Lo scorso anno i dipendenti hanno aiutato a risparmiare 420 tonnellate di CO2 all’ambiente, ma i numeri sullo smog in Italia restano sconcertanti
Oltre 650.000 euro risparmiati dai dipendenti di aziende private nel 2018, per un totale di 420 tonnellate di CO2 in meno nell’aria: sono i numeri emersi dallo studio relativo al 2018 condotto da Jojob, una delle più note piattaforme di carpooling aziendale che ha recentemente lanciato anche i servizi Jojob Navette, a piedi e in bicicletta.
“I numeri sono rassicuranti, anche se auspichiamo una maggiore crescita – rivela Gerard Albertengo, founder di Jojob – il nostro obiettivo è quello di generare sempre più efficienza nella mobilità sostenibile, non solo condividendo viaggi in auto, ma stimolando anche l’utilizzo della bicicletta e lo spostamento a piedi”.
I benefici del carpooling aziendale
“Jojob è nato come una sorta di BlaBlaCar per i pendolari , con la differenza che BlaBlaCar organizza viaggi, mentre il nostro servizio è un vero e proprio socialnetwork che connette persone con profili simili per orari e tragitti – rivela il founder a StartupItalia – Una volta trovati i profili ideali, i pendolari si contattano in privato, al di fuori dell’app, per mettersi d’accordo sul viaggio. In cambio, oltre a risparmiare, possono beneficiare di sconti in locali, ristoranti, bar e palestre convenzionate, ed ambire a interessanti premi aziendali. Tra questi, buoni spesa per carburante o alimenti, oppure il parcheggio riservato”.
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Secondo il sondaggio, effettuato sui dati emersi dalla piattaforma stessa, sono 180 le grandi imprese che nel 2018 si sono servite dell’app per far risparmiare tempo e denaro ai propri dipendenti, come Ansaldo Energia; BVLGARI; Cedacri; Ducati Motor Holding; Eli Lilly; Findomestic; Laika; Gruppo Pittini; IBM; Johnson&Johnson; Mutti; OVS SpA; Salvatore Ferragamo.
Lo scorso anno, grazie a Jojob sulle strade hanno circolato 116.569 auto in meno, regalando all’ambiente una riduzione di emissioni di CO2 nell’aria pari a 421.585 kg.
Il risparmio complessivo generato dal servizio di carpooling ammonta a 649.721 euro (in media 1.782 euro euro a utente): quasi il doppio del 2017 (stimato in 339.383 euro). “Abbiamo registrato un elevato numero di adesioni, con un buon 35% di dipendenti che usufruiscono di Jojob. Quest’anno puntiamo a far conoscere il servizio anche alle PMI“, spiega Gerard. E se, in media, un utente di Jojob spende circa 5 centesimi a chilometro (considerando 4 persone per auto a spostamento), 7 carpooler su 10 decidono di non suddividere le spese, bensì di alternare l’uso dell’auto con cui si viaggia. Il 15% degli utenti, addirittura non tiene conto dei costi, ma ammette di fare carpooling solo per ovviare alla solitudine di un viaggio in mancata compagnia. Un altro 15%, invece, utilizza il conto J di Jojob, che permette di conteggiare rapidamente le spese, suddividendole con il resto dei passeggeri, e stabilisce un contributo forfettario settimanale o mensile.
Come è nata la startup
Era il 2011 quando Gerard Albertengo lanciò il progetto Bringme Carpooling & Autostop, da cui nacque la srl BringMe. «A quel tempo, BlaBlaCar non era ancora arrivato in Italia, ma era presente soltanto in Francia. Bringme è stato tra i primi portali di carpooling nel nostro paese – rivela il founder – L’idea mi venne in mente quando ricevetti una telefonata da un amico che era rimasto bloccato in aeroporto per uno sciopero dei mezzi di trasporto. Quel giorno gli dissi: “Ma è possibile che con tutti i viaggiatori presenti con te, nessuno faccia il tuo stesso tragitto?” Allora mi venne in mente di creare un’app di networking dedicata ai pendolari».
Nel frattempo, BlaBlaCar aveva preso piede in Italia, ma questo non impedì la nascita di Jojob, come servizio studiato sulle esigenze di chi percorre quotidianamente la tratta casa – lavoro. Ad inizio del 2017, la startup ha visto un importante aumento di capitale e la successiva assunzione di 13 dipendenti full time.
Morti da smog: i dati
Secondo quanto diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ben 9 persone su 10 vivono in luoghi con livelli di inquinamento più alti di quelli raccomandati. In Italia il tasso è altissimo, con circa 91.000 morti premature (1.500 ogni milione di abitanti) all’anno, contro le 86.000 della Germania, 54.000 della Francia, 50.000 del Regno Unito e 30.000 della Spagna, secondo il rapporto 2017 “La sfida della qualità dell’aria nelle città italiane” divulgato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. In Italia si arriva a questo inquietante bilancio considerando che 66.630 decessi avvengono a causa delle polveri sottili, 21.040 da disossido di azoto e 3.380 per l’ozono. Tra le zone più inquinate del Belpaese spicca in pole position l’area di Milano e l’hinterland, con la Pianura Padana che si conferma la più inquinata d’Italia da polveri sottili.
Fonte: Comune di Milano
Seguono Napoli, Taranto, la Sicilia sudorientale, Frosinone, Benevento, Roma e la valle dell’Arno. Il 35% delle polveri sottili Pm10, a Milano proviene dall’agricoltura, sempre secondo il rapporto di Fondazione Sviluppo Sostenibile.
Fonte: ESRI Italia
Ma quali sono, esattamente, i danni causati dall’inquinamento atmosferico?
Cittadini per l’Aria Onlus, da anni attivamente impegnata contro lo smog, ha fatto il punto della situazione.
Fonte: Cittadini per l’aria
Mortalità respiratoria, tumori maligni alle vie respiratorie, malattie polmonari croniche (asma, BPCO e fibrosi cistica), infezioni del tratto respiratorio, malattie cardiovascolari e danni al sistema nervoso centrale. Tutte queste patologie sarebbero in aumento nelle zone più inquinate del pianeta.
Secondo l’ AEA, le morti da smog potrebbero dimezzarsi entro il 2020 se si passasse alla mobilità elettrica e si applicassero nuove misure anti- inquinamento. A questi costi umani, si aggiungono anche perdite economiche stimate in 630 miliardi di euro in spese sanitarie.
Carpooling: fa bene alle tasche e all’ambiente
Tra le misure anti-smog più note c’è la lotta al diesel. A Roma, il divieto alla circolazione di tutte le auto diesel è previsto tra il 2024 e il 2025, ma c’è ancora tanto da fare. Al centro del mirino resta Milano, che con il piano Area B, limita l’accesso ai veicoli più vecchi e più inquinanti, consentendone l’ingresso solo negli orari di utilizzo meno intenso e frequente. Secondo una stima resa nota dal Comune di Milano, la misura permetterebbe, tra il 2019 e il 2026, di ridurre le emissioni atmosferiche da traffico di circa 25 tonnellate di PM10 allo scarico e di 900-1.500 tonnellate di ossidi di azoto, raggiungendo il – 14% di emissioni nel 2019; – 24% nel 2020, – 21% nel 2021.
Area B. Fonte: Comune di Milano
Resta, comunque, il problema nell’hinterland milanese, come evidenzia Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria ONLUS: “Il problema inquinamento atmosferico deriva, in gran parte, dai trasporti. Adottare restrizioni simili a quelle portate avanti a Milano in tutta la provincia sarebbe già una soluzione. Il Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell’Aria (PRIA) è insufficiente ad affrontare le concentrazioni di inquinamento fuorilegge della Lombardia e va trasformato, inserendo misure ambiziose e finanziamenti che consentano alle altre città lombarde di replicare il modello Milano“.