A Expo il 24 ottobre sarà presentato un action plan europeo. E intanto ogni anno l’Italian Sounding fattura 60 miliardi di euro e impedisce la creazione di 20 mila posti di lavoro.
«Quasi un’azienda agroalimentare su due (il 41,8%) ha subito almeno una contraffazione dei propri prodotti in Italia, due su tre nelle imprese con oltre 250 dipendenti» rivela Mario Guidi, presidente di Confagricoltura.
Italian Sounding, mercato da 70 miliardi di euro
E in India, Cina, Stati Uniti e alcuni paesi europei impazza anche l’Italian Sounding, prodotti alimentari non genuini, simili ai nostri cibi nazionali con nomi storpiati e difficilmente riconoscibili per un non italiano. Si sta parlando di un mercato da circa 60 miliardi di euro, al quale si aggiunge un 10% di prodotti interamente falsificati e alterati, arrivando così a una cifra complessiva di quasi 70 miliardi. È davvero questo che ci ha insegnato Expo 2015?
L’eredità immateriale di Expo
Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, ritiene che c’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto a livello europeo. Sono 32 mila le tonnellate di fake food sequestrati negli ultimi cinque anni, e nei primi sette mesi del 2015 ne sono stati confiscati oltre 162 mila chili.
Per mettere fine a questa enorme perdita di denaro e di posti di lavoro (quasi 20 mila posti posti persi all’anno) è stata avviata un’iniziativa, sostenuta dal Governo, che sarà presentata il 24 ottobre presso l’esposizione milanese. L’obiettivo è quello di promuovere la sottoscrizione di un protocollo tra i Paesi membri dell’Unione Europea e contrastare la falsificazione di generi alimentari nostrani DOC e DOP.
«Serve continuare a lavorare per il Made in Italy perché noi Italiani siamo i più imitati. Basti pensare che abbiamo 4670 piatti regionali, nessun’altra realtà europea può dire lo stesso».
Fake food per tutti i gusti
Avete mai sentito parlare di “Parmesao” o “Reggianito”? Tra Brasile e Argentina vanno per la maggiore, così come il “Grande Parmesan” negli Stati Uniti. Imitazioni a regola d’arte che spopolano fra gli scaffali delle grandi catene di supermarket fino alle tavole di ignari consumatori stranieri convinti di mangiare il vero Parmigiano Reggiano, il formaggio più imitato al mondo.
Non solo prodotti caseari: tra i fake food troviamo anche vini, oli, salumi, miele e pasta. Sono famosi il Prosek, il Parma Salami messicano, lo Spicy Thai Pesto statunitense, le penne Napolita del Lancashire, ma anche il Chianti della California e il salame tipico calabrese che in realtà è prodotto in Canada.
Sempre più startup contro il falso alimentare
Spuntano come funghi, credono nel Made In Italy e fanno di tutto per smascherare la falsificazione dei prodotti nostrani. Sono le startup del settore alimentare che scendono in campo per combattere le agromafie e la contraffazione dei cibi italiani.
Non tutti i giovani sono fuggiti all’estero per trovare lavoro e successo, c’è chi resta in patria a difendere i prodotti della terra dove è nato. È il caso per esempio di Lorenzo Guariento e della sua ItforItaly, l’app toscana che tramite etichetta e barcode consulta il database e ti segnala se il prodotto è davvero Made In Italy (ne abbiamo parlato qui, scopri i dettagli).
Un aiuto concreto per la lotta alle imitazioni arriva anche da Younivocal: un’etichetta interattiva, unica e irriproducibile in grado di interfacciarsi con dispositivi dotati di tecnologia NFC tramite un’app specifica. «Il 90% degli startupper dirà sicuramente di aprire l’attività all’estero, ma noi siamo una voce fuori dal coro. Il nostro obiettivo è difendere il Made In Italy e dobbiamo essere noi giovani i primi a credere di poterci risollevarci da questa crisi»
Fa la sua parte anche Italeatbox, la startup calabrese che ha lanciato la scatola del cibo italiano, facile da trasportare e soprattutto da esportare, che contiene prodotti artigianali di qualità e ricette caserecce dei piatti più amati del Bel Paese.