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Da molti anni si parla del connubio vincente tra sport e inclusione: studi scientifici ed esperienze sul campo hanno dimostrato come le attività sportive rappresentino uno strumento d’eccezione per l’integrazione di ognuno. “Permettere ai giovani con disabilità di diventare protagonisti di sé stessi, dimostrando di poter avere un ruolo importante nella società”: questa è così una delle premesse che hanno spinto un gruppo di famiglie, che avevano al loro interno persone con disabilità, a dare  vita nel 1982 alla pionieristica avventura della Polisportiva Amicacci. La squadra, con base a Giulianova, in Abruzzo, ha portato a casa il tricolore del basket in carrozzina, rendendo evidente quanto determinazione, costanza e tanta passione possano fare la differenza, dentro e fuori il campo da gioco. 

Determinazione e costanza per fare la differenza

E’ il 1980 quando Peppino Marchionni, Vice Presidente e Responsabile Sportivo della Polisportiva Amicacci, diventa papà di un bambino a cui viene diagnosticata una grave malformazione ai piedi. “Da lì è iniziato un calvario che ci ha portato ad un intervento chirurgico immediato e, subito dopo, ad un’altra operazione ben più complessa”, racconta a Startupitalia. “A partire da quando mio figlio aveva 9 mesi, per circa 2 anni gli abbiamo cambiato il gesso ogni 15 giorni, intervallandolo con 2 sedute quotidiane di fisioterapia. Siamo entrati così in un contesto ‘diverso’, fatto di sofferenza e di paura: un mondo di cui non conosci nulla, di cui nessuno parla, ma soprattutto di cui nessuno vuole sentir parlare. Il dolore o la tristezza rimangono tali, senza l’illusione di un barlume di speranza futura. Allora ho preso coraggio e mi sono detto: devo fare qualcosa. E l’ho fatto”.

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Basket in carrozzina, amore a prima vista 

Con il basket in carrozzina, racconta Marchionni, è stato “amore a prima vista”, anche se i primi tempi sono stati molto difficili e, dietro i successi di oggi, c’è un lunghissimo lavoro che inizia nel 1982: “Dopo essermi documentato – a quei tempi è stato durissimo – ho incontrato un altro pioniere della disabilità sportiva, Roberto Marson, friulano trapiantato a Ostia, che mi ha portato a vedere una gara: sono rimasto fulminato. Il resto è storia”. Ci sono stati comunque tanti passaggi da affrontare a livello sociale: oscurantismo scettico, indifferenza quasi infastidita, vene di pietismo. “Ai giorni nostri, finalmente, il muro comincia a sgretolarsi. Ma c’è ancora tanto da fare, anche se certamente oggi splende il sole anche per noi”.

Dal gradino più basso alla serie A del basket in carrozzina

Insomma, la strada è lunga, ma per fortuna “sono stati fatti passi da gigante”, sottolinea il Responsabile Sportivo della Polisportiva Amicacci. “Siamo partiti pian piano dal gradino più in basso e, vincendo, siamo saliti fino in Serie A. Il lavoro di quarant’anni è stato soprattutto quello della normalizzazione: vivere una condizione di disabilità non significa chiudere con la vita, al contrario significa aggrapparsi ad essa, rendendola felice e piena, fino ad esserne pienamente protagonisti”.

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Informare e sensibilizzare verso una vera inclusione

E’ fondamentale parlare sempre più spesso di sport e disabilità, informando e comunicando con le famiglie, perché nessuno si senta solo o escluso.

“Facciamo fatica, troppa, a trovare sponsorizzazioni per i nostri eventi perché le televisioni importanti ci snobbano e le testate giornalistiche parlano troppo poco di noi”, confessa Marchionni, che però non perde mai la speranza. “Da diversi anni giriamo per le scuole e parliamo con gli studenti, che sono sempre più incuriositi da questo sport. Cerchiamo anche di essere presenti e propositivi sui social e organizziamo eventi e tante altre cose. Lo sport racchiude tanti elementi: è sociale, è trainante, è partecipazione, è coinvolgimento, è inclusivo. Ha tante caratteristiche che lo rendono unico”.

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Provare l’emozione del basket in carrozzina

In questo senso è stato anche sviluppato anche il progetto “èSportAbile”, destinato soprattutto alle scuole, con cui si dà la possibilità a chi volesse di salire su una carrozzina da gioco per provare l’emozione di praticare questo sport.

Oltre ad informare e sensibilizzare sulla tematica della disabilità, il progetto punta anche a raggiungere giovani studenti, spesso tenuti al di fuori della vita reale dagli atteggiamenti superprotettivi dei genitori: “Bisogna che si aprano al mondo e comprendano le grandi cose che una persona con disabilità può fare”.