Nel testo sull’emergenza ligure è comparso un articolo spargi fanghi nell’agricoltura che però non è una concessione alle lobby petrolifere. E ha anche un senso, ma non troppo. Ecco la storia
Basta un “codicillo”. Un codice inserito in un decreto (in questo caso, come si vedrà, nel decreto Genova, votato nella notte di ieri alla Camera), oppure una legge, per cambiare, e non di poco la realtà del Paese. È successo nel 1992 con la prima incentivazione alle rinnovabili chiamata Cip6, dove addirittura una virgola, una congiunzione e un aggettivo, ossia: “, e assimilate” aprirono l’incentivazione massiccia agli inceneritori, persino quelli industriali, impianti che grazie a questo “codicillo” negli anni assorbirono il 70% degli incentivi per le vere rinnovabili di quella prima fase, ritardandone l’introduzione di almeno dieci anni.
Con questi presupposti è chiaro, quindi, che il “codicillo” sui fanghi di depurazione in agricoltura che il Governo ha inserito all’interno del decreto Genova abbia fatto lanciare l’allarme ai massimi livelli da parte del leader storico dei Verdi Angelo Bonelli che ha affermato: «in particolare all’art.41 del decreto si porta il limite degli idrocarburi derivanti dai processi di depurazione che possono essere sparsi sui suoli agricoli, da 50 mg per kg a 1.000 mg per kg». Un aumento di venti volte. Un assurdità per un Governo che dovrebbe essere almeno per il 50% ambientalista visto che una delle stelle del Movimento 5 Stelle è quella dell’ambiente. E il tutto nascosto tra le pieghe di un decreto che nulla c’entra con i fanghi provenienti dalla depurazione e destinati all’agricoltura. Un’occasione d’oro per la stampa che ha immediatamente stigmatizzato il metodo applicato dal governo M5S-Lega che per troppi versi in questo caso assomigliava a quello dei governi precedenti.
Cosa ci fa un codice sui fanghi nel Decreto Genova?
Contesti incrociati
La denuncia non teneva conto, però, del contesto e in una società complessa come la nostra i contesti contano. Il contesto dell’utilizzo dei fanghi di depurazione è intricato e abbastanza diverso rispetto a ciò che ci si può immaginare. Per decenni in realtà i fanghi da depurazione sono stati utilizzati in agricoltura senza alcun limite per gli idrocarburi. Dopodiché è stata la Corte di Cassazione, in assenza per l’appunto del limite, a sancire il fatto che dovesse esserci e allora ecco che arriva un testo di decreto, opera dell’allora ministro dell’Ambiente Galletti che questo limite lo fissa 1.000 mg/kg.
Nel frattempo il Tribunale amministrativo regionale annullava l’ordinanza della Regione Lombardia che fissava il limite a dei livelli improponibili, ossia 10.000 mg/kg, fissando secondo il principio di precauzione il limite a 50 mg/kg di idrocarburi pesanti, lo stesso che vale per la qualità del suolo in aree residenziali e nei parchi gioco dei bambini. Questo il primo scenario, nel quale in realtà i limiti non esistevano, ma erano stati fissati da un giudice utilizzandone uno che era disponibile, ma che non aveva alcun presupposto tecnico scientifico specifico.
Fanghi e fanghi
E veniamo ai fanghi. La situazione che si è prodotta dopo la sentenza del Tar è stata quella di bloccare il processo di utilizzo dei fanghi stessi e di creare un’emergenza che se prolungata avrebbe riempito le discariche di fanghi costringendo l’Italia al ricorso di discariche all’estero.
«La mia intenzione era quella di modificare il testo per renderlo più coerente, con le esigenze di tutela della salute, ma i tempi erano stretti ed è stato necessario trovare un accordo all’interno della maggioranza per potere superare l’emergenza. – afferma il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – L’alternativa sarebbe stata quella di lasciare un limite imposto dalle sentenze che, oggi, nessun gestore sarebbe stato in grado di rispettare, con il risultato di accumulare pericolosamente i fanghi con la speranza di individuare soluzioni alternative come la discarica o gli inceneritori. Per non parlare del rischio del blocco dei depuratori». Questa la prima spiegazione del ministro, ma l’informazione non è completa se non si capisce cosa sono i fanghi da depurazione e perché contengono idrocarburi.
Fanghi in quantità
«Parliamo di centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi che ogni mese vengono prodotte da tutti i depuratori delle acque del nostro Paese. – dice Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente nazionale – Ed è necessario fare una precisazione, altrimenti non si capisce di ciò che si parla. I fanghi non li fanno i poteri forti ma noi con i nostri bisogni, fisiologici e non. E abbiamo l’esigenza di allontanare le acque sporche dalle nostre case, fabbriche, uffici. Se vogliamo fiumi, laghi e mari puliti dobbiamo produrre fanghi, se li vogliamo più puliti dovremo produrne di più. I fanghi, in Italia come in gran parte d’Europa, se sottostanno a requisiti fissati dalle normative sono e restano rifiuti, con obbligo di gestione e tracciabilità».
Quindi nessuna apertura allo spargimento incontrollato di rifiuti tossico/nocivi su campi destinati all’agricoltura. I fanghi che provengono dagli impianti di depurazione industriali, infatti, sono destinati alla discarica e comunque circa il 50% dei fanghi di depurazione non sono utilizzabili per usi agricoli. Se i fanghi non sono idonei, provenendo da impianti di depurazione che trattano reflui industriali, al momento il loro destino è la discarica e quasi metà dei fanghi di depurazione non lo sono, idonei, per l’uso agricolo.
Con il Decreto Genova la situazione migliora?
La situazione, quindi, grazie al “codicillo” nel decreto Genova, migliora. «Sui fanghi da usare in agricoltura dovranno essere fatte due analisi in più per certificarne l’idoneità agricola. – prosegue Di Simine – Se fino alla scorsa estate bastava analizzare i metalli, da ora bisognerà analizzare anche gli idrocarburi pesanti e i marcatori di cancerogenicità». Quindi ora gli idrocarburi pesanti saranno identificati, mentre prima, tranne che in Lombardia non erano analizzati. Ma oltre a ciò è necessario notare il fatto che molti degli idrocarburi pesanti sono molecole innocue che noi assumiamo, non digeriamo ed espelliamo. Come le cere vegetali che assumiamo con la frutta, la verdura e l’olio d’oliva. Il “codicillo” del decreto Genova per il quale tanto si è gridato allo scandalo quindi non solo non è stato un lasciapassare di governo per gli inquinatori, ma ha rafforzato i controlli, anche se, secondo Legambiente, si tratta di una pezza e che in quanto tale deve essere sostituita da un rammento robusto.
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«Stiamo già lavorando al nuovo decreto, che avrà senz’altro valori più rigorosi. – conclude il ministro Costa – Ma dobbiamo dire con chiarezza che ci sono tempi tecnici da rispettare con passaggi all’Ispra e in Conferenza Stato Regioni. Tempo qualche mese. Sono dell’idea che questa norma possa essere migliorata già durante l’esame del Parlamento e il mio auspicio è che faccia la scelta giusta nell’interesse dell’ambiente e dei cittadini». E da Legambiente replicano. «Se la pezza del decreto Genova servirà a rimettere mano alla normativa su fanghi e derivati, aprendo la prossima annata agraria con una disciplina molto più tutelante, allora sarà stata utile. Altrimenti resterà solo una pezza, ma non sarà sua la colpa dei campi avvelenati», conclude Di Simine.
E a tutto ciò, però, si aggiunge un mistero. Il testo del decreto opera dell’ex ministro Galletti, non passato causa il fine legislatura era andato avanti anche con questo governo fino a essere approvato nella Conferenza Stato-Regioni il 1 agosto 2018. Nostre fonti riservate affermano che sarebbe stato persino firmato da alcuni ministri, ma non tutti. E allora perché ricorrere al “codicillo” e non al decreto già pronto? La risposta probabilmente risiede in ciò che è successo pochi giorni prima delle ferie d’agosto. Il governo, infatti, era già sotto pressione per la vicenda Ilva e per il decreto rinnovabili che si era rivelato essere una fotocopia, con l’aggiunta del capitolo sull’amianto. Il tutto in carico al Mise, quindi al M5S. Un altro decreto “fotocopia” derivato da quello scritto da Galletti, con la parola chiave “idrocarburi” con ogni probabilità è stato giudicato un eccesso e allora ecco il motivo per il quale si è affogato un prevedimento, giusto e necessario, in un decreto come quello su Ponte Morandi.
Dai fanghi ai gessi
Ma Legambiente ci tiene a rimarcare un aspetto poco noto che in questa contesa non è stato sollevato, ma che però potrebbe avere aspetti rilevanti. Quello dei gessi che poi non sono altro che fanghi stabilizzati chimicamente, con calce e acido solforico diventando così “gessi di defecazione”. Una trasformazione che non cambia nulla sul fronte del potenziale inquinamento chimico e biologico, ma ne cambia la classe visto che i gessi non sono rifiuti e possono diventare fertilizzanti usabili sui campi. E il risultato di ciò è che sempre più spesso i fanghi sono trasformati in gessi per poterli usare senza troppi problemi in agricoltura. In questa chiave gli ambientalisti chiedono che la disciplina dei gessi sia identica a quella dei fanghi che si può e si deve migliorare, ma che è già abbastanza consolidata. Insomma il prossimo decreto “fanghi” dovrà occuparsi anche dei gessi.