Sport e videogiochi: le opportunità oltre la competizione
La polemica scoppiata attorno al caso Super League ha tirato in ballo anche il mondo gaming. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, ha infatti spiegato in un’intervista che alla base di questo torneo chiuso tra società d’élite ci sarebbe l’obiettivo di «fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi, che spenderanno domani». Da una logica di competizione è però possibile ipotizzare un terreno di collaborazione tra i due mondi? Per scoprirlo abbiamo intervistato Luca Pagano, cofondatore e amministratore delegato di QLASH, organizzazione fondata a Treviso nel 2017 che ha dato vita a team di videogiocatori professionisti. «Negli Stati Uniti la finale di League of Legends ha fatto più ascolti del Super Bowl – sottolinea Pagano – in Italia mi aspetto che, entro cinque anni, il pubblico che segue gli esport supererà per volumi quello degli sport tradizionali, come il calcio».
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Luca Pagano: ha senso copiare gli esport?
Fino a pochi anni fa scenari simili non erano neppure immaginabili. Come si possono commentare allora le parole di Agnelli in merito alla Super League e alla ragione prettamente commerciale che ne giustifica il progetto per “salvare il calcio”? «A istinto credo che abbia fatto bene a preoccuparsi per trovare una formula che intercetti i giovani. Un conto però è farlo in maniera spontanea, un altro perché così fanno tutti. Diverse squadre di calcio hanno scoperto tardi l’opportunità del gaming. Aggiungo però che nel mondo degli esport ci si sta chiedendo se eventi chiusi, esattamente come è stata pensata la Super League, abbiano senso o se non ci si debba invece aprire».
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Super League: sta stretta anche agli esport
Nel settore, infatti, sono diverse le competizioni chiuse, a cui i team e le organizzazioni medio-piccole non potranno mai accedere. «Un’entry fee di un evento può arrivare a costare anche 30 milioni di dollari – ci spiega Luca Pagano – le barriere all’ingresso servono, ma ci deve essere comunque un equilibrio per dare chance a tutti di gareggiare. La Super League segue il modello NBA, con i suoi pro legati all’aspetto economico e i suoi contro riguardanti il sistema chiuso». Calcio e esport sembrano dunque desiderare ciascuno una fetta del mondo dell’altro.
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«I due ambiti hanno molto da imparare l’uno dall’altro. Lo sport tradizionale deve capire come comunicare con i giovani; gli esport, essendo espressione di un’industria giovane, hanno invece la necessità di comprendere le dinamiche commerciali e di gestione di una grossa società. Per quanto riguarda il contesto italiano – aggiunge Luca Pagano – quello che noto è la mancanza di professionalità da parte dei manager e di chi forma i giocatori. Mancano questi professionisti degli esport».
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Al di là dei pregiudizi
In altri paesi la cultura legata al gaming è già matura, mentre in Italia restano diversi pregiudizi che finiscono col mettere in contrapposizione lo sport e gli esport, banalizzando questi ultimi o condannandoli addirittura. «La ludopatia è un problema, ma non è che abolendo i videogiochi i ragazzi non si isoleranno più nelle loro camere – spiega Pagano, riferendosi al fenomeno hikikomori – sono in contatto con molti giocatori di esport e con i loro genitori: chi tra loro performa è perché ha una famiglia alle spalle che li ascolta e gli dà struttura. Il ragazzo che emerge è quello equilibrato perché ha la testa e l’educazione».