«Siamo in una fase di ripensamento di alcuni aspetti che hanno da sempre caratterizzato le smart city. Se nella prima fase, forse in modo eccessivo, abbiamo immaginato le città come se fossero computer dotati di sensori con tecnologie connesse di coordinamento per gestire tutti gli aspetti della vita cittadina – dal flusso del traffico ai servizi vari per i cittadini – oggi qualcosa sta cambiando. Al centro c’è la persona con tutte le sue sfaccettature». È un cambio di passo importante quello che si registra attorno a quell’idea di smart city vista solo con le lenti della tecnologia. A pesare ora – e giustamente, aggiungiamo noi – è la componente umana con i suoi bisogni, anche latenti. Una città smart che non può sottovalutare un cittadino smart. È quello che evidenzia Jeffrey Schnapp, riferimento mondiale nelle scienze umane applicate al digitale nella mobilità leggera, docente di letteratura comparata e direttore del MetaLAB all’Università di Harvard, hub da lui stesso fondato nel 2011 e integrato nel Berkman Center for Internet and Society.

Nell’intervista che apre questo nostro longform dedicato alle smart city di nuova generazione, Schnapp ha una visione critica. Dalla sua residenza americana tuona contro coloro che valorizzano solo le prestazioni tech delle città del futuro. Una visione che parte da lontano: Schnapp originariamente si è formato come medievalista e le sue pubblicazioni hanno sempre visto la componente storica applicata a media, architettura, design e mobilità.
Jeffrey Schnapp
«Siamo passati da una fase entusiastica e persino ingenua ad una di riflessione critica su come si impostano modelli di eccellenza e su come si ottimizza ogni aspetto del rapporto tra tecnologia e persona. Insomma, nelle città connesse per un periodo assai lungo il cittadino è stato solo immaginato, quasi dimenticato. Ma il suo ruolo è fondamentale nello spazio urbano costruito e deve essere costruito – anzi, persino disegnato – a sua misura. La tecnologia deve essere intesa come mezzo e non come fine», precisa Schnapp, che dopo tre anni di servizio come co-fondatore e CEO di Piaggio Fast Forward, consociata del Gruppo Piaggio e impegnata sui nuovi design della mobilità urbana, ha poi assunto la carica di Chief Visionary Officer. Schnapp da anni si dedica a disegnare la città del futuro: intelligente, partecipata, inclusiva. Tutto passa dal concetto di ruralità connesse e da alleanze pubblico-private con meccanismi relazionali. «Ogni soluzione deve essere espressione dei problemi reali che nascono dal basso», dice Schnapp.
Professore, in quale parte del mondo vede le migliori sperimentazioni?
In Cina si registrano i tentativi più ambiziosi di integrare queste tecnologie nel tessuto urbano: ci sono zone intere in alcune delle metropoli cinesi dove vediamo non solo tanta guida autonoma, ma anche robotica applicata e in spazi condivisi con i cittadini. Insomma, il laboratorio più avanzato nel mondo è proprio la Cina.
In questa partita che ruolo hanno le aziende?
Decisivo, almeno per quella parte che incide nella forza lavoro per ripensare gli spazi e le città. Il concetto di smart city implica una serie di alleanze tra autorità a livello metropolitano, ma anche tra le realtà economiche rappresentate dalle aziende.
Come vede il futuro delle smart city?
La connettività presuppone alleanze e quella necessaria convivenza tra tecnologie e persone.
A proposito, tra tecnologie e persone la bilancia dove pende?
Sempre verso l’uomo perché il fattore umano è decisivo. Non bisogna sottovalutare la centralità dell’individuo. In questa fase embrionale di un processo iniziato un decennio fa bisogna sempre interrogarsi su quale tipo di città vorremmo vivere oggi e soprattutto domani.
Qualche tempo fa sul Sole24Ore aveva dichiarato il fallimento delle smart city metropolitane.
È così. Le smart city metropolitane hanno fallito per il grado di complessità. La densità abitativa è un ostacolo alla digitalizzazione. Le metropoli sono avvantaggiate dalle infrastrutture tecnologiche, ma il valore si misura dal contratto sociale tra cittadini e istituzioni. D’altronde le città storiche sono tutt’altro che stupide: sono state costruite strato per strato, mentre oggi in quelle più grandi si ragiona per isole. Alcune forme di mobilità autonoma le vedremo prima nelle aree rurali che nelle grandi città. Bisogna ripartire da forme di intelligenza collettiva basate sulla fiducia.
Il bicchiere è mezzo pieno?
Sono ottimista per natura, ma nutro anche uno spirito critico quando rifletto sugli impatti della tecnologia. Credo che sia un’errata e costante tentazione quella di attribuire troppo potere alle tecnologie e di riflettere troppo poco sui fattori umani. Non saranno le tecnologie che risponderanno alla domanda su che tipo di città sogniamo o che quartieri vogliamo abitare. Dobbiamo essere noi a interpretare le possibilità delle tecnologie con spirito critico e creativo e di impostare la riflessione nel modo giusto. Se questi strumenti vengono adottati con coscienza e visione, sono strumenti potentissimi.
Smart city, cosa cambierà in futuro?
Le smart city rappresentano l’evoluzione naturale delle nostre città, pensate per migliorare la qualità della vita dei cittadini attraverso tecnologie IoT (Internet of Things), servizi di mobilità integrata e politiche attente all’ambiente. Per l’Unione europea: «Una smart city è un luogo in cui le reti e i servizi tradizionali sono resi più efficienti con l’uso di soluzioni digitali a beneficio dei suoi abitanti e delle imprese. Una città intelligente va oltre l’uso delle tecnologie digitali per un migliore utilizzo delle risorse e minori emissioni. Questo significa reti di trasporto urbano più intelligenti, impianti di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti migliorati e modi più efficienti per illuminare e riscaldare gli edifici. Ma anche un’amministrazione cittadina più interattiva e reattiva, spazi pubblici più sicuri e un migliore soddisfacimento delle esigenze di una popolazione che invecchia».

Dall’implementazione di sensori che monitorano in tempo reale il traffico e la qualità dell’aria, alle piattaforme digitali per la condivisione dei mezzi di trasporto, l’obiettivo è creare ecosistemi urbani più sostenibili e inclusivi. Le soluzioni innovative spaziano dai parcheggi intelligenti, in grado di ridurre la congestione del centro città, fino ai sistemi di bike e scooter sharing che incoraggiano modelli di mobilità più green. Il monitoraggio costante dell’inquinamento, integrato da analytics e algoritmi predittivi, permette di pianificare interventi mirati e informare i cittadini in modo trasparente.
I numeri delle smart city
Secondo City Vision Score, dominano la classifica dei 7.890 comuni italiani più smart le realtà del Nord Italia, in testa Milano . A seguire: Credera Rubbiano (Lombardia), Cordovado (Friuli), Imola (Emilia- Romagna), Casaletto Vaprio (Lombardia). Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, Smart Mobility, Smart People sono i trend che guidano le città del futuro. anche se il divario cronico tra Nord e Sud è ancora ben evidente nel nostro Paese.

Tuttavia, il concetto di “smart city” abbandona il vecchio legame con le metropoli, dimostrando che è possibile essere una realtà smart anche in periferia pure se a dimensioni inferiori. Il report sottolinea un “effetto trascinamento” che i comuni più grandi esercitano sul territorio circostante. La loro capacità di attrarre investimenti, competenze e innovazione crea una sorta di rete che impatta anche i Comuni più piccoli situati nel raggio di circa 50 chilometri.
Il City Vision Score mette in luce anche le peculiarità dei territori di minori dimensioni, che si trovano in buone posizioni nella classifica soprattutto grazie alla qualità della vita e alla sostenibilità ambientale: aree in cui riescono a eccellere con soluzioni locali e specifiche che migliorano il benessere dei cittadini. In particolare, Il ranking dei migliori Comuni fino a 2.000 abitanti nelle diverse Regioni italiane offre uno spaccato interessante dell’esperienza dei borghi che riescono a eccellere per sostenibilità, innovazione e qualità della vita, dimostrando che anche le unità territoriali di dimensioni più contenute possono essere smart. Nel Nord Italia, la Lombardia si distingue con i comuni di Credera Rubbiano e Casaletto Vaprio (Cremona), mentre il Veneto vede la presenza di Arquà Petrarca (Padova), confermando che le aree rurali e montane possono rappresentare veri e propri modelli di sviluppo sostenibile. Al Centro, la classifica è dominata dalle Marche, con Comuni come Piobbico e Morro d’Alba, che dimostrano come la rigenerazione dei borghi e il rispetto del territorio possano creare eccellenze. Al Sud e nelle isole, l’Abruzzo emerge in modo preponderante, con 4 borghi tra i primi cinque, come Fara San Martino e Poggio Picenze, a testimonianza di una forte capacità del territorio di promuovere uno sviluppo diffuso anche in aree con popolazione ridotta. Anche la Sardegna, con Masullas (Oristano), mette in luce la capacità delle piccole realtà insulari di innovare e puntare su strategie di trasformazione smart.
La classifica sulle smart cities dedicata ai Comuni più grandi con oltre 100mila abitanti viene suddivisa tra Nord, Centro e Sud. A Nord, dopo Milano, ci sono Parma, Vicenza, Bologna e Padova, confermando il ruolo di primo piano dell’Emilia-Romagna e del Veneto tra le città più smart d’Italia. Al Centro, Firenze è in testa, seguita da Prato e Perugia. La Toscana si conferma la Regione più rappresentata nella top 5, con tre città tra le migliori, mentre Roma si colloca soltanto in quarta posizione. Chiude la classifica delle prime 5, Livorno, consolidando la presenza della Toscana nel ranking. Nel Sud e nelle Isole, il primo posto spetta a Cagliari, che rappresenta la Sardegna con due Comuni tra i migliori cinque, insieme a Sassari. Pescara (Abruzzo) e Bari (Puglia) si distinguono per il loro impegno nella trasformazione smart, mentre Salerno (Campania) completa la top 5. Oggi le grandi città meridionali stanno adottando strategie efficaci per migliorare la qualità della vita e l’innovazione nei servizi.

Il Nord-Est si conferma come la macro area più smart d’Italia, grazie alla presenza di capoluoghi particolarmente avanzati in termini di smart economy, governance e mobilità. Questa Regione è il fulcro di un processo di innovazione che coinvolge sia infrastrutture moderne sia strategie di sviluppo orientate alla sostenibilità e alla qualità della vita. La top 10 dei capoluoghi è dominata da tre sole Regioni: Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, a dimostrazione di come siano leader indiscusse del panorama smart italiano. In particolare, Milano, Bologna e Padova si distinguono per l’eccellenza nelle loro politiche di innovazione e sviluppo tecnologico. Nel Nord-Ovest, Torino emerge come il primo capoluogo al di fuori della Lombardia a classificarsi in posizione di rilievo. Nel Centro Italia, Pisa e Firenze sono i capoluoghi di riferimento, posizionandosi ai vertici della graduatoria grazie a una combinazione di innovazione e gestione efficiente del territorio, mentre il Sud continua a scontare un divario significativo rispetto al resto del Paese. Nella top 50 figura solo un capoluogo meridionale, Teramo, confermando il gap cronico tra Nord e Sud in termini di infrastrutture, economia e servizi smart. Questa disparità è ben rappresentata dagli indicatori, che misurano la smartness delle città in diverse dimensioni. Infine, al Nord emerge un chiaro effetto traino esercitato dalla smart economy, dalla smart governance e dalla smart mobility : elementi che sottolineano l’importanza delle infrastrutture moderne per colmare il divario territoriale. Questo gap infrastrutturale spiega in gran parte la differenza di performance tra le varie aree del Paese, con il Nord che continua a essere un punto di riferimento per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico in Italia.
Per quanto riguarda la smart governance, ovvero la capacità delle amministrazioni locali di adottare strumenti digitali e gestionali avanzati promuovendo una gestione più efficiente e trasparente, il borgo che si è classificato per primo è Taranta Peligna, che si è distinto per una soluzione innovativa con un impatto diretto sulla comunità: l’offerta di internet gratuito per tutti i cittadini e turisti, senza la necessità di registrazione o password.
Nel Nord Ovest, la Lombardia è la Regione con la maggiore rappresentanza, dimostrando una forte presenza di comuni smart in termini di governance digitale. Tra le grandi città, Milano occupa il primo posto, seguita da Genova e Brescia, che confermano la loro posizione di rilievo. Torino e Novara chiudono la top 5, consolidando la presenza del Piemonte. Nel Nord Est, si registra una predominanza di Emilia-Romagna e Veneto in termini di smart governance. Nella top 5, solo tre comuni appartengono al Trentino o al Friuli-Venezia Giulia, dimostrando una maggiore concentrazione di eccellenze digitali e innovative nelle altre due Regioni. I Comuni veneti sono maggiormente presenti tra quelli di piccole dimensioni, fino a 50.000 abitanti, mentre l’Emilia Romagna è più rappresentata nei comuni con una popolazione superiore ai 50.000 abitanti, segnalando una forte diffusione delle buone pratiche di governance digitale nelle città più grandi. Vicenza si distingue come il capoluogo di provincia più smart del Nord Est, seguita da Bologna e Verona, che completano il podio regionale in termini di innovazione nella gestione pubblica e dei servizi digitali.
In quasi tutte le categorie, al centro sono i comuni del Lazio a occupare il primo posto, a eccezione della categoria dei capoluoghi, dove emerge Prato come il Comune più smart. Al secondo posto, ci sono, di nuovo, comuni del Lazio che confermano la regione come leader nel panorama della smart governance. La città metropolitana di Roma è la più rappresentata in generale, anche se nei Comuni con meno di 2.000 abitanti la presenza laziale è maggiormente concentrata nella provincia di Rieti, dimostrando un’ampia diffusione di pratiche di innovazione anche nelle aree rurali della Regione.
Al Sud, tra i Comuni con oltre 100.000 abitanti in termini di smart governance, spicca Giugliano in Campania mentre nelle isole si registra una predominanza schiacciante della Sicilia, che emerge come la Regione più smart in termini di governance digitale.
Gli ostacoli alla smart city
Nonostante si siano fatti notevoli progressi, ci sono, però, ancora ampi margini di miglioramento. Per esempio, continuare a investire in innovazione e in progetti di trasformazione per colmare le lacune esistenti e accelerare il percorso verso una vera e propria trasformazione smart.
Permangono, infatti, ostacoli significativi allo sviluppo di queste tecnologie: la carenza di personale (52%), la mancanza di risorse economiche (48%) e di competenze interne ai comuni (47%).

I comuni che sono riusciti, nonostante tutto, a portare avanti progetti di questo tipo hanno poi colto benefici in linea, o addirittura superiori, alle aspettative (78%). L’86% dei comuni ha anche intenzione di avviare progetti nei prossimi tre anni. Le città smart sono percepite dai loro abitanti come più sostenibili (50% vs 36% di chi abita in città non considerate Smart), inclusive (50% vs 32%), innovative (49% vs 25%) ed efficienti (49% vs 34%).
Layla Pavone
In questo scenario, la collaborazione tra amministrazioni, startup e grandi player tecnologici dà forma a nuovi servizi pubblici e gioca un ruolo chiave. Abbiamo interpellato sul tema Layla Pavone, coordinatrice del Board per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale del Comune di Milano.

Layla, come cambia il concetto di smart city con i nuovi strumenti di AI?
L’Intelligenza artificiale sta ampiamente trasformando il concetto di “smart city”, rendendolo più dinamico, predittivo e orientato al benessere dei cittadini. Non si tratta solo di digitalizzare i servizi, ma di creare un ecosistema urbano intelligente, accessibile e sostenibile. L’AI, nel futuro prossimo, verrà sempre più implementata e utilizzata per ottimizzare la gestione delle infrastrutture: dalla mobilità all’ambiente fino al consumo energetico e per rendere più efficienti i servizi pubblici. Ad esempio, con l’analisi predittiva applicata al Gemello digitale, di cui Milano è già dotata, potremo non solo conoscere molto meglio e con grande precisione e contezza la città in ottica manutentiva, ma anticipare esigenze e problematiche delle infrastrutture stesse. Infine, anche in termini di rapporto diretto con il cittadino stiamo sperimentando l’AI per migliorare la relazione e la gestione delle tempistiche, oltre alla possibilità di rispondere in maniera più attenta alle esigenze delle fasce piu’ fragili della popolazione.
Può raccontare un esempio concreto?
Si, con il Politecnico di Milano, in particolare in collaborazione con la professoressa di Computer Interaction, Maristella Matera, stiamo sperimentando il “web conversazionale” partendo dalle esigenze dei cittadini ipovedenti o non vedenti. Sarà molto più di un chatbot perché interagirà attraverso il sito del Comune di Milano in una logica di conversazione basata sul linguaggio naturale per poter richiedere solo con la voce, servizi, certificati e risposte tailor made. L’obiettivo è costruire una città più inclusiva, capace di rispondere in tempo reale ai bisogni di chi la vive.
Come saranno i cittadini della Milano del futuro immersi nella smart city?
I cittadini del futuro vorremmo che non fossero solo dei soddisfatti fruitori dei servizi digitali, ma che fossero veri e propri “smart citizen” attori dell’innovazione urbana. Già oggi la tecnologia permette loro di interagire con la città in modo più fluido e personalizzato ma lavoriamo anche chiedendo la partecipazione attiva a workshop con obiettivi di co-costruzione dei servizi e con strumenti di democrazia digitale come , la piattaforma online che consente di essere informati e contribuire alle decisioni amministrative in modo semplice e immediato.

Quali progetti avete in essere in chiave innovativa nel Board e come stanno andando avanti?
Come Board per l’Innovazione Tecnologica e la Trasformazione Digitale , stiamo supportando l’amministrazione, gli assessorati e le direzioni competenti, nell’attuazione delle diverse progettualità che renderanno Milano una città sempre più intelligente grazie al digitale ed alla tecnologia. Un esempio è il digital twin della città, sviluppato dalla Direzione ITED del Comune di Milano: una replica virtuale della zona che permette di simulare scenari e prendere decisioni basate su dati reali, migliorando la gestione urbana. Ma ci sono anche i progetti di informazione, formazione e di supporto alle problematiche relative alla cybersecurity: oltre al Threat Intelligence, promosso da Assintel e il Comune di Milano, vogliamo rafforzare la cybersicurezza delle imprese attraverso l’analisi avanzata delle minacce digitali e che grazie alla condivisione di dati e alla collaborazione pubblico-privata, aiuta a prevenire attacchi informatici e a proteggere il tessuto economico locale. In particolare, abbiamo collaborato alla realizzazione del progetto con Milano Smart City Alliance. Si tratta di una piattaforma online che mira a rafforzare la sicurezza digitale della città, sensibilizzando cittadini, imprese e pubblica amministrazione sui rischi informatici e sulle migliori pratiche di protezione dei dati. Tutti questi progetti stanno avanzando e crescendo giorno dopo giorno grazie a una straordinaria sinergia tra pubblico e privato, con il coinvolgimento attivo della cittadinanza.
Il “modello Milano” è replicabile anche in altre città italiane?
Non parlerei di “modello Milano” perché ogni città ha le sue peculiarità. Diciamo che Milano si è affermata nei decenni come laboratorio di innovazione urbana e quello che cerchiamo tutti i giorni di fare è pensare in origine a rendere i nostri progetti sostenibili e adottabili in tutto o in parte anche dalle altre città. Infatti, abbiamo tavoli di lavoro aperti con gli altri comuni italiani con i quali spesso ci confrontiamo sugli sviluppi reciproci, cercando di imparare l’uno dall’altro. Quello su cui insistiamo molto è la collaborazione tra pubblico e privato, che sta permettendo di sviluppare tecnologie e servizi digitali scalabili anche in altri contesti urbani. L’importante è che ogni città adotti soluzioni su misura, anche e soprattutto valorizzando, quando possibile, le proprie risorse locali.
Quanto conta la sinergia tra enti pubblici e privati nella smart city?
Credo che la collaborazione tra pubblico e privato sia il motore della trasformazione digitale. Nessuna città può diventare davvero smart senza il coinvolgimento delle aziende, delle startup, delle associazioni, del terzo settore e, ovviamente, del mondo accademico. Milano è in ascolto ed è aperta alla collaborazione con i player tecnologici per sviluppare infrastrutture e piattaforme digitali, siano esse grandi aziende, medie e piccole imprese, startup, che portano soluzioni all’avanguardia nel contesto urbano. Un esempio concreto è il progetto “Ecosistema Digitale Urbano ” promosso dal Comune, per creare una piattaforma che consenta la raccolta, la gestione e la condivisione sicura dei dati prodotti in città. Questo ecosistema mira a migliorare la pianificazione urbana, l’efficienza dei servizi pubblici e la qualità della vita dei cittadini, promuovendo una gestione trasparente e responsabile delle informazioni. La realizzazione di Milano EDU è frutto di una stretta collaborazione tra il Comune di Milano e vari stakeholder cittadini, tra cui istituzioni, imprese, associazioni, come Milano Smart City Alliance/Fondazione Assolombarda con cui collaboriamo assiduamente, università ed enti di ricerca. Questa sinergia pubblico-privata è volta a sviluppare servizi digitali più personalizzati, efficaci e sostenibili, valorizzando il contributo di ogni partecipante e garantendo un equilibrio tra i dati forniti e quelli utilizzati. Attraverso Ecosistema Digitale Urbano, la città si impegna a promuovere e favorire l’accessibilità, la reciprocità e la responsabilità nella gestione dei dati, creando un ambiente digitale inclusivo che sostenga l’innovazione e la partecipazione attiva di tutti gli attori coinvolti. Per il Board, quindi, una Data Driven City non è solo una città tecnologica che utilizza i dati e il digitale per migliorare le sue performance, bensì una città più umana, sostenibile, inclusiva, trasparente e partecipativa, dove l’innovazione deve sempre partire dai bisogni dei cittadini e i dati devono servire a migliorare concretamente la vita ed il bene delle persone che vivono, lavorano o visitano Milano.
Enrico Giovannini

L’intervista a Enrico Giovannini, ex ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili
Per ragionare sul futuro delle smart city e su cosa serve oggi all’Italia per cambiare abbiamo intervistato Enrico Giovanni, ex ministro nel governo Draghi nel quale si è occupato di infrastrutture e mobilità dolce. Ha fondato l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) e da anni si batte per far sì che la transizione ecologica avvenga nei fatti.
Città e comunità sostenibili, ovvero l’obiettivo 11 dell’Agenda 2030. Come siamo messi in Italia?
Il nostro Paese è su livelli non molto diversi da quelli del 2010-2015. Abbiamo avuto qualche miglioramento, ma non abbastanza da essere soddisfatti. E, come per molti altri obiettivi, siamo nettamente in ritardo sui 17 fissati dall’Agenda. Addirittura, per sei di essi, nel 2023 stiamo messi peggio rispetto al 2010. Il Rapporto ASviS lo descrive in modo molto chiaro.
C’è quindi un problema di ritardo generalizzato. E a livello territoriale?
Le città resilienti e la loro sostenibilità fotografano situazioni molto variegate. Molte città del Nord, ad esempio, continuano ad avere livelli di inquinamento inaccettabili, che provocano morti e malattie, con un danno enorme per la popolazione. Hanno però migliori performance economiche. Le città del Centro, mediamente, performano meglio dal punto di vista ambientale perché di grandi metropoli c’è sostanzialmente Roma, mentre le città del Sud soffrono di problemi come la siccità, quelle siciliane in particolare, ma anche di carenza di lavoro e di forti disuguaglianze. A questo si aggiunge una distanza fortissima tra centri e periferie, e la mobilità sostenibile è ancora un miraggio per molte aree: gli investimenti nelle reti di trasporto pubblico restano insufficienti in tante città.
A fronte di tutto questo, ci sono anche segnali di ottimismo?
Ci sono alcuni passi avanti. Non parlo di dati già visibili nelle statistiche, ma di iniziative che denotano un cambio di prospettiva: ben 9 città italiane – Torino, Milano, Parma, Bologna, Prato, Firenze, Roma – rientrano nel gruppo delle 100 città europee che si sono impegnate a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030. Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici predisposto dal Comune di Roma è un ottimo documento, perché il cambiamento climatico è una realtà e va affrontata il prima possibile. Va anche detto che queste 9 città si concentrano al Centro-Nord e sono quasi tutte governate dal centrosinistra, il che può far pensare a un problema di natura ideologica. Ma non è così: anche Treviso, ad esempio, sta lavorando seriamente in questa direzione. È significativo, poi, che sia nata la Rete dei Comuni Sostenibili.
Quando si parla di smart city spesso si pensa a metropoli iper-tecnologiche. Ma l’Italia conta 8.000 comuni, non rischiamo di aumentare le disuguaglianze?
Il passaggio da un mondo insostenibile a uno sostenibile richiede fondamentalmente tre cose: un salto tecnologico, un cambio culturale e di abitudini, e una governance coerente. Questo vale anche per le città. Senza un salto tecnologico, le città non riescono a muoversi verso uno sviluppo sostenibile. Nel caso della mobilità, non penso solo a fermate “intelligenti” per gli autobus (dove l’utente sa in anticipo quanto tempo deve aspettare), ma di sensori per regolare il traffico, fornire nuovi servizi di trasporto, monitorare i rischi di alluvioni, oppure l’uso dei dati satellitari per individuare criticità e soluzioni.
Può farci qualche esempio più specifico di questo “salto tecnologico” necessario?
Pensiamo alle tecnologie che consentono l’efficientamento energetico di edifici e imprese, o a quelle che consentono di trasformare i rifiuti in materie prime seconde, il che consente di abbassare le tasse per i cittadini. La smart city non è soltanto digitale, ma è soprattutto una città intelligente, capace di utilizzare queste tecnologie in modo diffuso e inclusivo.
Parliamo ora di spopolamento delle aree interne. È un fenomeno inevitabile o si può invertire la rotta?
Anche gli investimenti del PNRR puntano in questa direzione, così come gli sforzi di alcune imprese per favorire il lavoro a distanza. Ma il vero problema è la mancanza di servizi: se vogliamo rendere le aree interne più attrattive, non basta solo il 5G nei borghi. È una questione complessa, come abbiamo evidenziato nei Rapporti ASviS sui territori, sottolineando, ad esempio, l’importanza di proseguire con la Strategia Nazionale per le Aree Interne. Laddove è stata applicata, ha dimostrato che non esiste la famosa “silver bullet” (la pallottola d’argento), cioè una sola soluzione a tutti i problemi: per ripopolare un territorio devi garantire sanità, amministrazione, cultura. Altrimenti le persone continueranno a preferire i grandi centri.
C’è anche un effetto legato alla crisi climatica, giusto?
Sì, la crisi climatica influisce, e in futuro farà aumentare le temperature, specialmente in Italia. Le città sono più esposte al rischio climatico – basti pensare alle cosiddette “isole di calore” in alcuni quartieri. In un contesto del genere, molte persone potrebbero decidere di tornare a vivere in zone con condizioni climatiche più miti, spostandosi verso le aree interne. Il cambiamento climatico non è solo un danno economico o ambientale, ma incide anche sulle scelte abitative, a patto di investire sui servizi di cui abbiamo parlato prima.
Una delle sfide per le città del futuro è l’approvvigionamento energetico. Dal suo punto di vista, il nucleare potrebbe dare una mano?
Se domattina trovassimo la soluzione nella fusione nucleare avremmo risolto gran parte dei problemi del sistema economico mondiale e della salute del pianeta, ma non è ancora a portata di mano. Se parliamo invece di fissione, ben venga la ricerca di nuove soluzioni (quelle di cui si parla oggi nel dibattito pubblico non esistono ancora), ma non possiamo aspettare dieci anni per fare la transizione energetica che possiamo fare oggi grazie alle rinnovabili. Abbiamo tante soluzioni pronte ed economiche già oggi, su cui dobbiamo investire molto e ora, anche perché le tecnologie stanno evolvendo velocemente. Basti guardare ai sistemi di accumulo, che in Cina e in California consentono di stoccare l’energia e usarla quando le fonti rinnovabili non producono. Se ci facciamo distrarre dalla corsa alle rinnovabili per inseguire altro, come l’attuale nucleare, o rinviamo la transizione commettiamo un grande errore.
In concreto, quali opportunità vede per le città italiane sul fronte energetico?
In città diventano praticabili soluzioni che cambiano la vita dei cittadini, come le comunità energetiche: permettono di ridurre l’impatto ambientale e di abbassare la bolletta in modo cooperativo. È un aspetto cruciale, perché le città soffrono di povertà e di emarginazione sociale e, al contempo, hanno bisogno di riqualificarsi attraverso la rigenerazione urbana che durerà almeno i prossimi 30 anni. Insomma, abbiamo la possibilità di riqualificare gli edifici, migliorare l’efficienza energetica, usare le rinnovabili per ridurre l’inquinamento e migliorare le condizioni di vita delle persone, soprattutto di quelle più povere.
Lei è stato Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili. Cosa pensa della recente riforma del Codice della Strada, che ha messo nel mirino il settore dei monopattini?
Nel mio periodo abbiamo sviluppato il Piano Nazionale sulla Sicurezza Stradale, che mancava da anni, individuando azioni necessarie per ridurre gli incidenti tanto nelle aree extraurbane quanto in quelle urbane. È evidente che, con il crescente uso di mobilità dolce, la sicurezza di ciclisti, utenti dei monopattini, pedoni e fasce deboli sia un tema cruciale. Alcuni interventi per mettere ordine a questi fenomeni erano stati avviati anche da noi. Ciò che non serve è la battaglia ideologica tra l’auto e altre forme di mobilità: abbiamo bisogno di modalità condivise e innovative di mobilità sostenibile.
Qual è il risultato di cui va più fiero nel suo periodo da ministro?
Abbiamo messo in campo investimenti senza precedenti: 104 miliardi di euro nei 20 mesi del governo Draghi, come racconto nel mio libro “I ministri tecnici non esistono”. Sono risorse enormi per mobilità e trasporti. Si va dalle reti ferroviarie di Alta Velocità ai nuovi treni regionali Intercity al Sud, dall’introduzione degli autobus ecologici agli investimenti nel trasporto rapido di massa (metropolitane, tram, ecc.). A Roma, ad esempio, hanno iniziato a circolare i primi 110 bus elettrici. Poi c’è il potenziamento dei nodi ferroviari cittadini a Milano, Firenze, Roma, Bologna, che consentirà di aumentare la frequenza dei treni per i pendolari senza dover costruire nuove linee. Quello che mi fa piacere è vedere che quella spinta sta continuando a produrre effetti: recentemente il Ministero dei Trasporti ha pubblicato un bando su questi temi e i Comuni hanno risposto in modo straordinario. Evidentemente, era ed è la direzione giusta, ma bisogna continuare a investire.
Ermete Realacci

Quando si pensa alle città del futuro, spesso salta subito in mente l’immagine di grandi metropoli ipertecnologiche, robot a ogni incrocio e, perché no, veicoli volanti alla Blade Runner. Eppure, chi lavora su questi temi da anni, come Ermete Realacci, ci mette davanti a un’idea di evoluzione urbana decisamente più radicata nella storia e nella cultura dei territori. Per dirla con le sue parole «non c’è un modello unico di città», e se guardiamo all’Italia diventa fondamentale capire come intrecciare i pilastri dell’innovazione con le identità locali.
La riflessione di Realacci – storico ambientalista, presidente onorario di Legambiente, già parlamentare – parte da una considerazione suggestiva che cita Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze tra gli anni Cinquanta e Sessanta: «Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo; hanno un loro volto; hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino; non sono cumuli occasionali di pietra». Dietro questa frase c’è un’intera filosofia, una visione di cosa significhi progettare le città come luoghi dove la tecnica non può prescindere dalla tradizione.
Chiamarla “smart city” non deve farci pensare alla solita etichetta di moda. Per Realacci, è la capacità di connettere la tecnologia con la vita della gente, adattandosi alle situazioni specifiche: «Il trasporto pubblico è meglio di quello privato, l’uso di bici e aree pedonali rende vivibili le città, e il passaggio all’elettrico è praticamente obbligato». Ovunque ci si trovi, da Shanghai a Perugia, quei principi di sostenibilità restano gli stessi. Ma poi c’è il racconto unico di ogni luogo. «Conta molto come nella storia le città si sono costruite e identificate». In fondo, siamo il Paese che si regge sui suoi borghi, dove anche un piccolo centro abitato può custodire la celebre “spada nella roccia” (Realacci ricorda che si trova in un paesino in provincia di Siena).
Oggi l’energia è uno degli assi portanti di qualunque discorso sulle città del futuro. Pannelli fotovoltaici che fanno capolino dai tetti, eolico in zone collinari, geotermia nascosta sotto i parchi. Per alcuni, però, rimane il dubbio: rinnovabili, ma anche nucleare?. È qui che Realacci mette un punto fermo: «La ricerca deve continuare. Possono esserci cose che oggi non prevediamo. Quando però qualcuno dice che all’inizio degli anni ’30 avremo centrali da fusione, dice qualcosa che non sta né in cielo né in terra». Basti pensare al fotovoltaico, come rivela l’esperto: noto da un secolo, «ha trovato vera applicazione solo quando si è scoperto utile per le missioni spaziali, dove non si possono certo installare pompe di benzina».
Quanto al nucleare tradizionale, non sembrano esserci grossi margini di novità: «Le centrali nucleari ultime in Europa sono fatte con tecnologie oggi costosissime». Oggi, i numeri parlano chiaro secondo Realacci: «Nel 2023 nel mondo l’85% dei nuovi impianti per produrre energia elettrica era costituito da fonti rinnovabili, mentre il restante 15% è un mix di carbone, metano e nucleare». Una tendenza che suggerisce da che parte stia andando il futuro?
Quando pensiamo alle città, non possiamo dimenticare poi il mattone. Così come il legno. «Le costruzioni sono uno dei settori più importanti per abbassare le bollette e le emissioni di CO2», ricorda Realacci. Efficienza energetica, materiali di nuova generazione, «le case nuove saranno senza gas e utilizzeranno meglio i sistemi passivi per climatizzare”. Tutto questo, ancora una volta, va declinato nelle varie realtà locali: ciò che funziona su una grande pianura non è detto funzioni in un borgo alpino.
Poi c’è il tema scottante delle grandi città, specie quelle visitate da milioni di turisti. Da Venezia a Firenze, l’overtourism è una questione non da poco per gli amministratori. Realacci esclude soluzioni rigide: «Si può risolvere non con soluzioni di numero chiuso». L’obiettivo dovrebbe essere mantenere le città vive e diversificate: «Bisogna favorire che in città come Venezia vi siano più attività economiche, incluse quelle universitarie e di ricerca».
È inutile puntare tutta la discussione solo sulle metropoli: c’è infatti un tema di valorizzazione dei piccoli comuni secondo Realacci: se in Italia le città rivestono un ruolo cruciale, altrettanto si può dire dei borghi. Il segreto, però, non è di certo far arrivare un’autostrada a ogni paesino, ma portare la banda larga: «Oggi per essere competitivi non ti serve un’autostrada, ma ti serve la banda larga». L’idea è quella di costruire un’economia connessa che non obblighi i cittadini a spostarsi nei grandi poli urbani per lavorare o studiare.
Dopo tutto, le nuove tecnologie lo permettono. Se negli ultimi anni abbiamo imparato qualcosa, è che la digitalizzazione può dare un futuro agli antichi borghi, offrendo servizi smart anche laddove i mezzi tradizionali scarseggiano. E potrebbe sembrare un paradosso, ma è proprio l’innovazione a preservare l’identità culturale di questi luoghi, mettendo un freno allo spopolamento.
Guardando al resto d’Europa, non esiste un solo modello vincente: «Per segmenti, tante città stanno facendo bene», spiega Realacci. C’è chi punta su piste ciclabili e mobilità dolce, chi investe su edifici a emissioni zero, chi mette la sostenibilità sociale al centro. «Quello che bisogna fare è collegare l’innovazione delle nuove tecnologie con l’antica identità che costituisce l’anima delle città. Il senso civico di Milano, la vitalità di Napoli, la stratificazione culturale di Roma, tutto questo va conservato e non si può replicare».
Ciò significa che non basta comprare un paio di autobus elettrici per sentirsi una città green: bisogna plasmare le soluzioni sull’anima di ogni territorio, integrando le novità con la storia. Dal sistema di raccolta differenziata più efficiente alle soluzioni di co-housing nei borghi, il principio di fondo resta lo stesso: le tecnologie devono essere al servizio delle persone e delle loro comunità. La città del futuro non può limitarsi a scimmiottare i modelli stranieri, ma deve emergere dall’identità delle sue strade, delle sue botteghe e delle sue università. In un Paese come l’Italia, ricco di località uniche, la vera sfida è trasformare la smart city in uno strumento per rendere più vivo e sostenibile un patrimonio storico, artistico e umano. Meno fantascienza, più radici ben piantate a terra.
I numeri delle smart city
Nel 2024, il mercato italiano delle Smart City ha raggiunto 1,05 miliardi di euro, con una crescita del +5%, inferiore alla media europea (+9%). Le aree principali di investimento sono l’Illuminazione pubblica (circa 240 milioni di euro, 23% del totale) e la mobilità intelligente (circa 215 milioni di euro, 20% del totale), ma tra le iniziative più diffuse, con investimenti minori, ci sono anche progetti di sicurezza e sorveglianza (adottati dal 27% dei comuni nel biennio 2023-24) e Comunità Energetiche Rinnovabili (sempre 27%). Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, le smart city stanno diventando imprescindibili nelle agende delle amministrazioni locali italiane: il 42% dei comuni ha avviato progetti nel 2024 e il 91% vuole farlo nei prossimi due anni. E si stanno affermando come opportunità concreta per coniugare tecnologia e sostenibilità, utilizzando l’innovazione per perseguire obiettivi ambientali, economici e sociali.
Per quanto riguarda la sostenibilità sociale, metà degli italiani valuta il comune di residenza “insufficiente” sotto il profilo dell’inclusività, dell’accessibilità dei servizi pubblici offerti e del dinamismo economico-sociale. Da un punto di vista della sostenibilità economica, si stanno identificando progetti in grado di trovare un connubio tra sostenibilità e innovazione: più di un comune italiano su tre (37%) ritiene le partnership tra pubblico e privato (PPP) molto utili per realizzare progetti Smart City, ma ad ora sono adottate solo da meno di un comune su 6 (16%).
L’intelligenza artificiale è conosciuta dal 92% dei cittadini, che è favorevole al suo uso in città per la sicurezza pubblica, il monitoraggio delle emergenze e la gestione dei guasti alle infrastrutture. Ma ad oggi solo il 4% dei Comuni adotta l’AI nei progetti smart, mentre il 35% la vuole sfruttare entro 2 anni. La principale barriera ai progetti Smart City è la carenza di personale, per il 71% dei comuni italiani, e quindi anche di competenze interne, soprattutto per gestire l’innovazione e per coinvolgere la cittadinanza.
La Smart Cities sono fondamentali in diversi settori come quello della sostenibilità ambientale: le città sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni globali di CO₂ e giocano un ruolo importante nella lotta al cambiamento climatico. A livello europeo questa esigenza è molto chiara e guida importanti iniziative di transizione ecologica come il Green Deal e la Missione Climate Neutral and Smart Cities, che coinvolge 112 città impegnate a raggiungere la neutralità climatica entro il 2030 abbattendo dell’80% le loro emissioni di gas climalteranti. Tra queste, ci sono ben 9 città italiane (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino) che oggi emettono circa 3,6 tonnellate di CO₂ equivalente (CO₂e) pro capite, oltre il 90% dei quali imputabili ai settori degli edifici e dei trasporti urbani. Le principali iniziative per ridurre le emissioni includono modifiche strutturali agli edifici e l’adozione di fonti energetiche a bassa impronta carbonica. L’innovazione digitale è una leva fondamentale con sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria, sistemi di efficientamento energetico adattivi, immagini satellitari e Digital Twin per individuare il potenziale fotovoltaico degli edifici e la presenza di isole di calore.
Giocano un ruolo chiave anche nella sostenibilità sociale, con metà dei cittadini italiani che valuta il comune di residenza “insufficiente” sotto il profilo dell’inclusività (con una valutazione media di 5,2 su 10), dell’accessibilità dei servizi pubblici offerti (5,2) e del dinamismo economico-sociale (5,2). Le valutazioni scendono ancora di più quando sono chiamati a dare un giudizio sull’innovatività (4,4). La principale criticità dal punto di vista sociale è la mobilità nel comune (85%), inclusa la sicurezza stradale e l’accessibilità a trasporti alternativi all’auto a combustibile fossile, che rimane, anche per questo motivo, il mezzo preferito per gli spostamenti (60%).
Per quanto riguarda la sostenibilità economica, una via per rendere sostenibili da un punto di vista economico le Smart City passa da indentificare un nesso tra progetti e il loro beneficio economico (diminuzione di costi o aumento delle entrate). I benefici non sono sempre evidenti se si guarda alle singole soluzioni, ma possono emergere se si adotta una visione aggregata dei progetti, come spesso accade quando si parla di Project Financing e di Partnership Pubblico-Privato. Le Partnership Pubblico-Privato sono ritenute molto utili per la realizzazione delle progettualità Smart City da più di 1 comune italiano su 3 (37%), ma ad ora sono adottate solo da poco meno di un comune su 6 (16%).
Dall’analisi realizzata in collaborazione con BVA Doxa emerge che la sostenibilità è ormai un valore centrale nella vita quotidiana delle persone e solo il 4% dichiara di non avere contribuito con le proprie scelte al miglioramento della propria città. Si tratta, più che altro, di azioni rivolte alla riduzione dei consumi (56%) e alla corretta raccolta differenziata (56%), mentre altri ambiti, come ad esempio, la mobilità sostenibile rimangono ancora difficili da perseguire (23%).
Trattando il tema del digital divide, nella digitalizzazione si evidenzia molto forte, soprattutto tra le generazioni più anziane e quelle più giovani. Le app più utilizzate per interfacciarsi con i servizi sul territorio sono quelle legate ai pagamenti digitali (74% Millennial vs 65% Boomers) e alla navigazione delle mappe cittadine (73% Gen Z vs 61% Boomers). Le applicazioni in cui la differenza tra generazioni è più forte sono quelle legate alla mobilità smart (es. sharing, trasporto pubblico, parking) e alla vita sociale (es. sport, scuola).
L’Intelligenza Artificiale è conosciuta dal 92% degli italiani, che si dicono favorevoli, in particolare, all’uso dell’AI per applicazioni legate alla sicurezza pubblica (46%), per il monitoraggio delle emergenze e la gestione dei guasti alle infrastrutture (46%) e, nei grandi comuni per la gestione intelligente del traffico (59%). Tuttavia, i cittadini temono un’eccessiva dipendenza tecnologica (41%) e l’esclusione digitale (39%). Un altro aspetto che preoccupa, soprattutto fra i giovani della Gen Z, è anche la perdita di posti di lavoro a causa dell’automazione.
La ricerca ha evidenziato oltre 496 progetti di adozione dell’IA nei contesti urbani a livello mondiale tra il 2018 e il 2024, con applicazioni legate in particolare a con usi legati in particolare ad analisi immagini e video, elaborazione dei dati e supporto alle decisioni. Il Comune di Messina, ad esempio, ha sperimentato un sistema per ottimizzare lo smistamento dei rifiuti, mentre a Bari l’Acquedotto Pugliese ha integrato algoritmi predittivi nella Control Room per una gestione idrica più efficiente e sostenibile. Un progetto su tre prevede l’impiego di IA generativa, utilizzata ad esempio per valorizzare contenuti culturali o migliorare il dialogo con i cittadini, come nel caso di Julia, il chatbot di Roma Capitale.
Secondo il Politecnico di Milano, nonostante il crescente fermento, l’adozione dell’AI nei contesti urbani italiani resta ancora limitata: solo il 4% dei comuni ha avviato progetti in materia, principalmente su ambiti come la cittadinanza digitale e la sicurezza urbana, mentre il 35% dichiara l’intenzione di farlo nei prossimi due anni. L’implementazione attuale dell’IA risulta frammentata e senza un’infrastruttura organizzativa solida: solo due comuni su dieci hanno un team interno dedicato e appena uno su dieci ha avviato iniziative informative per la cittadinanza. Tra le criticità che ostacolano la diffusione dell’IA ci sono le preoccupazioni per la sicurezza dei dati e la tutela della privacy, seguite da limiti di governance, risorse finanziarie insufficienti e carenza di competenze tecniche.