Succede senza far rumore. Un giorno tenti di accedere a un archivio, come fai da sempre, e qualcosa non risponde. Nessuna allerta, nessun errore: solo una nuova normalità. «Profilo non autorizzato», mi ha detto il sistema. Ho pensato a un malfunzionamento. Poi ho controllato: il mio stato giuridico era stato aggiornato. Silenziosamente. Senza preavviso. Senza consenso.

Qui, nel 2100, non servono più dichiarazioni. È il sistema che decide chi sei, in base a ciò che fai, a ciò che pensi, persino a ciò che eviti.
Un gesto qualunque
Non era la prima volta. Nel nostro tempo, accade spesso. Il concetto stesso di identità ha smesso di essere statico da almeno trent’anni. Ogni ruolo, ogni appartenenza, ogni autorizzazione è diventata liquida. Si adatta, si evolve. Tu non devi fare nulla: basta vivere. E vivere, qui, è sufficiente per cambiare.
La scoperta silenziosa
L’identità è ormai un riflesso computazionale. Non è più anagrafica, ma narrativa. Una traiettoria che il sistema aggiorna in base alla tua coerenza. Cambi abitudini? Cambia il profilo. Ti esponi pubblicamente? Si rimappa il tuo raggio d’azione. Diventi genitore? Si riscrive la tua priorità sociale. Nessuna scelta è più isolata: tutto contribuisce al racconto di chi sei. O di chi sei stato.
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Identità come flusso
La generazione precedente alla mia aveva già visto gli inizi. Identity wallet, protocolli SSI, Worldcoin. Tutti mattoni di un processo che oggi appare inevitabile. Il punto di svolta è stato l’introduzione del Protocollo Narrativo Integrato. Un’intelligenza distribuita capace di aggiornare ogni segmento identitario in base ai segnali raccolti: biometrici, comportamentali, relazionali. Oggi ogni individuo è composto da identità settoriali che si armonizzano in tempo reale. L’identità è una funzione, non un dato.
Tecnologia dietro le quinte
Dietro ogni aggiornamento c’è una rete neurale che elabora intenzioni e deviazioni. Gli algoritmi predittivi misurano la coerenza narrativa rispetto alle versioni precedenti. Se emerge un’incongruenza significativa, il sistema adegua il profilo. Non è una punizione. Non è un premio. È solo una regola di efficienza. Nel mio caso, un passaggio professionale mal interpretato ha causato la perdita temporanea di uno status operativo. Nessun danno, ma un segnale: non sono più chi ero.
Una domanda irrisolta
Molti qui vedono in questo meccanismo una conquista. Nessuna carta da firmare. Nessun rinnovo. Nessuna burocrazia. Ma anche nessuna memoria. A volte mi chiedo se, in questo perfetto equilibrio dinamico, ci sia ancora spazio per la volontà. Se il diritto di cambiare coincida davvero con la possibilità di scegliere. Forse no. Forse quello che ci resta è la consapevolezza dell’attrito. La capacità di riconoscerlo. E magari, ogni tanto, di volerlo.
Perché anche nel 2100, sebbene tutto funzioni, ogni tanto vale la pena fermarsi e chiedersi: chi decide chi sono?

