E-commerce e atelier a Guardavalle, in provincia di Catanzaro. Flavia Amato è una Unstoppable Women: la sua lotta contro i vestiti usa e getta parte dal rispetto per l’ambiente e dalle materie prime del territorio
«Googlando nel 2013 ‘moda sostenibile’ mi usciva a malapena il pigiama in cotone organico. Ma perché una donna che studia, lavora, ha una vita sociale non dovrebbe aver accesso a tessuti di qualità che rispettano l’ambiente e il territorio?». Nel raccontare i talenti e le storie delle Unstoppable Women, abbiamo fatto una sosta in Calabria, per la precisione a Guardavalle, in provincia di Catanzaro. Qui Flavia Amato è attiva da diversi anni con Malia, il suo atelier nel quale realizza vestiti e capi femminili utilizzando materie prime locali, come la ginestra, con un occhio attento ad evitare gli sprechi e l’altro ad aggiornare il proprio canale e-commerce, dal quale arriva la maggior parte del fatturato. «Alcuni si potrebbero chiedere come sia stato possibile fare una cosa simile in Calabria. Meglio raccontar prima chi sono». E dunque seguiamo Amato, 31 anni, nella speranza di ispirare anche soltanto una persona a ritornare a casa, al Sud, per fondare lì la propria impresa.
«Mia nonna cuciva – ricorda – e suo fratello, che non ho mai conosciuto, era il sarto del paese, partito per il Canada in cerca di fortuna. Da bambina mi sedevo sulla ginocchia di mamma mentre mi rammendava i vestiti». C’è chi a volte la tradizione di famiglia non l’ha mai sentita propria, e si è scelto così la sua strada. Per Flavia, invece, quella tracciata dai parenti era corretta. Serviva soltanto trovare la giusta trama. «Quando mi chiamano stilista mi fa strano – sottolinea – anche perché non so manco disegnarlo un figurino».
Leggi anche: «Fare di più lavorando di meno? Solo se si è felici». Intervista a Silvia Vianello (Financial Coach)
A 18 anni ha lasciato la Calabria per raggiungere il fratello e la sorella nelle Marche, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Macerata. Poi la specializzazione in modellistica. Non intende la moda come qualcosa di passeggero o stagionale e l’idea di vestiti che devono durare non l’ha mai percepita come un di più, ma come una virtù per un artigiano. «Mi son specializzata in sartoria artigianale: volevo creare capi come una volta». L’incontro col mondo del lavoro non è stato dei migliori: Amato si è confrontata con un settore, quello del fashion, la cui impronta ambientale sta nei numeri.
“Mi sono sempre ispirata a Brunello Cucinelli: il mio obiettivo è ricreare una filiera tessile in Calabria”
Fast fashion, un peso per l’ambiente
Di seguito alcuni dati pubblicati sul sito della Scuola di Alta Formazione sulla Sostenibilità e l’Economia Circolare dell’Università Sapienza di Roma: “Si stima che ogni anno ben l’85% dei tessili prodotti finisca in discarica. A fronte di questi dati è evidente come il Fast Fashion sia responsabile di ben il 10% delle emissioni serra sul pianeta, per non contare lo sfruttamento e l’inquinamento delle acque, altro grande problema spesso sottostimato. Si stima che il 20% dell’inquinamento delle acque derivi dai processi di tintura e lavorazione dei tessuti”.
Leggi anche: «Le bambine di oggi renderanno il calcio femminile una figata pazzesca». Le BomberGirl raccontate da Valeria Oliveri, voce di Radio 105
Certi brand stanno cambiando approccio e nelle sfilate si nota un’attenzione diversa alle tematiche green. Ma ancora molto deve essere fatto. «Ho lavorato per terzisti della moda, la classica gavetta – ricorda Amato – e lì mi son resa conto della distanza tra me e quel mondo. Vedevo cose aberranti: falso made in Italy, sfruttamento, capi che arrivavano in condizioni pietose poi venduti a somme da capogiro. Non c’era valore».
Caso ha voluto che in quel periodo – era il 2014 – l’Istao (Istituto Adriano Olivetti) di Ancona ha pubblicato un bando per selezionare dieci idee innovative. Così è nata Malia. «Abbiamo scelto il nome insieme a una mia carissima amica grafica: volevo un qualcosa facile da ricordare, che avesse un bel suono. La malia è un incantesimo». Dalle Marche, però, Flavia Amato ha presto rivolto lo sguardo verso casa, quella Calabria e quel Sud dove avviare un impresa non sempre è facile.
Leggi anche: «Nella cybersecurity non servono soltanto i nerd». Intervista ad Anna Vaccarelli, la migliore informatica d’Italia
«Mentre facevo formazione e acceleravo Malia, ho riscoperto la mia terra: la Calabria in tempi antichi era patria di tessitura e artigianato. La mia zona in particolare era la culla della seta. Questo tessuto autoctono veniva fatto con la ginestra, che qui cresce spontanea. In altre parole non impatta. Così sono tornata, ho ristrutturato il vecchio locale di mia nonna, dove c’era la merceria, e da lì ho iniziato l’attività insieme a mio marito. Mi sono sempre ispirata a Brunello Cucinelli – aggiunge Amato -. Il mio obiettivo è ricreare una filiera tessile in Calabria».
Ma quali sono i tessuti green con cui lavora Flavia Amato? «Seguo il filone del filati innovativi, come fibra di aloe, di latte, di bambù. Utilizzo anche la fibra di alga, come alternativa al sintetico. Sto poi portando avanti il filato tradizionale come canapa, sete e lino. Alcuni anni fa ho realizzato prodotti con gli inserti in ginestra». In catalogo Malia offre prodotti di vario tipo, dal casual fino alle linee cerimonia.
“Ho lavorato per terzisti della moda. Vedevo cose aberranti: falso made in Italy, sfruttamento, capi che arrivavano in condizioni pietose poi venduti a somme da capogiro. Non c’era valore”
Di fronte a una rappresentante del mondo moda, ci è parso doveroso chiedere che cosa tutti noi non dovremmo avere nell’armadio. «Non bisognerebbe avere vestiti fast fashion. Invece di comprare cinque magliette, meglio comprarne una con gli stessi soldi, ma che sia di ottima qualità. E poi un consiglio: cercate negli armadi di famiglia. Io faccio sempre felici scoperte. Un tempo i capi erano fatti per durare». E difatti la second hand economy, con app dedicate, sta spopolando anche in Italia. Ma perché fa ancora fatica ad affermarsi una logica di durata dei vestiti?
«Lo scoglio che abbiamo è la materia prima, perché costa. Non riesco a scendere sotto una fascia di prezzo. Se siamo stati educati al fatto che una maglia costa 10 euro, è ovvio che sembra cara quella che ne costa 40. I grandi colossi hanno fatto danni da questo punto di vista». Nel futuro di Malia non c’è infine soltanto l’atelier, ma anche iniziative che guardano al sociale. «A Guardavalle la parte interna si è quasi spopolata. Il mio sogno è creare una scuola di artigianato non tradizionale, perché dovrà collaborare con associazioni per insegnare il mestiere a ragazzi e persone in difficoltà».