Un’allarmante indagine di Oxford (pubblicata su Lancet) avvisa: così anche piccoli cambiamenti nella disponibilità di frutta, verdura e carne rossa possono condurre a un’ecatombe in 155 Paesi nei prossimi 35 anni
Un nuovo studio, piuttosto allarmante, la spara grossa: prevede fino a 500mila morti su scala mondiale legate alla scarsità di cibo disponibile entro il 2050. In pratica, una mezza ecatombe in programma per i prossimi 35 anni in 155 Paesi. Sul banco degli imputati il cambiamento climatico. O meglio, i suoi nefasti effetti, che potrebbero condurre a un inarrestabile declino nella disponibilità di alcune tipologie di alimenti – frutta, verdura e carne rossa – modificando dunque di molto la dieta degli individui e creando scompensi notevoli nei sistemi di sanità pubblica del pianeta. Oltre che altre centinaia di migliaia di morti legate ovviamente a diversi tipi di conseguenze legate all’ambiente, dalle infezioni alle migrazioni forzate, che l’indagine non considera.
La domanda cresce, la disponibilità cala
Il tema è centrale ormai da anni perché incrocia due fenomeni all’apparenza inarrestabili: da una parte l’impennata della domanda di cibo internazionale e, dall’altra, i fenomeni climatici sempre più fuori controllo che hanno stuprato le stagioni e mettono a rischio la produzione mondiale con le minacce più diverse: aumento delle temperature su tutte ma anche lunghe fasi di siccità, violente precipitazioni, conseguenti allagamenti e così via.
L’indagine
I ricercatori del Martin Programme on the future of food ospitato dall’università di Oxford guidati da Marco Springmann hanno appena sfornato un’indagine, pubblicata sulla prestigiosa rivista specializzata Lancet, in cui tentano di andare oltre spiegando anche l’incidenza di questi cambiamenti, e dunque il fatto che non avremo più a disposizione certi prodotti, sulla mortalità. Come altri in passato hanno utilizzato modelli predittivi per capire in che modo l’agricoltura soffrirà dei diversi scenari che ci si pongono di fronte nei prossimi decenni ma lanciando un filo rosso dal cibo alla vita. Anzi, alla morte.
Lo scenario: meno frutta, verdura, carne
Come in altre simili occasioni, gli scenari messi a punto sono stati un paio. Uno, per così dire, fermo allo stato attuale, che non prevede cambiamenti significativi nelle temperature globali. E dunque poco probabile. In questo caso, senza stravolgimenti, la disponibilità di cibo aumenterebbe del 10,3% entro il 2050. Sotto l’effetto dei cambiamenti climatici, stimati in due gradi rispetto alla media 1986-2005, questa percentuale sarebbe invece più bassa del 3,2% rispetto all’aumento previsto nella previsione principale. Di cosa dovremo fare a meno? Per esempio della frutta e della verdura (ne mangeremmo il 4% in meno) o della carne rossa (0,7% in meno).
Meno frutta, verdura e carne rossa provocheranno uno stravolgimento nutrizionale
Clima, stravolgimento della dieta
Sembrano numeri trascurabili ma secondo i modelli sanitari applicati dagli scienziati britannici comporterebbero profonde mutazioni nelle abitudini alimentari internazionali. Andiamo con ordine: nello scenario base l’aumento del cibo salverebbe circa due milioni di vite rispetto alla situazione del 2010. Nel secondo, quello contraddistinto dai due gradi di temperatura in più, questo effetto sarebbe abbattuto del 28%. Dunque, dai due milioni, rimarrebbero fuori 529mila individui che, senza riscaldamento globale, si sarebbero salvati. E invece andranno aggiunti al novero dei morti da scarsa alimentazione. Si tratta infatti fondamentalmente di due ragioni. Una, per così dire, tragicamente classica: la denutrizione come la conosciamo già oggi. L’altra in parte inedita, almeno per certe aree del pianeta: lo scompenso nutrizionale legato all’assenza di frutta, verdura e carne.
“I risultati dello studio indicano che anche modeste riduzioni di disponibilità di cibo per persona possono condurre a cambi nel contenuto energetico e nella composizione delle diete, fatti a loro volta associati a negative implicazioni di salute” si legge nel paper. Che sottolinea anche come la lotta all’aumento delle temperature rimanga essenziale: in uno scenario moderato, con un innalzamento limitato, quei 500mila decessi calerebbero del 30%.
Chi ne paga le conseguenze? Anche l’Italia
La Cina, con 248mila morti, e l’India con 136mila pagheranno il prezzo più alto, racconta l’indagine inglese. Frutta e verdura mancheranno per esempio nei Paesi sviluppati o anche di medio reddito mentre la denutrizione continuerà a falcidiare larghe fette d’Africa e Sudest asiatico (164mila morti). Qualcosa si recupererà, in termini di saldo legato alla mitigazione di alcune patologie correlate come quelle del cuore, dal calo dell’obesità. Tuttavia nulla a che vedere con i danni della scarsità di derrate. In termini di morti per ogni milione di persone lo studio segnala anche la pessima situazione di Grecia (124 per milione) e Italia (89 per milione).