Il velista di Luna Rossa: «Perdere mia madre a 10 anni mi destabilizzò e la vela mi ha aiutato a ritrovare la rotta giusta». A pochi giorni da SIOS23 Winter del 21 dicembre torniamo a rileggere i grandi ospiti del nostro StartupItalia Open Summit
Ha navigato per i mari di tutto il mondo, sfidato le tempeste, vinto due Coppe America. Massimiliano “Max” Sirena, il velista italiano capobarca di Luna Rossa è stato ospite al nostro SIOS23 Sardinia. A pochi giorni da SIOS23 Winter rileggiamo e rivediamo la sua testimonianza.
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«La Coppa America è un gioco particolare, il trofeo sportivo più ambito al mondo. Un team si prepara anche 3 anni e mezzo senza possibilità di fare regate e, così, ogni giorno cerchiamo di guadagnare dei decimi di nodo avendo un mezzo altamente tecnologico con cui navigare e interagire. Sarà la barca più veloce, poi, e a fare la differenza e il fattore umano, i velisti, i tecnici, io e tutto il team così come il momento in cui si prendono decisioni faranno la differenza in termini di performance. Questa barca è stata interamente costruita a Cagliari, una delle 3 città italiane che garantisce 200 giorni di navigazione. Abbiamo scelto Cagliari non solo perché ha uno tra gli specchi d’acqua più bello al mondo, ma anche perché è una città in grado di accogliere le famiglie con le scuole, i servizi ecc..».
La passione per il mare e la vela
«Io vengo da una cittadina grande come Cagliari, Rimini, anche se il mare non è così bello. Mio padre lavorava spesso all’estero, mia madre l’ho persa a 10 anni, e quando finivo la scuola l’estate andavo al mare. Di fronte all’albergo c’era una piccola scuola vela con un piccola barca degli anni ’50/’60 mezza affondata nella sabbia. Io ci giravo intorno finché il proprietario della scuola di vela, un giorno, mi disse che se riuscivo a riesumarla l’avrei potuta tenere. Io avevo 6/7 anni, non avevo nessun tipo di background né di conoscenze, ci ho messo un albero, l’ho rattoppata, sono uscito in mare ma poi sono dovuto tornare indietro. C’era il vento “garbino”, che spinge da terra verso mare, sono andato molto velocemente fuori e sono tornato al buio. Alla fine, per me, la vela è stata una scuola di vita. Perdere mia madre a 10 anni mi aveva destabilizzato e la vela mi ha aiutato a ritrovare la rotta giusta. Consiglio a tutti di stare in mare: ti mette a confronto con te stesso, ti fa conoscere i tuoi limiti, ed è anche un forte strumento di legame perché in barca devi andare forzatamente d’accordo con l’equipaggio, è una bella scuola di vita».
Quanto contano le competenze
«Io mi occupo a 360 gradi un po’ di tutto all’interno del team, ma tengo tanto alle risorse umane: tutti i colloqui e le assunzioni le ho fatte io, da chi lavora in cucina a altri incarichi. Fondamentale per noi è l’attitudine: passiamo 12/16 ore al giorno assieme ed è la barca a decidere il tuo giorno libero, non esistono sabati né domeniche, ci deve essere voglia e desiderio di partecipare a questa sfida. Far parte di un team che si batte per vincere la Coppa America succede a pochi nel mondo. Nella nostra squadra ci sono 44 progettisti, sia italiani che stranieri, 18 velisti e 38 meccanici ai box che lavorano h24 affinché la barca sia pronta per andare in mare il giorno dopo. Il mondo perfetto per me non esiste, c’è da trovare il giusto compromesso tra capacità tecniche e talento. Ma, soprattutto, quello che conta è l’atteggiamento e l’attitudine. Queste due capacità sono nella parte alta del ranking delle persone che sono con me».
Cosa vuol dire essere un leader
«La motivazione è la base per cercare di ottenere un risultato, poi nello sport, e in parte anche nel lavoro, c’è uno che vince e uno che perde, ma quando si perde non è un fallimento, fa parte di un processo di costruzione professionale e personale. Io devo prendere 2/3 decisioni al giorno che facciano la differenza, per questo devo circondarmi di persone valide con le quali mi posso confrontare in modo professionale. Non vorrei uno “Yes Man”: vorrebbe dire che ho fallito io per primo perché quello non è l’atteggiamento giusto. Noi vogliamo vincere una regata, è il nostro sogno, non la nostra gloria. Facciamo il lavoro che amiamo e, per questo, siamo dei privilegiati. Sognavo da bambino di fare la Coppa America, che ho vinto 2 volte, ma mi manca la Coppa America vinta con un team italiano, soprattutto con Luna Rossa. Per motivare il team non vado ad attaccare qualcuno che ha fatto uno sbaglio, sa già di avere sbagliato, ma cerco di passare più tempo possibile con le persone, parlarci, ognuno ha i suoi problemi e devi sapergli leggere lo sguardo. Il rapporto umano è fondamentale per me».
Innovazione e sostenibilità al centro
«La tecnologia deve essere usata per farci vivere meglio, anche come strumento di sostenibilità. Una barca di Coppa America rappresenta la massima evoluzione da un punto di vista tecnologico e ci sono tanti modi per cercare di aiutare e migliorare il nostro ambiente di lavoro. Io sono abituato a non pensare a quello che possono fare gli altri, ma a quello che posso fare io, perchè è attraverso il nostro modo di vivere che generiamo un impatto sull’ambiente che frequentiamo. Per me la Sardegna è tra i 3 posti più belli al mondo – e ho avuto la fortuna di vivere nei posti più belli del mondo – ma anche qui, così come in altre zone, c’è ancora gente che butta i sacchetti di plastica o l’immondizia per strada, o che al supermercato compra frutta solo sbucciata e confezionata. Si deve iniziare a cambiare le nostre abitudini. Da qui parte l’innovazione. Sono tanti i piccoli step che possiamo fare per mandare un messaggio alle multinazionali, altrimenti, prima o poi, quello che butti in mare, il mare te lo ridà. Ci sono paesi in giro per il mondo dove le spiagge sono ricoperte di plastica. Basta un piccolo gesto da parte di ognuno di noi». E in merito alle prossime sfide, Max Sirena ci ha detto: «Noi siamo qua per cercare di vincere la Coppa America, se perdiamo vuol dire che, evidentemente, abbiamo fatto un errore in più degli altri. Io non ho un piano B, penso solo al piano A».