Pubblichiamo una lettera aperta che l’autrice ha scritto insieme ai suoi collaboratori. Un esercizio di comunicazione collettiva in un periodo in cui serve comunicare ma serve soprattutto farlo in modo empatico
Un mesetto fa, poco prima del lockdown, mio figlio mi dice: “Mamma, finiremo sui libri di storia”. Quella frase mi ha fatto riflettere.
Io non avevo ancora realizzato tutto quel che stava accadendo. Non so se le persone si rendono davvero conto quando qualcosa sta per finire nei libri di storia. Io penso di no. Siamo trascinati da eventi molto più grandi di noi, spazzati via da un vento forte e a noi non resta altro che tenerci stretti, come nella poesia di Guido Catalano.
La verità è che il mondo sta cambiando in fretta e nessuno sa come finirà.
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Neppure nelle più sfrenate fantasie fantascientifiche si poteva immaginare un Paese in cui la gente non può più uscire di casa, in cui un virus sconosciuto si porta via i nostri affetti senza lasciarci neanche la possibilità di dire addio, un mondo che si ferma e che ci pianta soli nelle nostre case, ad aspettare.
Noi non possiamo far altro che adattarci. Noi come persone e noi come professionisti, qualsiasi mestiere si faccia.
Il mondo si trasforma e con lui le persone che lo abitano: cambiano le priorità, cambiano le cose che ci fanno ridere e quelle che ci fanno piangere.
Il mondo sta cambiando e con lui le notizie
Un anno fa avreste mai immaginato di commuovervi davanti a un fuori onda del Presidente Mattarella che mentre si sistema un ciuffo dice “Eh, Giovanni. Non vado dal barbiere neanche io”?
Il mondo sta cambiando e con lui cambiamo anche noi. Ci siamo sentiti di nuovo uniti, come non accadeva da tanto tempo, salutandoci da un balcone all’altro. Abbiamo cantato, abbiamo applaudito, ci siamo sentiti impauriti, spaventati, commossi, legati a filo doppio, persino infuriati. Abbiamo capito che nell’emergenza non ci sono più tanti “io” ma un solo grande “noi”. Che se cade un pezzo di Paese cadiamo tutti. Che un piccolo gesto di altruismo, in tempi terribili come questi, può fare una differenza enorme. E non perché può cambiare le cose, quelle chissà quanto tempo ci vorrà per cambiarle, ma per darci un briciolo di fiducia. Per sapere che non siamo mai soli.
E quindi adesso, che fare?
Adesso dobbiamo navigare di bolina.
Andare avanti nonostante il vento contrario, navigare dentro il problema in acque sconosciute, “superare contro vento le nostre resistenze inconsce al cambiamento che emergono nei vissuti di ogni persona” — come diceva Pino Ferroni, attraversare questa sofferenza e uscirne nuovi e più forti, in un mondo nuovo che va migliorato e non ricostruito com’era prima. Sapendo che le persone non sono più le stesse di qualche mese fa, che le parole hanno un altro peso specifico e che le nostre azioni possono influenzare il destino di un intero Paese. Il nostro Paese.
Basta leggere i giornali per accorgersene
Notizie che fino a qualche mese fa erano in prima pagina, adesso non trovano spazio neanche nei trafiletti più brevi. Tutti, ogni persona, ogni azienda, ogni realtà comunicano sulla stessa onda di notizia e cambiano le logiche della notiziabilità. I necrologi si allungano. Le storie sono più intime e spesso raccontano di dolori, abbandoni e — soltanto a volte — offrono un barlume di speranza.
Io non so come finirà questa storia. Nessuno di noi in Mirandola Comunicazione e in iPressLIVE sa come finirà.
Non ci sono ricette preconfezionate, perché la realtà che stiamo vivendo oggi non l’abbiamo mai vissuta prima. Possiamo capire soltanto un pezzetto alla volta e l’unico modo per stare al passo con questo mondo impazzito è imparare ad ascoltare.
Non è facile.
È come stare nel bel mezzo di un terremoto e star fermi a registrare le scosse con un sismografo invece che scappare e provare a salvarsi la vita.
Non è facile ma è ciò che dobbiamo fare adesso.
Dall’inizio dell’emergenza, anche noi comunicatori abbiamo lavorato senza sosta, a fianco dei nostri clienti. Abbiamo usato strumenti digitali per sentirci più vicini. Ci siamo confrontati, rinfrancati, scontrati, capiti.
Perché il mondo sta cambiando e con lui anche il modo di comunicare.
Urlare adesso non serve
(che poi è mai servito?), serve soltanto ascoltare, prendere consapevolezza di quel che ci succede attorno e provare a dare il nostro piccolo contributo, per quel che possiamo.
Insomma, mai come oggi è fondamentale una comunicazione empatica, costruttiva e non violenta.
C’è un libro che mi sta accompagnando in questi giorni così intensi: Le parole sono finestre (oppure muri) di Marshall B. Rosenberg. Il sottotitolo è: introduzione alla comunicazione non violenta. In un passaggio del libro si legge: “la CNV si basa su abilità di linguaggio e di comunicazione che rafforzano la nostra capacità di rimanere umani, anche in condizioni difficili”.
Sì, ma cosa vuol dire rimanere umani?
Io credo che significhi provare a mettersi nei panni degli altri anche quando non vogliamo, cercare di capire gli errori e le situazioni, sentirsi alla pari e non in competizione. Io credo che significhi essere meno egoisti, meno supponenti e ammettere senza timore il coraggio della nostra fragilità e, una volta per tutte, rinunciare alla centralità dell’uomo nell’universo. Non siamo il centro, lo vogliamo capire?
È così che è nata anche questa lettera, da un atto di empatia reciproca e collettiva per entrare insieme in questa esperienza e insieme attraversare questa grave difficoltà, provando a imparare dal confronto e dalla collaborazione. Ai nostri clienti, a tutti loro, vogliamo dire che ci siamo, che camminiamo accanto a voi e che portiamo al mondo le vostre notizie, come abbiamo sempre fatto. Anche se il mondo, nel frattempo, è cambiato.
Certo, anche noi siamo cambiati. Abbiamo sempre lavorato in smart working. Ora, al contrario, lavoriamo reclusi. Nulla è smart se manca della libertà. Non è smart passare 7–10 ore al giorno nelle piattaforme digitali. Non era questa la libertà che il digitale ci aveva promesso.
Gli spazi si sono ristretti.
Vediamo anni di sacrifici sgretolarsi sotto un nemico minuscolo e invisibile.
I nostri colleghi giornalisti lavorano a ritmi frenetici per redazioni quasi deserte. Alcuni sono a rischio cassa integrazione. Altri vedono il buio nel loro futuro. Quanti freelance, comunicatori o giornalisti, rischiano di non avere più un lavoro? Quanti budget sono andati in fumo? L’immobilità a cui siamo forzati ci spaventa e mette a dura prova la nostra pazienza.
Ma è proprio questo che ci unisce, perché sta succedendo a tutti.
Nessuno escluso.
Questa paura che ci attanaglia la possiamo sconfiggere soltanto cambiando i modelli che abbiamo seguito finora.
La collaborazione deve prendere il posto della competizione, l’aggressione deve diventare compassione, la fiducia deve sostituire la paura, l’accettazione del diverso annullare il giudizio continuo.
Insomma, se non facciamo un profondo esercizio sulle nostre parole (su quelle che scegliamo di utilizzare e su quelle che preferiamo non dire) ci ritroveremo alla fine di questo periodo senza energia, spossati ma soprattutto senza più voce.
Mai come in questo momento è importante capire quando parlare e quando semplicemente restare in ascolto, spalleggiandoci a vicenda.
Per sentirci almeno un po’ più vicini, abbiamo pensato di offrire ai nostri clienti la possibilità di scrivere, da soli o con il nostro aiuto, i loro pensieri e le loro necessità, aiutandoli a rivedere le cartelle stampa, i profili aziendali ma anche quelli personali, e ospitando i contributi dei nostri clienti su iPress (nella pagina dedicata) o sul nostro canale Medium “Punti di Vista” che alimenta l’home page del sito di Mirandola Comunicazione.
Non tanto per un’eco mediatica, quanto per lasciare una traccia di quel che stiamo vivendo e per imparare a leggerci nelle parole degli altri.
Abbiamo anche deciso di ampliare il raggio d’azione del nostro
Binario 9 3/4 | destinazione comunicazione e cercare di aiutarvi a distinguere il vero dal falso, il buono dal marcio. Il nostro modo è leggere per voi e aiutarvi a selezionare, a trovare le fonti meritevoli d’attenzione, come ad esempio Valigia Blu, che su quella che sembra essere l’unica notizia di questi giorni, ha creato questa sezione che vi invitiamo a seguire. Vi aiutiamo a selezionare, pulire, anche ridurre, se serve, le vostre fonti.
Perché mai come oggi è utile non essere inondati di parole, ma essere informati con grande cura.
E siccome è proprio il racconto corale a sembrarci un modo appropriato per narrare tutta questa storia, qui troverete anche qualche parola su come stiamo lavorando e su quel che stiamo imparando in questi giorni senza la pretesa di sapere qual è la verità, ma senza mai arrenderci e continuando a cercarla insieme, parola dopo parola.
Ci pare l’unico modo per rimanere umani. L’unico modo per tenerci stretti davvero.