò che annualmente buttiamo in mare. E il Mediterraneo è un mare chiuso, quindi la plastica resta esattamente dove la gettiamo. Quando non viene ingurgitata dai pesci per finire nei nostri piatti.
Plastica? No grazie, soprattutto in estate
Sempre il WWF ricorda quanto sia importante evitare di usare la plastica usa e getta in questo periodo, mentre si è in spiaggia. Nei mesi di picco turistico, i turisti aumentano la popolazione locale di 1/3 e, in certi resort costieri, in estate i turisti sono 4 o 5 volte la popolazione locale. Ad agosto e settembre l’aumento della popolazione fa crescere il totale dei rifiuti generati per mese del 31%, fino a 17.000 tonnellate di rifiuti in più.
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L’aumento dei rifiuti sovraccarica le capacità gestionali dei comuni, comportando la mancata raccolta dei rifiuti e attività dannose per la salute e l’ambiente. In 12 mesi, il turismo incrementa di 200.000 tonnellate i rifiuti urbani delle regioni costiere, la cui gestione ha un costo che supera gli 8,8 milioni di euro l’anno.
Oltre al danno ambientale c’è poi da considerare quello economico. Il turismo costiero genera il 12% del PIL nazionale annuale del turismo, crea 200.000 posti di lavoro nei settori dei trasporti, pernottamenti, locali e ha sulle sue spalle i costi di smaltimento dell’immondizia lasciata in spiaggia. Nel 2017, 28 milioni di turisti hanno visitato le località costiere italiane, il 60% delle presenze registrate nel Paese (50 mln). L’inquinamento marino può causare danni alle imbarcazioni e agli attrezzi da pesca, con un impatto grave sull’economia delle zone visitate. I costi maggiori sono da imputare prioritariamente alle riparazioni e manutenzioni straordinarie dei motori e delle barche, ma anche a ritardi dovuti alla presenza di plastica nelle reti.
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L’inquinamento marino riduce sia l’offerta sia la domanda di prodotti ittici, per la morte di molti animali e per la preoccupazione dei consumatori che i pesci siano contaminati da plastica. Il WWF ha calcolato che la presenza di plastica lungo i nostri litorali faccia perdere annualmente 67 milioni di euro al settore della “Blue economy”, quel particolare mercato che riceve sostentamento dal mare. Un altro buon motivo per cui, se siete in spiaggia, dovreste evitare di portare con voi oggetti di plastica. Il rischio, infatti, è che i prossimi tuffi saremo costretti a farli dal litorale di una gigantesca e melmosa isola di plastica.