Certi videogiochi ci mettono di fronte a grandi domande
Risvegliarsi in un ospedale deve essere un’esperienza traumatica per chiunque. Ancora di più se attorno a noi non c’è nessuno a spiegarci che cosa sta succedendo. Nella recensione di oggi vi parliamo di un titolo, EdenGate: The Edge of Life che sembra prendere il via dallo stesso punto di partenza di altre produzioni, come la serie The Walking Dead. La protagonista, Mia Lorenson, è una giovane che si risveglia in una fredda stanza d’ospedale, debole e incapace di reggersi in piedi. Incipit simili sono stati masticati più e più volte dai gamer: è evidente fin da subito che la situazione è parecchio brutta.
Sviluppato da HOOK, EdenGate: The Edge of Life non è un action game o uno sparatutto in terza persona. La nostra protagonista viaggia in un mondo che fin dai primi secondi di gioco appare più che strano, surreale. Alla ragazza appaiono visioni continue in una struttura ospedaliera che un po’ di ansietta ce l’ha messa. A spiccare è soprattutto il comparto audio, con la colonna sonora realizzata dalla compositrice Laryssa Okada.
Purtroppo le aspettative di avventura e di immersione nel personaggio di Mia vengono in buona parte disattese. L’esperienza si completa nel giro di un paio d’ore (forse troppo poche per intavolare una storia così ambiziosa). Quel che dobbiamo fare nel corso del gioco è spostarci ed esplorare, interagendo con oggetti che talvolta daranno avvio a brevi cinematiche. Dal punto di vista grafico, pur essendo un videogioco sviluppato con Unreal Engine, abbiamo riscontrato sbavature notevoli soprattutto nelle espressioni facciali della ragazza. Non male invece l’ambiente circostante, per il quale siamo sicuri che la software house abbia pescato a piene mani dall’universo narrativo di titoli come The Last of Us.
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Senz’altro Edengate: The Edge of Life ha il pregio di toccare temi impegnativi, che riguardano la perdita e la solitudine. A nostro avviso tuttavia l’intera esperienza avrebbe meritato maggiori sforzi sia nella densità delle azioni da compiere sia nella trama, da ramificare meglio. Questo avrebbe salvato il titolo dal presentarsi più vicino a un walking simulator che a un’avventura in terza persona davvero immersiva.