Alcuni spunti di riflessione da parte di esperti di innovazione sociale. Se fare innovazione sociale significa dare risposte alle persone ed ai loro bisogni, non possono che essere le persone stesse il valore aggiunto del processo innovativo
Di Riccardo Maiolini, John Cabot University e Paolo Venturi, AICCON – Università di Bologna
Attori diversi, con capacità e competenze diverse e complementari, che diventano protagonisti di una rete per una causa comune: trovare soluzioni nuove a bisogni sociali grazie ad un cambiamento trasformativo e condiviso che ha come “driver” la diversità. Questa, oltre ad una definizione d’innovazione sociale, potrebbe essere anche il racconto di ciò che sta accadendo in questi giorni, la descrizione delle soluzioni che stanno emergendo dal basso per rispondere allo shock prodotto dalla pandemia.
Provare no. Fare o non fare
Non possiamo in nessuno modo tirarci indietro, ma dobbiamo ragionare a mente lucida, protagonisti dell“oggi” per imparare ad essere migliori domani. È oggi che gli scenari si definiscono: i bisogni e le risposte che conosciamo, alla luce del distanziamento sociale a cui siamo sottoposti, fanno spazio a nuove esigenze e nuove soluzioni e ci impongono di ripensare gli schemi che ben conosciamo. È questo il momento per tutti gli attori – vecchi e nuovi – di trovare il proprio ruolo, prendere parte al cambiamento e fare innovazione sociale.
L’essere umano: il valore aggiunto all’innovazione
Se fare innovazione sociale significa dare risposte alle persone ed ai loro bisogni, non possono che essere le persone stesse il valore aggiunto del processo innovativo. A tal fine un fattore innovativo, deve aggiungere, non togliere, a ciò che di umano c’è in ogni organizzazione. Dentro questa visione le tecnologie devono essere viste come un quid pluris, una spinta per incrementare le capacità e le potenzialità delle persone. Come nel caso della Cooperativa Koinè che ha innovato il proprio servizio realizzando insieme audiolibri per gli anziani nelle Rsa (creando il canale “Nonna Radio”) e replicando lo stesso tipo di servizio per i bambini rimasti a casa (leggendo libri, inventando favole, suonando strumenti musicali, suggeriendo giochi per genitori e figli). Oppure Easy scuola che è risuscita a rendere disponibile, in pochi semplici passi e grazie ad un team di esperti, un sistema di apprendimento a distanza per l’educazione e l’istruzione.
Ci sarà un tempo per ridisegnare i business in chiave digitale
Uno degli errori più comuni che si riscontrano nell’affrontare processi di innovazione e digitalizzazione è quello di sfruttare le tecnologie a disposizione senza modificare la logica alla base del prodotto o servizio. Tutto ciò infatti, può risultare controproducente poiché senza una riprogettazione dei servizi, la fruizione sarà inadeguata, producendo uno scarso utilizzo da parte dei destinatari. Nell’emergenza che stiamo vivendo (soprattutto a causa della scarsità del tempo), non è di certo possibile pensare una ri-progettazione radicale e neppure ad un approfondito re-design delle proprie strategie di (social) business. Per questo motivo, il nostro suggerimento è quello di tracciare tutto ciò che sta accadendo di significativo e, successivamente, rileggere questo breakthrough ridisegnando in maniera più consapevole e ponderata il proprio “core business”.
Su questo date un’occhiata a F2Innovation e la sua guida allo Smartworking e alla Trasformazione Digitale
Sempre più “utenti” e meno “utonti”
Se da un lato molte organizzazioni vivono un momento di choc, dall’altro i clienti e gli utenti in genere non sono certo immuni da questo impatto. Volenti o nolenti tutti siamo obbligati, per non restare fermi e soli, ad utilizzare, velocemente, e al meglio delle nostre possibilità, gli strumenti messi a nostra disposizione; questo vuol dire che quando avremo di nuovo facoltà di scelta, non potremo che “apprezzare” tutte le facilitazioni create dalle nuove soluzioni, che stanno già entrando a far parte del quotidiano 20.0 (post COVID-19).
Su questo particolarmente interessante è PJ Masks, L’Accademia dell’Eroe, che ha reso scaricabili gratuitamente alcuni dei suoi giochi disegnati per avvicinare i più piccoli al mondo della programmazione attraverso un percorso di learn-by-gaming.
Dimensione globale vs Dimensione Locale
Questo momento di nuova complessità ci offre la possibilità di coniugare sotto una chiave interpretativa mai elaborata, luoghi che prima non consideravamo abbastanza grandi o distanti tra loro da necessitare una trasformazione in chiave digitale. Mai avremmo pensato di dover gestire tutte le relazioni all’interno di una stessa città, di un quartiere, o addirittura di un condominio, con quelle tecnologie e quegli strumenti che sono nati – e vengono utilizzati – per connetterci con un mondo geograficamente lontano da noi. È l’occasione per ridisegnare il rapporto tra utenza e distanza, sotto una lente che, riducendo i chilometri, aumenta la gamma di necessità a cui si può dare risposta.
DajeShop sta sperimentando un nuovo modo di vivere la dimensione del proprio quartiere, attraverso un modello ibrido di e-commerce e delivery locale. Molto bella.
Generare impatto sociale puntando “alla diversità” come valore additivo
Sotto la lente della risposta alla crisi COVID emerge anche la necessità di ripensare le relazioni tra portatori di interesse, ampliando il raggio di azione e di coinvolgimento, per includere tutti coloro che si collocano ai margini dei nostri contesti di riferimento. Anche luoghi lontani e problemi non percepiti oggi possono coinvolgerci tutti nell’arco di poche settimane: questo stiamo imparando.
Un caso esemplare è il progetto dei “Piccoli comuni del Welcome” (Azione promossa dalla cooperazione sociale e da una rete congiunta di sindaci, tutti a cavallo tra le province di Benevento e Avellino) dove gli anziani ricevono la spesa a domicilio. La consegna è fatta da giovani come Yaya, rifugiato del Gambia accolto nel 2017 dallo sprar locale, che oggi lavora nel market “AlimenTiamo” ed è socio della cooperativa di comunità “Tralci di vite”. Progetti di neo-mutualismo che partendo da welfare, attraversano l’agricoltura sociale, l’artigianato e il turismo sociale.
Sperimentare forme di neo-mutualismo “aumentato”
Stiamo sperimentando nuove forme di solidarietà e di collaborazione. In questa nuova ottica, anche l’economia della condivisione, così come era stata finora elaborata, non può che essere ripensata, girando l’ultima pagina del copione finora scritto, quello della on demand economy. Serve una nuova sceneggiatura, che abbia come protagonisti modelli cooperativi in grado di andare oltre il semplice concetto di collaborazione strumentale. Non c’è scampo dunque, e forse è un bene: l’innovazione sociale va pensata nell’ottica del digitale fin dall’inizio, e non affiancata dopo, o addirittura “aggiunta a valle”. L’emergenza ci sta restituendo una nuova generazione di prototipi dal mindset tecnologico, dal cuore sociale e con un orizzonte pubblico. Un orizzonte nuovo che supera le vecchie contrapposizioni e dicotomie e che ci chiama ad una nuova responsabilità: fare dell’innovazione digitale il più grande driver del benessere della nostra società.