L’agricoltura è la prima responsabile dell’inquinamento delle falde e, assieme all’industria, dell’aria. Trasferire le piantagioni sul nostro satellite permetterebbe di prendere una boccata d’ossigeno, ma urge cambiare il ciclo produttivo, rendendolo sostenibile
La notizia delle piantine di cotone germogliate sulla Luna ha fatto sognare tutti: le colonie extraterrestri si sono fatte di colpo più vicine. La possibilità di dare vita a piantagioni sul nostro satellite, così da alleggerire lo stress cui è sottoposto il pianeta dalla nostra specie (si pensi ai risultati dell’ultimo report della Fao, More People, More Food, Worse Water? A Global Review of Water Pollution from Agriculture, secondo cui l’agricoltura è la principale causa di inquinamento delle falde acquifere) ha permesso all’umanità di tirare un sospiro di sollievo. Forse prematuramente. Il recente – triste – epilogo della sperimentazione (le piantine sono tutte morte) non toglie certo importanza alla notizia, che continua ad avere matrice storica, rappresentando un punto di svolta per la scienza e anche per il destino dell’uomo.
Impossibile sopravvivere alla notte lunare
Le piantine di cotone erano state portate sulla Luna nell’ambito della missione spaziale cinese Chang’e-4, con l’allunaggio del robottino esploratore avvenuto lo scorso 3 gennaio sul lato oscuro del nostro satellite. Benché l’Agenzia Spaziale cinese non avesse indicato tra le finalità principali del viaggio la creazione di un piccolo ecosistema naturale sulla Luna, la nascita delle prime piantine “extra terrestri” ha comunque scosso il mondo scientifico e animato il dibattito dell’opinione pubblica. Il fatto che, dopo nemmeno 24 ore dalla germogliazione, le piantine non abbiano resistito al rigore della notte lunare e siano appassite, completamente congelate, è secondario rispetto all’importanza dei dati raccolti dagli scienziati cinesi durante l’esperimento, durato in tutto 9 giorni.
Che cosa è accaduto al cotone lunare
Le informazioni rivelate dall’Agenzia Spaziale cinese sono al momento ancora frammentarie, ma è comunque possibile ricostruire l’accaduto. È noto a tutti che la Luna impiega circa 27 giorni terrestri per compiere un giro su se stessa. Se un giorno lunare dura quasi un mese, questo vuole dire che dì e notte durano approssimativamente due settimane ciascuno. Le piantine di cotone hanno potuto beneficiare del lungo giorno lunare ma sono morte quando, infine, è scesa la notte, che ha portato la temperatura a -130°C. La morte per i germogli è sopraggiunta molto prima che il termometro scendesse tanto, anche se – pare – le macchine avrebbero smesso di monitorarli a -52° C, dunque non è possibile sapere cosa sia accaduto dopo e cosa stia tuttora accadendo.
Non si tratta di un inciampo: il “vaso” in cui sono stati fatti germogliare i semi delle piantine di cotone non era riscaldato e nessun vegetale terrestre può sopravvivere alle temperature e alle escursioni termiche del satellite, con picchi di 130° C. durante il giorno fino ai – 130 notturni. Con ogni probabilità, il decesso delle piantine era quindi voluto, programmato e ha permesso agli scienziati di raccogliere altre informazioni preziose. Lo scopo della missione, infatti, più che colonizzare la luna con piantagioni di cotone, era quello di comprendere come si possano comportare le piante terrestri in un contesto differente per gravità, luce e, appunto, temperatura.
Fonte: Agenzia Spaziale Cinese
Al momento le basse temperature attuali, della lunga notte lunare, conservano inalterato lo stato in cui sono morte le piantine: il processo di marcescenza riprenderà solo quando il termometro supererà nuovamente lo zero. Finita l’ibernazione altri dati fondamentali permetteranno agli esperti di comprendere se la Luna permette a un eventuale ecosistema agricolo di completare il proprio ciclo, se consente insomma il ricambio delle sue parti, garantito sulla Terra dalla trasformazione delle carcasse degli esseri viventi in sostanze chimiche fondamentali per la crescita di nuove piante.
Fonte: Agenzia Spaziale cinese
Il recipiente – chiuso ermeticamente per impedire eventuali contaminazioni – è stato realizzato dall’Università di Chongqing e non conteneva solo i semi di cotone, ma anche terriccio, acqua, ossigeno e uova di moscerino del lievito e della frutta. La fotosintesi alle piantine era garantita da una piccola finestrella. Non si ha notizia di ciò che sia accaduto agli altri elementi trasportati.
Il “costo” dell’agricoltura pagato dal pianeta
Torniamo ora sulla Terra. Grazie alla missione cinese abbiamo capito che gli scenari ipotizzati nel romanzo del 2011 L’uomo di Marte di Andy Weir o nell’omologo cinematografico Sopravvissuto – The Martian (2015) di Ridley Scott non sono poi così fantascientifici. Sappiamo che il nostro pianeta paga un costo altissimo per garantirci la sussistenza. Solo in Italia, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha rilevato la presenza di ben 259 sostanze agrotossiche nel 67 per cento delle acque superficiali monitorate e nel 33,5 per cento di quelle sotterranee, come avevamo già riportato qualche tempo fa proprio qua su Impact.
Da parte sua, come è già stato anticipato in questo articolo, la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione, in un altro rapporto ha invece documentato che l’agricoltura, a causa dei fertilizzanti azotati e dei pesticidi- spesso veri e propri veleni potentissimi-, è ormai la principale responsabile dell’inquinamento dell’acqua a livello mondiale.
Ma il nostro satellite non può salvarci
Ma la dimensione del problema va ben oltre al “solo” inquinamento delle falde. Secondo l’Earth Institute della Columbia University, l’agricoltura è infatti corresponsabile – assieme all’industria – della pessima qualità dell’aria che si respira. Nel dettaglio, i composti azotati usati nelle coltivazioni intensive si mescolano con i residui industriali e contribuiscono alla formazione di particelle solide che possono aggredire il tessuto polmonare e causare gravi malattie respiratorie e cardiache.
L’Unione europea negli ultimi anni ha iniziato a chiedere al settore di ammodernarsi con la “direttiva NEC” che impone agli Stati membri di stilare, entro il 2019, un programma di controllo dell’inquinamento atmosferico nazionale e definisca misure volte a ridurre le emissioni dei cinque inquinanti atmosferici principali, ovvero il particolato fine (PM2,5), il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto, i composti organici volatili non metanici e l’ammoniaca. Solo nel Vecchio continente, infatti, le emissioni di ammoniaca sono causate per il 95 % dall’agricoltura.
Nella primavera del 2014, quando i livelli di inquinamento atmosferico a Parigi raggiunsero picchi elevatissimi, il centro nazionale di ricerca scientifica francese affermò che il 62 % delle particelle fini presenti nell’aria derivava proprio dall’ammoniaca. Le emissioni di questa sostanza sono inoltre il motivo principale alla base dell’eutrofizzazione di laghi, fiumi e oceani. Qui il report stilato dagli esperti comunitari. Nonostante l’impegno europeo costituisca un unicum mondiale, per alcuni si sta mettendo in atto solo una campagna modesta, dai risultati insufficienti e per di più spalmata su di un periodo temporale eccessivamente lungo.
Non è possibile pensare che sarà il nostro satellite a salvarci e non è detto che sarà possibile trasformarlo nel nostro granaio. Siamo all’alba di una nuova era e la missione cinese consentirà al progresso scientifico di fare passi da gigante nei prossimi anni, ma si tratta di traguardi ancora lontani, che potremo tagliarli solo cambiando drasticamente il modello di produzione e di sfruttamento delle risorse terrestri. A iniziare dal comparto agricolo.