Uno spazio accogliente che compenetra tradizioni e futuro: il padiglione turco alla rassegna milanese, quinto per dimensioni fra gli 80 costruiti a Rho, racconta il ponte fra Oriente e Occidente sposando innovazione architettonica e storia dell’innovazione
Per il suo padiglione all’Expo di Milano la Turchia, come non molti altri Paesi, ha fatto una scelta democratica. Notevole, di questi tempi, visto il clima dalle parti di Istanbul e Ankara. Ha cioè scelto un progetto aperto. Invece di rinchiudere le proprie ricchezze – vetro, spezie, sapori, tecnologie dell’antichità – in uno scatolone, costringendo i visitatori a lunghe file, ha riprodotto l’ambientazione rilassata di un caravanserraglio, l’area di sosta delle rotte carovaniere da e per il Medio e l’Estremo oriente. Su tutte, la via della seta. E ha concepito uno spazio di oltre 4mila metri quadrati, realizzato in tempi record (sei mesi dal progetto all’ultima pietra) da un gruppo di lavoro coordinato dalla Dream design factory capitanata da uno dei fondatori, l’architetto Arhan Kayar.
La patria dell’agricoltura
Se il tema – ormai lo sappiamo a memoria, è il mantra nazionale del 2015 – è Nutrire il pianeta, energia per la vita, la Turchia ha scelto di celebrarlo tornando alle tecnologie delle origini ma confezionandole in un’elegante rielaborazione degli stili storici e delle suggestioni estetiche del Paese. In qualche modo, ha preferito raccontare le sfide del futuro recuperando il rivendicato titolo di patria dell’agricoltura. Ecco perché al centro del padiglione – anzi, a puntellare il giardino che lo circonda – c’è il “nar”, il melograno simbolo di fertilità, abbondanza ma anche di diversità nell’unità.
Tre gli ambienti principali: spazio aperto, semiaperto e chiuso che compongono il quinto padiglione per grandezza fra gli 80 realizzati dai singoli Paesi. Vi si può accedere da vari punti ma, rispettando l’ingresso dal decumano, si arriva appunto dalla sezione liberamente accessibile coperta da un tetto di acciaio costruito intorno a una reinterpretazione moderna del disegno della stella anatolica di Selçuk. Anche le fantasie con cui sono decorate le ceramiche che ricoprono le varie camere semiaperte sono rielaborazioni di stilemi tipici della cultura turca e ottomana.
Un gioco di ombre per rinnovare nella continuità
“Abbiamo raccolto tutti i passaggi della nostra civiltà, a cominciare da 12mila anni fa – mi racconta l’architetto Kayar in una passeggiata attraverso la sua creatura, scrigno di un autentico gioco di ombre – quando fra Mesopotamia e Anatolia è nata l’agricoltura. Così come tutti i richiami della nostra cultura vengono raccontati attraverso l’uso di materiali, la scelta del design e ovviamente gli oggetti e i contenuti in mostra”. È probabilmente questo il risultato più concreto del padiglione turco: non è una mera esperienza osservativa ma, come poche altri pachidermi della grande fiera sono riusciti a fare, costituisce un’immersione fra teoria e pratica. Dall’acqua di rose ai maestri vetrai, dal cibo (non così caro come altrove, volendo cedere alle tentazioni di un bulgur) alla sua storia e a quella del paesaggio, con la riproduzione del tempio di recentissima scoperta nel sito di Gobekli Tepe, che qualche anno fa ha improvvisamente scombussolato ogni conoscenza sull’era neolitica. Basti pensare che Stonehenge è del 2000 a.C.
“Abbiamo rinnovato nella continuità – aggiunge Kayar – in una combinazione che ha prodotto una sorta di oasi. Non volevamo chiudere le porte ma condividere l’ambiente perfino con i padiglioni vicini”. Gli aveva fatto eco, nei giorni della presentazione, Tarık Sönmez, commissario generale per l’Expo: “Il design e l’architettura del padiglione turco sono stati realizzati prendendo ispirazione dai migliori esempi di arte e cultura turca – ha commentato – tra questi il palazzo Topkapi, la stella Seljuk, Çeşm- i Bülbül, la regina dell’arte del vetro turco, Caravanserai, il giardino da thè, la fontana ottomana Sadirvan, la casa tradizionale turca così come le speciali fantasie della cultura turca”.
Non volevamo chiudere le porte ma condividere l’ambiente con i visitatori e i padiglioni vicini
Oltre al lato espositivo non mancano aree e locali per laboratori ed eventi tematici, spettacoli, concerti e biblioteca. I numeri (20 tonnellate di acciaio, 1.200 metri cubi di calcestruzzo, 500 metri quadrati di alluminio) sono imponenti ma la realizzazione rimane in ogni caso leggera, accogliente, compenetra contenuto e contenitore schivando il rischio di mortificare il primo per magnificare il secondo. Entrambi gli aspetti si sostengono e non è un risultato garantito da ogni Paese che si è presentato all’Expo. La Turchia promette dunque di poter conquistare molti visitatori, presentandosi prima come un accogliente rifugio nel caos della grande rassegna milanese e poi come scoperta inattesa e ammaliante.