Un’epidemia informativa si era già verifica in occasione della Sars e ora è ricomparsa con Covid-19. La soluzione però non arriverà da qualcuno in grado di stabilire il confine tra verità e falsità, ma dalla conoscenza
Questa è la storia “non di un’epidemia, ma di due. E la seconda epidemia… ha conseguenze molto più importanti della malattia stessa”. Si sta parlando di un’epidemia informativa (una “infodemia”): una pletora di informazioni potenzialmente fuorvianti o sbagliate che ci investono in piena faccia, mascherina o no. Era il 2003 e il politologo e giornalista David J. Rothkopf stava commentando le conseguenze dell’epidemia di Sars che era scoppiata in Cina un anno prima. L’articolo si intitolava “When the Buzz Bites Back” (che potremmo tradurre con “Quando il pettegolezzo ti si ritorce contro”) e la tesi di Rothkopf era che le conseguenze del caos informativo erano state peggiori, anche per la salute, di quelle del virus. Perché, tra le altre cose, avevano reso difficile il controllo della salute pubblica. Ma soprattutto, proseguiva, “paura, speculazione e rumors amplificati e accelerati in tutto il mondo dalle moderne tecnologie hanno influenzato le economie nazionali e internazionali, le politiche e la sicurezza in modi sproporzionati rispetto alla nuda realtà”.
Un sistema dell’informazione diverso
Era il 2003, appunto: il sistema dell’informazione in cui eravamo immersi era ricco, ma non pletorico come oggi. Per esempio non c’erano i social network e le liste su WhatsApp, e molte meno persone erano connesse tra loro per via informatica. Bastavano comunque pochi secondi perché una mail facesse il giro del mondo, e Rothkopf proponeva di cominciare a porsi il problema.
Fatto? Beh, intanto la parola è una delle più usate del momento. Ha fatto un passaggio dall’ambito giornalistico a quello specialistico e poi viceversa ma, sottolinea la sociolinguista, scrittrice, specialista di comunicazione digitale Vera Gheno, “non è affatto insolito. È rimasta probabilmente sottotraccia per diciassette anni, e poi è stata ufficialmente usata dall’Oms ai primi di febbraio, diventando praticamente pubblica”. L’allarme dell’Oms sembrava ricalcare quello di Rothkopf del 2003 “e forse è questa la cosa notevole, che la sanità pubblica internazionale abbia suonato l’allarme”.
Fake o real?
Quante sono le cattive informazioni che circolano (chiamiamole fake o come ci pare)? “Impossibile dirlo anche perché talvolta è impossibile catalogarle in maniera netta come fake o real. Del resto la scienza è in continua evoluzione e dobbiamo esserne consapevoli”, prosegue Gheno. Cioè quello che ieri era “ufficiale” domani può essere cambiato (si veda alla voce “mascherine” su cui le istituzioni in poche settimane hanno cambiato indicazioni).
Veniamo dunque alla cura dell’infodemia
Per Vera Gheno, non dobbiamo aspettare “che arrivi qualcuno dall’alto e risolva l’infodemia, cioè stabilisca il confine tra verità e falsità. Dobbiamo crescere cittadini più maturi nella gestione delle informazioni, capaci di farsi le domande giuste e di capire che chi diffonde notizie può avere intenzioni anche distanti dalla pure informazione”. Ma c’è comunque un elemento di sistema da considerare. Lo spiegava anche Rothkopf in conclusione del suo articolo: “se l’informazione è la malattia la conoscenza è la cura”. E intendeva anche: conoscenza delle dinamiche di diffusione delle informazioni. Su questo, le istituzioni probabilmente devono lavorare ancora.
Sanofi Pasteur e StartupItalia dichiarano che gli autori dei post e gli speaker che prendono parte alle dirette hanno ottemperato agli adempimenti previsti in tema di conflitto di interesse.