Perché il più forte giocatore della NBA ha deciso di ripartire da una squadra in ricostruzione? Il motivo non è esclusivamente sportivo, e ci parla di un uomo assetato di successo dentro e fuori dal campo
Eccezionalismo, ossia la radicata convinzione di essere investiti di un ruolo che valichi i confini del normale. Se si volesse descrivere LeBron James in una parola (compito più che arduo per dipingere una personalità del genere) si potrebbe ricorrere a questo termine. The King LeBron, al pari di altri istrioni dello Sport Business come Zlatan Ibrahimovic, è cresciuto con la consapevolezza di essere the Chosen One, e come Ibra ha saputo costruire sulla propria immagine una fortuna sconfinata, sfruttando sapientemente l’ascesa dei nuovi media.
Per carpire qualche sfumatura in più del LeBron “empire-builder” bisogna tornare al 2014, quando GQ lo intervistò poco prima del suo ritorno ai Cleveland Cavaliers.
“This thing is about more than just basketball”.
Un esordio immediatamente profetico e denso di significato: this thing coincide evidentemente con la propria carriera, anche se in senso lato potrebbe trattarsi del Gioco in sé. James sembra essere pienamente consapevole della direzione da intraprendere per la propria crescita, non esclusivamente collegata a questioni di campo.
Concetto, questo, sciolinato progressivamente con l’incedere delle domande, sino ad arrivare alla fatidica “what would you like to do” / “Ed ora”?
La risposta in arrivo sarebbe stata bollata come ironica e disorientante qualora il soggetto in causa fosse stato qualsiasi altro personaggio, ma James non intendeva affatto alleggerire i toni: “mi piacerebbe cantare e recitare. Mi piacerebbe giocare in NFL e, soprattutto, vorrei diventare miliardario”.
Eccezion fatta per la parentesi nel mondo del football – la cui eventualità non può essere esclusa da nessuno, si ricordi il cameo di Jordan in MLS – gli altri obiettivi del LeBron di 4 anni fa possono dirsi raggiunti: i fan sono in visibilio per l’imminente uscita di Space Jam 2, che vedrà King James far coppia con Bugs Bunny 12 anni dopo MJ, ed il recentissimo trasferimento ai Los Angeles Lakers sancisce de facto l’ingresso del campione nel club dei Billionaries.
La scelta del 23 potrebbe a primo acchito risultare azzardata: l’offerta accettata (154 milioni di dollari per quattro anni di contratto) è nettamente minore rispetto alla proposta di rinnovo contrattuale messa sul tavolo da Cleveland. La decisione di LeBron potrebbe allora trovare due spiegazioni:
- È Los Angeles
- Sono i Lakers.
Come recentemente twittato da Ibrahimovic, se L.A. adesso “ha un Re ed un Dio” lo si deve principalmente alla possibilità di creare nuove opportunità di business, rendendo la città californiana la nuova capitale dello Sport Entertainment: lo stesso James è proprietario di una casa di produzione, la SpringHill Entertainment, con sede ad Hollywood.
Quanto ai LA Lakers, qui è dove il concetto di eccezionalismo ripiomba prepotentemente: difficilmente James si sarebbe lasciato sfuggire l’opportunità di vincere indossando la stessa maglia di Wilt Chamberlain, Kareem Abdul-Jabbar, Shaquille O’Neal, Kobe Bryant e Magic Johnson (quest’ultimo ora presidente del team, da sempre considerato da LeBron un modello di successo in campo e in affari).
A 33 anni suonati, LeBron è indiscutibilmente il miglior cestista dell’NBA, occupa la decima posizione tra gli uomini più popolari del pianeta (Forbes) ed è stato inserito nella Top 40 degli imprenditori americani under 40; ancora una volta, una decisione compiuta da un personaggio di tale spessore sposta notevolmente gli equilibri circostanti, ulteriore dimostrazione di un mondo dello sport sempre più celebrity-driven.
Ecco perché il neo-atleta Nike, co-proprietario del Liverpool FC, fondatore di una catena di fast-food, principale ambasciatore di Cleveland ed imprenditore nel settore immobiliare si è nuovamente tuffato nel vuoto:
Per scoprire cosa c’è di nuovo.