L’agroalimentare italiano scopre nella tradizione i settori più promettenti del 2016. Olio, riso e pasta si adattano ai consumatori. Tra i nuovi arrivati, la birra artigianale. Sempre nel nome della qualità
Marty McFly e Doc Brown atterrano nel 2015. Per l’agroalimentare italiano il ritorno al futuro arriva con qualche mese di ritardo. Il settore guarda al passato e alle sue tradizioni e scopre che proprio lì ci sono i comparti più dinamici del 2016. Quando le fondamenta sono solide, ristrutturare una stanza non è un problema. Ecco perché lo snodo centrale sarà l’incontro tra produzioni classiche (oli e condimenti, pasta e riso) aperte a una nuova domanda di mercato. Con qualche settore (come la birra artigianale) che, pur essendo un nuovo arrivato, ha capito in fretta che il made in Italy passa dalla qualità.
La vera ripresa arriva nel 2017
“L’industria alimentare italiana ha alle spalle un anno in chiaroscuro”, afferma Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare. “Nel 2015 l’unico parametro che si è mosso in modo estremamente soddisfacente è stato l’export, con un +7%, grazie in gran parte al boom del mercato Usa”. I consumi interni, invece “sono stati stagnanti, rimandando l’appuntamento con la vera e propria ripresa al 2016 e ancora di più al 2017”.
Per i prossimi mesi, quindi, c’è ancora un mix di ottimismo e cautela. “La ripresa avverrà gradualmente. La consueta inerzia che caratterizza il settore lascia prevedere recuperi inizialmente marginali, inferiori alla soglia dell’1%. Almeno nel 2016”. L’export resta determinante, ma con qualche incognita in più, che renderà complicato bissare il risultato dello scorso anno.
“Difficilmente potremo fare meglio del +7%”. In pochi mesi di cose ne sono successe. E se la ripresa degli Stati Uniti pare solida a tal punto che “gli Usa continueranno a tirare”, per Scordamaglia “i Paesi emergenti, con l’inasprirsi di quella che si sta profilando sempre più come una vera e propria guerra del petrolio, vedrà drenate risorse e capacità di acquisto, con rischio di effetto domino”.
La tradizione è dinamica: i settori su cui puntare
Fin qui il quadro complessivo del made in Italy enogastronomico. All’interno di questo universo, non tutti i comparti viaggiano allo stesso ritmo. Ma tra quelli più promettenti per il 2016 si notano alcuni tratti comuni: “Sono per lo più prodotti di nicchia, che però proprio dalle nuove tendenze alimentari e dai nuovi stili di vita stanno traendo linfa per uno sviluppo dinamico e orientato all’export”, afferma Gianni Bruno, area manager wine&food di Veronafiere e tra i responsabile dell’osservatorio di Sol&Agrifood. “Spesso si tratta di prodotti fortemente innovativi, pur nel solco della tradizione o addirittura del recupero di antiche materie prime, e di sistemi produttivi moderni ma capaci di riprodurre la qualità di tecniche tradizionali, abbandonate perché considerate antieconomiche”. Il ritorno al futuro paga.
Olio d’oliva, “annata straordinaria”
L’emblema di questa tendenza è l’olio d’oliva, che nel 2016 si trova al centro di congiunture favorevoli, sia dal punti di vista agricolo che commerciale. Le radici sono nella terra. Quella dell’olio, soprattutto per i prodotti di nicchia, “è un’annata straordinaria”, fa notare Carmine Garzia, professore di economia aziendale dell’Università di Scienze gatronomiche e responsabile del Food Industry Monitor.
La raccolta è tornata abbondante. Rispetto al calo produttivo del 2014, Coldiretti ha stimato un aumento della produzione del 30%, a 400 mila tonnellate. La forza però non è nella quantità: l’Italia ha perso lo scettro di primo produttore mondiale a vantaggio della Spagna ed è ancora lontana dalla quota abituale delle 500 mila tonnellate. Il punto decisivo è la qualità, che – secondo gli esperti del settore – quest’anno sarà altissima grazie al clima caldo.
L’olio extravergine può puntare sulla qualità perché sono cambiati i consumatori. “Si stanno raccogliendo finalmente i frutti delle attività di promozione realizzate negli ultimi anni”, dice Bruno. “Questo ha favorito una maggiore cultura del prodotto non industriale. I consumatori hanno percepito la differenza tra i vari oli e sempre più spesso cercano i prodotti territoriali”.
Nel settore dei condimenti, si distingue anche l’aceto balsamico. Un piccolo miracolo: la produzione è di nicchia, ha costi di produzione elevati ma, spiega Bruno, “è capace di interessare gourmet italiani ed esteri e di dare buoni ritorni economici”.
Birre artigianali in fermento
Se l’olio è la storia, la birra è (per ora) un racconto breve. Il settore marcia “grazie allo sviluppo dei prodotti artigianali”, afferma Garzia, nonostante gli aumenti delle accise (tre ritocchi tra il 2013 e il 2015). Secondo un rapporto Altis e Unionbirrai, il giro d’affari è cresciuto del 18,3% dal 2011 al 2014. Buone notizie anche dai fatturati (il 60% dei birrifici incassa tra i 100 mila e gli 800 mila euro), dall’occupazione (il 51% ha assunto personale a tempo indeterminato) e dai volumi (+ 2,2%). Le dimensioni restano ancora contenute, ma un produttore su tre esporta all’estero e il 36,6% vende online. Canale ancora da sfruttare appieno.
“Le birre artigianali italiane sono diventate un vero fenomeno di moda”, afferma Bruno. Una moda che non sarà passeggera. Il settore “è ancora in pieno sviluppo grazie alla grande varietà di tipologie espressa dai nostri produttori”. Ancora una volta, torna il tema della qualità e delle materie prime. “A differenza di altri Paesi – spiega Bruno – i produttori possono sperimentare e proporre prodotti con percentuali diverse di malto, orzo e luppolo, ma anche birre con materie prime diverse come le castagne. Questo le rende interessanti per l’abbinamento con pietanze diverse e adatte a pasti leggeri”.
Vino e spiriti: è tempo di concentrarsi
Il vino mostra segni di vitalità. Il Wine monitor di Nomisma stima, per la fine del 2015, una crescita dell’export del 6%, arrivando al record storico di 5,4 miliardi. Il focus si sta spostando da tempo dai volumi al valore. In sostanza si beve meno ma meglio.
Un passaggio importante è stato poi l’approdo in borsa, la scorsa estate, di Masi Agricola, società regina dell’amarone guidata dal presidente di Federvini Sandro Boscaini. Uno stimolo all’ammodernamento (anche finanziario) di un settore ancora frammentato. Non a caso, tra i motori dello sviluppo del settore wine e spirits, Garzia indica “il processo di concentrazione in atto tra gli attori della competizione”.
Riso e pasta, i classici rivisitati
La nicchia di qualità funziona anche se le imprese puntano su classici rivisitati. Reduce da una stagione di affanno, il riso sta mostrando alcuni segnali di ripresa. Merito, afferma Bruno, delle “aziende di piccole dimensioni che propongono preparati pronti all’uso, come ad esempio i risotti liofilizzati, magari con varietà di riso meno note e prodotte in piccoli volumi”. Nuovi formati che assecondano una domanda cambiata radicalmente nel giro di pochi anni. Gli scossoni hanno spiazzato molti produttori ma, allo stesso tempo, aperto alcune brecce. Anche per le paste, che non vivono di solo grano duro. “Le linee artigianali o di piccoli-medi pastifici sono sempre più segmentate per andare incontro a fasce di mercato particolari, come i celiaci, e a consumatori meno global o che vogliono sperimentare nuovi gusti”.
Salumi, ritorno alle origini
Un discorso simile può essere fatto per i salumi. Secondo l’Assica (l’Associazione industriali carni e salumi) nel 2014 (l’ultimo dato disponibile) la produzione è scesa dell’1,2% e il fatturato dell’1,5% rispetto all’anno precedente. Ancora una volta, a salvare il settore da un passivo più pesante ci ha pensato l’export, che continua a galoppare: nei primi sei mesi del 2015 sono cresciuti sia la quantità (+5,9%) che il valore (+3,9%).
In questo quadro emergono prodotti di nicchia, “sempre più innovativi”. Produzioni che, dice Bruno “tornano alle origini, quando i salumi erano senza alcun additivo, colorante, lattosio o conservante, ma hanno le garanzie di salubrità e standardizzazione richieste dalle norme sanitarie e dai consumatori di oggi”.
Gli obiettivi per il 2020
Al successo contribuiscono non solo la produzione ma anche la promozione. Ecco perché il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, sottolinea che “la qualità e l’immagine del food and beverage nazionale, ora supportato finalmente da un forte impegno promozionale del Governo, sono tali da renderci ottimisti”. Si punta a un traguardo preciso: i 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020. “E’ una soglia irrinunciabile, strategica. Ci consentirà di raggiungere una proiezione export oriented del settore finalmente consona alle sue enormi potenzialità, colmando il gap che tuttora ci penalizza nei confronti dei competitor europei più agguerriti, come Francia e Germania”.
Paolo Fiore
@paolofiore