Secondo Legambiente, nel 2018 in 55 capoluoghi di provincia sono stati superati i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili o per l’ozono
L’inquinamento in Italia è un problema sempre più asfissiante. Lo certifica Legambiente, nel suo dossier Mal’aria 2019, ma non è tutto frutto dei gas di scarico. Il 50% è infatti dovuto all’usura dei freni e dell’asfalto, come è emerso da una ricerca diretta da Fulvio Amato, del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas di Barcellona, recentemente discussa a Milano, all’International Seminar on: RESPIRAMI 3 – Air pollution and our health organizzato dalla Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini. Sul banco degli imputati non ci finiscono scolo gli automobilisti, ma anche le singole amministrazioni comunali perché, più l’asfalto è vecchio, più si deteriora e concorre a formare quel letale mix che viene inalato e finisce nel sangue.
Cosa ci dice lo studio, che ancora non sapevamo
Per la verità, che l’inquinamento urbano si componesse anche delle particelle volatili che conseguono all’usura dei dischi dei freni e dell’asfalto era già noto da tempo. E, infatti, sono allo studio e in commercio impianti frenanti rivestiti di materiali particolari (per esempio il carburo di tungsteno) che si rivelano meno soggetti alla particellarizzazione del metallo.
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La novità dello studio che sarà presto pubblicato sul Bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguarda il fatto che avevamo sempre sottostimato la corresponsabilità di freni e asfalto. Basta andare a sfogliare un report tedesco di qualche anno fa, curato dall’agenzia ambientale del Baden-Württemberg, secondo cui la percentuale di inquinamento non direttamente collegabile ai tubi di scappamento era, al più, del 30%. Affermare ora che sia invece attorno al 50% significa riscrivere ciò che sappiamo del fenomeno e mettere in campo nuove iniziative per arginarlo.
Ma non finisce qui. Ci sarebbe poi un altro tema sottovalutato, di cui si è parlato proprio nel meeting di esperti tenutosi a Milano. Ovvero il fatto che il mix di frammenti metallici e plastici, residui di minerali, derivati dal petrolio e pneumatici sia potenzialmente molto più cancerogeno di quanto stimato fino a ora. Insomma, in città non si respira solo lo smog della combustione del carburante, ma anche asfalto, metalli dei freni e ciò che viene perso dai pneumatici in curva e nelle frenate e tutto ciò potrebbe essere persino più velenoso delle previsioni maggiormente pessimistiche.
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Ma i risultati dello studio aprono la porta anche a possibili nuove iniziative da attuare per contrastare il fenomeno. Per esempio, per inquinare e gravare meno sulla salute bisognerebbe mettere in campo leggi più severe sulla revisione dei veicoli privati e, contestualmente, dal lato delle amministrazioni, imporre l’uso di asfalti “green”, con l’obbligo di procedere periodicamente alla manutenzione del manto stradale per evitare di fare inalare i minerali di cui si compone. Difficile, date le casse storicamente vuote dei Comuni.
L’inquinamento fa più morti di qualsiasi guerra
Eppure, che l’inquinamento non vada sottovalutato è noto da tempo. Sarebbe bastato non ignorare i ripetuti all’armi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo l’OMS, solo nel 2016 sette milioni di persone avrebbero perso la vita in tutto il mondo per aver respirato aria inquinata. L’inquinamento sarebbe causa del 43% delle morti per malattie polmonari ostruttive, del 25% degli ictus mortali, del 24% di tutte le morti per attacco cardiaco e del 29% dei tumori al polmone.
Legambiente: il 2018 annus horribilis per la qualità dell’aria
Resta il fatto che, nonostante in Italia si parli sempre più spesso dei problemi dell’inquinamento, si stia facendo ancora troppo poco per provare a risolverli. L’anno appena passato si conferma tra i peggiori degli ultimi tempi, come evidenzia il rapporto Mal’aria 2019 di Legambiente, appena pubblicato. Nel 2018 in ben 55 capoluoghi di provincia sono stati superati i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili o per l’ozono (35 giorni per il Pm10 e 25 per l’ozono). In 24 dei 55 capoluoghi il limite è stato superato per entrambi i parametri. La città col maggior numero di giornate fuorilegge è Brescia (Villaggio Sereno) con 150 giorni (47 per il Pm10 e 103 per l’ozono), seguita da Lodi con 149 (78 per il Pm10 e 71 per l’ozono), Monza (140), Venezia (139), Alessandria (136), Milano (135), Torino (134), Padova (130), Bergamo, Cremona (127) e Rovigo (121). Tutti i capoluogo di provincia dell’area padana (a eccezione di Cuneo, Novara, Verbania e Belluno) hanno superato almeno uno dei due limiti. Palma nera di smog anche a Frosinone, nel Lazio, con 116 giorni di superamento (83 per il Pm10 e 33 per l’ozono), seguita da Genova con 103 giorni (tutti dovuti al superamento dei limiti dell’ozono), Avellino con 89 (46 per il Pm10 e 43 per l’ozono) e Terni con 86 (rispettivamente 49 e 37 giorni per i due inquinanti).
“In Italia – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – continua a pesare enormemente la mancanza di una efficace strategia antismog e il fatto che in questi anni l’emergenza inquinamento atmosferico è stata affrontata in maniera disomogenea ed estemporanea. A quasi nulla sono serviti i piani anti smog in nord Italia scattati il primo ottobre 2018 con il blocco, parziale, della circolazione per i mezzi più inquinanti. L’Inquinamento atmosferico continua a essere un’emergenza costante nel nostro Paese non più giustificabile con le avverse condizioni meteo-climatiche della pianura padana o legate alla sola stagionalità invernale. Eppure per uscire da questa emergenza gli strumenti ci sarebbero: ogni città dovrebbe adottare dei PUMS (Piani Urbani di Mobilità Sostenibile) ambiziosi. Il Ministero dell’Ambiente dovrebbe guidare le città, supportando e verificando le scelte fatte affinché siano coerenti con le scelte e i piani nazionali; inoltre il governo dovrebbe finanziare i progetti davvero utili per mettere in campo questa rivoluzione e allo stesso tempo dovrebbe destinare più risorse per incentivare davvero la mobilità sostenibile”.
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“I PUMS – ha aggiunto Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente – offrono un’occasione unica alle città: potrebbero essere l’occasione per pianificare l’uscita dalla mobilità inquinante e fossile; un’occasione per promuovere soprattutto una mobilità, sia pubblica che privata, attiva (piedi e bici) e con mezzi a zero emissioni (dalla micromobilità all’autobus e l’elettrico). Una nuova mobilità quindi, che ci permetterebbe di ridurre drasticamente il numero totale di veicoli in circolazione e di liberare vaste aree di città, per esempio le aree di parcheggio, che potrebbero essere destinati ad altri usi, facendo divenire lo spazio urbano un “bene comune”, come sostenuto nel PUMS di Milano, da amministrare per tutte le funzioni della vita urbana”.
L’italiano all’auto non rinuncia
Sempre Legambiente rileva il fatto che gli italiani siano ancora troppo legato alla mobilità privata. Il nostro infatti è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di motorizzazione (con una media di circa 65 auto ogni 100 abitanti). Valori enormi se confrontati con quelli di alcune capitali europee: a Parigi ci sono 36 auto per 100 abitanti come a Londra e a Berlino, a Barcellona 41, a Stoccolma e Vienna 38.
Negli ultimi anni il tasso di motorizzazione medio dei capoluoghi italiani ha mostrato addirittura un incremento, passando da 62,4 a 63,3 auto ogni 100 abitanti e risulta stabile o in aumento in tutte le città. Nonostante l’auto sia il mezzo di gran lunga più diffuso per gli spostamenti, una ricerca condotta da Isfort (2016) segnala come il 41,3% degli abitanti delle grandi città italiane vorrebbe muoversi di più coi mezzi pubblici mentre, parallelamente, il 32,2% auspica di poter stare meno tempo al volante. A far crescere la voglia di scendere dall’auto è principalmente il tempo perso in coda negli ingorghi. Ma, come aveva rilevato il nostro Sergio Ferraris nel suo approfondimento sulla legge di bilancio, non sarà l’ecobonus approntato dal Governo nell’ultima Legge di Bilancio – data la sua ridotta portata – a cambiare la situazione, incentivando almeno all’acquisto delle auto elettriche.