La nuova software house di Marcus Lehto ha finalmente rilasciato il suo primo titolo. Ed è coraggioso al punto giusto
Non si può dire che Disintegration ci abbia fatto attendere tanto. Se ricordate, infatti, venne annunciato durante lo scorso E3, quindi esattamente un anno fa. Attorno a questo titolo, che pure è stato sviluppato da una software house giovanissima e – dunque – sconosciuta, si è coagulata l’attenzione di critica e pubblico. Il perché è presto detto: forse il nome del team, V1 Interactive, non vi dice nulla. Il nome della sua punta di diamante, però, è ben più noto: Marcus Lehto. Già, quel Marcus Lehto che ha contribuito a ideare la serie Halo, tra i titoli cui la console Microsoft deve il suo successo. Abbandonato il blasonato Bungie Studios (responsabile anche di Destiny), Lehto si è messo in testa di rinnovare il genere che lo ha reso famoso: quello degli FPS. Ci sarà riuscito?
Una volta qui, era tutta umanità
Le premesse, almeno quelle del canovaccio, non sono certo rivoluzionarie. Disintegration è infatti ambientato in un futuro distopico in cui il genere umano, dopo averne patito di ogni, è sull’orlo dell’estinzione. Il mondo è un posto infame e anche l’ordine costituito si è ormai sfarinato. Come se non bastasse, ormai al comando ci sono le macchine: robot in cui è stato trasferito il cervello di persone che hanno preferito abbandonare le proprie spoglie mortali date le ormai invivibili condizioni ambientali. Tale decisione che, in origine pareva sensata in quanto unica possibilità di salvezza, si è presto trasformata nel pretesto per lo scoppio di una sanguinosa guerra civile. L’umanità è infatti divisa in fazioni: umanoidi da un lato, clan dei “naturali” dall’altro. E ovviamente i “naturali” hanno la peggio, visto che non possono contare sulle infinite risorse di un corpo in metallo.
Su questa trama fantascientifica, piuttosto banale anche se non manca qualche personaggio ben caratterizzato, un paio di dialoghi degni di nota e alcune situazioni sopra le righe, si innestano le 12 missioni della modalità single player, capaci di intrattenere per almeno una dozzina d’ore (un’ora a missione, ma siamo stati larghi). Non che la qualità di un FPS possa essere pregiudicata dalla trama, o non si spiegherebbero le ore passate su Wolfestein, Doom, Quake e frenetica e sparocchiante compagnia. Anche in Disintegration ogni filmato è finalizzato a darvi un pretesto per disintegrare chiunque vi si pari di fronte. Tutti i tentativi di andare oltre questo fine debbono essere comunque ritenuti apprezzabili, anche perché a conti fatti il mondo ideato da Lehto ha il suo fascino.
Ma la vera novità portata in dote da Disintegration è un’altra: siccome militiamo tra i ribelli e abbiamo risorse limitate, siccome gli avversari sono automi – dunque più forti – e pure numericamente superiori, a ogni nostra incursione il rischio morte è altissimo. Scordatevi il classico sparattutto in prima persona in cui da soli si fanno fuori interi eserciti. Nel titolo pensato dal babbo di Halo non è così: da soli si soccombe in pochi secondi. E qui subentra la costola strategica: avrete infatti a disposizione quattro unità terrestri che risponderanno ai vostri ordini. Starà a voi dir loro come muoversi e chi attaccare, naturalmente prestando attenzione alla disposizione delle truppe nemiche e alla loro tipologia. Tutto questo lo farete prevalentemente dai comandi di una moto volante, dotata di due armi (principale e secondaria), che farà sì che i mezzi aerei avversari siano di vostra esclusiva competenza.
Disintegration, non un FPS comune
Chi crede di agire come negli altri FPS, ovvero senza coordinarsi con i propri commilitoni, caricando a testa bassa e sparando a tutto ciò che si muove, collezionerà un buon numero di “Game over”. Ricordiamoci infatti che noi siamo un manipolo di ribelli che ha davanti a sé un esercito vero e proprio, meglio armato e più preparato. L’effetto sorpresa insomma è l’unica nostra speranza, spesso, di uscirne vivi. Quindi sotto con gli agguati, gli accerchiamenti e le granate fumogene e stordenti.
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Il nostro timore più grande riguardava il fatto che la strategia in tempo reale mal collimasse con la frenesia di uno sparattutto in prima persona, rendendo impossibile richiamare gli avversari nelle fasi più concitate. Pad alla mano, i controlli sono rapidi e intuitivi: basta inquadrare un punto dello schermo e le truppe si muoveranno di conseguenza. La loro IA non brilla, spesso anzi fa dannare, ma nella maggior parte dei casi porteranno a termine i compiti assegnati senza bisogno di supporto.
Fin qui, Disintegration fa il suo lavoro più che discretamente. Dove pecca, probabilmente, è nella mancanza di fondi, che ha costretto il neonato team di sviluppo a comprimere una lunga serie di buone intuizioni. Iniziamo dalle missioni: sono solo 12 e intrattengono per una decina d’ore. Spostiamoci alle mappe: sono piccine e lineari. Abituati ai titoli contemporanei che chiedono di perlustrare lande virtuali immense, se ci danno una moto volante vogliamo a maggior ragione macinare migliaia e migliaia di chilometri. Poi ci sono limiti difficilmente da spiegare: perché non è possibile scegliere il proprio equipaggiamento? E perché nessuno dei nostri commilitoni ha caratteristiche davvero uniche, come in Fire Emblem, per esempio?
Dieci giocatori pronti a disintegrarsi
Viene il sospetto che molti dei limiti accennati siano dovuti alla presenza delle modalità multigiocatore. Personalmente, avremmo preferito farne a meno, potendo beneficiare di un single player a tutto tondo, con più missioni e mappe più ampie. Gli sviluppatori di V1 Interactive hanno voluto imbastire entrambe, probabilmente con pochi soldi e poco tempo a disposizione e la sensazione è che il titolo ora presenti pecche su ambo i fronti. Tuttavia, la possibilità di scontrarsi con altre 9 persone in tre modalità (ruba la bandiera, tieni il fortino e il classico deathmatch), scegliendo tra 9 classi (ancora tutte da bilanciare, confidiamo in una patch), risulta gradita. Il modo migliore per staccare dalle missioni in solitaria. Come temevamo, qui il gameplay viene sovvertito: la fanteria resta sullo sfondo, i combattimenti sono frenetici come in qualunque altro FPS.
Graficamente si poteva fare di più, siamo di fronte a un titolo che riesce ad apparecchiare diverse ambientazioni piuttosto spettacolari ma, grattata la superficie, rivela comunque il fatto che sia un progetto a budget ridotto. Molto più buono, invece, il sonoro: le musiche sono epiche e gli effetti FX convincenti. Meno il doppiaggio, che ogni tanto è fuori sync. In generale, si può dire che il babbo di Halo sia riuscito a creare un prodotto unico nel suo genere e, al netto di un gameplay ripetitivo, anche piuttosto solido e divertente. Peccato che in una decina di ore è possibile arrivare a vedere i titoli di coda e difficilmente si avrà voglia di ripetere le campagne. Archiviati i combattenti contro la Rayonne del perfido Black Shuck, sarà sempre possibile buttarsi a capofitto nelle indiavolate sfide multiplayer. Non siamo di fronte a un titolo che resterà nella storia, ma è comunque una discreta opera prima per i ragazzi di V1 Interactive.