La pandemia ha reso il problema della solitudine, già endemico nell’arcipelago nipponico, una emergenza sociale. E c’è chi prova a rimediare come può, programmandosi la fidanzata
Più che una pubblicità, pare la versione nipponica di Her, lo struggente film di Spike Jonze, con un ottimo Joaquin Phoenix e una superlativa Scarlett Johansson, che però appariva solo come la “voce” della sensualissima ‘alexa’ che iniziava a intrattenere il grigio protagonista come se fosse una amanate. Invece è uno spot, anche se di allegria ne comunica ben poca. E vuole vendere un proiettore di ologrammi 3D che nel Sol Levante pare vada per la maggiore, perché è programmato per fare da fidanzata virtuale a un numero sempre crescente di giapponesi.
Così i giapponesi si fidanzano con gli ologrammi 3D
Il modello più noto è Hikari Azuma, già in commercio da diversi anni. Una volta acceso, è ampiamente programmabile e personalizzabile. Pare un curioso misto tra uno zampirone elettrico e una stufetta, ma in realtà è un concentrato di tecnologia animata da una vivida intelligenza artificiale.
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Gli sviluppatori hanno lavorato soprattutto sul riconoscimento facciale, non solo per evitare che questo tostapane ultra tecnologico dica sconcezze a un estraneo che entra in casa scambiandolo per il suo partner umano (ipotesi comunque remota, visto che chi lo compra solitamente conduce una vita incredibilmente solitaria) ma anche e soprattutto perché possa riconoscere le espressioni dell’utente.
Perciò, se chi si interfaccia con questi ologrammi 3D è triste, la fidanzata virtuale si preoccuperà e farà domande su cosa non va. Se l’utente è semplicemente stanco, il robottino cambierà l’umore di conseguenza (una vera dote per i giapponesi, che si vantano di essere molto empatici) ed eviterà domande sciocche ed entusiasmi fuori luogo, che riserverà invece quando vedrà sorridere il volto del suo compagno in carne e ossa.
Il fenomeno degli hikikomori e della morte solitaria
Il problema della solitudine in Giappone è sempre più pressante, fino a sfociare nel fenomeno, ormai noto anche in Occidente, degli hikikomori (i giovani che si chiudono in casa) che nei casi più gravi si traduce persino nella kodukoshi, la morte solitaria. Non è dato sapere quanto la solitudine influisca sul decesso, ma dai numeri sembra avere molto peso.
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Infatti, delle 30 mila morti annue che vengono ufficiosamente rubricate come kodokushi (le stime governative viaggiano a ribasso, ma solo per nascondere l’entità del problema e infatti non esiste un registro ufficiale), l’80% colpisce giapponesi di sesso maschile senza famiglia. Il 25% dei soggetti deceduti e dimenticati ha tra i 40 e i 50 anni. Giapponesi nel pieno delle forze che muoiono senza essersi mai sposati.
Vengono ritrovati dopo mesi di distanza, ormai mummificati, solo perché i vicini si lamentano dei miasmi che provengono dall’appartamento o il padrone di casa ha deciso di procedere con lo sfratto per morosità. E ormai esistono ditte di pulizia private specializzate nella rimozione del cadavere e nella sanificazione degli ambienti, con relativo sgombero di tutti gli effetti personali, che solitamente non vengono reclamati da nessuno.
Così il Covid-19 ha peggiorato la situazione
Del problema della solitudine in Giappone parla proprio oggi uno dei massimi esperti italiani di cultura nipponica, il corrispondente di SkyTg24 Pio d’Emilia, che sulle colonne d’Avvenire spiega: “La solitudine, kodoku, in giapponese” è un “termine che, fino a qualche tempo fa, non aveva sempre e solo l’attuale accezione negativa, visto che in Giappone esiste una lunga tradizione che esalta la dignità personale, la riservatezza, la capacità di risolvere i propri problemi senza pesare non solo sulla società, ma nemmeno sulla propria famiglia, amici e conoscenti. l fenomeno aveva tuttavia raggiunto in Giappone – ma anche in altri Paesi – livelli socialmente allarmanti”.
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Un problema che per il reporter si è notevolmente acuito per via della pandemia. Questo nonostante il Giappone non si sia di fatto mai chiuso in un lock down vero e proprio. Ma, del resto, anche in Occidente abbiamo potuto provare in prima persona quanto sia sempre più difficile socializzare e abbiamo già i primi dati sui conseguenti boom delle app di Dating. In Giappone, però, la ritrosia dei figli del Sol Levante è tale che alle chat con sconosciuti in carne e ossa si preferisce allora la compagnia di un bot. E infatti gli ologrammi 3D sono programmati per inviare messaggini WhatsApp ai loro compagni giapponesi durante la giornata e rispondere a tono alle conversazioni.
Sotto accusa, ancora una volta, il modello di società perseguito dal Giappone, che schiaccia l’individuo e lo trasforma in una perfetta ape operaia il cui unico scopo, pare, è lavorare assiduamente per il benessere di tutta la collettività. Una collettività che in effetti, poggiando su ritmi di lavoro spaventosi e su dipendenti che sposano appieno lo spirito di sistema, è tra le più ricche e benestanti al mondo. Ma non è certo tra le più felici. Adesso che saremo tutti chiamati a ricostruire le nostre società distrutte dal Covid-19 chissà che non si possa sfruttare l’occasione per ripensare alla struttura che ci siamo dati nel Dopoguerra e nella quale siamo rimasti imprigionati.