La mutazione dei gusci è cominciata negli anni Settanta ed è causata dalla rapida acidificazione dei mari
Le cozze stanno diventando sempre più piccole. Di un terzo e anche molto di più. Gli effetti? Il guscio più piccolo vuol dire più possibilità di finire nelle fauci dei predatori. Sul piatto non c’è solo la pepata di cozze, ma anche un giro di affari da 231 milioni di euro annui, secondo la Commissione europea. Se è presto per dire che sono a rischio estinzione, certo è un campanello d’allarme. Una ricerca dell’Università di Chicago ha messo a confronto le cozze pescate oggi dalla costa dell’Oceano Pacifico con i gusci storici di quelle più antiche, alcune di migliaia di anni. Il confronto statistico ha fatto emergere un dato: i gusci dei mitili sono assottigliati di circa il 27%, con picchi del 94% in alcuni esemplari. Lo spessore del guscio è un fattore importante: gusci più sottili vuol dire cozze in pericolo, più esposte a predatori e fattori ambientali. La ricerca è stata pubblicata in Proceedings of the Royal Society B.
L’Italia produce 65 mila tonnellate di cozze
Le cozze sono un affare serio. Secondo la FAO solo in Europa, se ne commerciano cozze ogni anno 600mila tonnellate, per un consumo pro capite che in alcuni paesi arriva anche a 4kg l’anno. L’Italia è il terzo produttore, con 65mila tonnellate, dopo la Spagna (200mila tonnellate) e la Francia (80mila tonnellate). Un giro d’affari di 231 milioni di euro annui, secondo la Commissione europea.
Così l’effetto serra assottiglia i gusci
La mutazione dei gusci è cominciata a partire dagli anni ’70 (quando erano in media più spessi del 32% rispetto ad oggi) ed è da attribuire alla rapida acidificazione degli oceani, la riduzione del pH causata dall’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, che viene assorbita dall’acqua marina e sta modificando tutti gli equilibri chimici dei mari.
Secondo la ricerca, dell’effetto risentono anche le cozze, a bagno in queste acque sempre più acide che stanno di fatto dissolvendo i loro gusci. Questi gusci sono fatti di carbonato di calcio e sono più difficili da far crescere in un oceano con un pH più basso. Un’altra ipotesi per spiegare questo cambiamento nello spessore dei gusci avanzata dal team di ricercatori è il cambiamento nella catena alimentare, a monte del quale però c’è sempre lo stesso fenomeno di acidificazione.