«Arriveranno altri eventi, simili per gravità alla pandemia. Magari sarà un evento climatico. Si guardi cosa succede in Australia ogni estate con gli incendi. Il Sistema Sanitario Nazionale deve essere calibrato a quel che potrebbe essere un disagio. La medicina dovrà sempre di più intervenire sul paziente sano e meno su quello malato». Durante l’emergenza Covid 19 Giuseppe Lippi, attuale presidente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Verona, è stato nominato a capo della task force della Federazione internazionale di Chimica clinica e Medicina di laboratorio.
Ad aprile scorso ha ricevuto il Premio Filippin in qualità di ex allievo degli omonimi Istituti. StartupItalia lo ha intervistato per valutare lo stato attuale del lavoro di medico in Italia, a partire dalle criticità. Con l’Intelligenza artificiale quanto cambieranno le cose?

Come ricorda quegli anni?
L’inizio è stato un incubo. Abbiamo affrontato una patologia di cui conoscevamo pochissimo. Aveva similitudini con la Sars di vent’anni fa e poi con la Mers del 2012. Tutti messi insieme i casi hanno causato meno di 1500 morti. Quando ci è arrivato addosso questo meteorite vero e proprio ha sconvolto l’organizzazione del SNN per il numero di casi. Dal punto di vista scientifico avevamo avuto prodromi ma senza un riscontro tale.
Cosa ha imparato da quel periodo dal punto di vista scientifico?
Abbiamo imparato che il SNN deve essere puntellato. Non messo in condizioni di operare sul filo del rasoio. Arriveranno altri eventi simili. Magari sarà un evento climatico, un colpo di calore. Si guardi cosa succede in Australia ogni estate con gli incendi. Il Sistema Sanitario Nazionale deve essere calibrato. Abbiamo imparato altro: si pensi al vaccino mRNA. Nei prossimi dieci anni è ragionevole supporre che tutti i vaccini avranno questa formulazione. Ci sono studi in fase 1 con vaccini anticancro che non richiedono la chemioterapia. Un’altra cosa importante che abbiamo ottenuto è che le regolamentazione per l’introduzione di nuovi farmaci ha subìto una accelerazione. Prima del Covid per un nuovo farmaco potevano passare 10 anni.

La sfida della medicina odierna riguarda le cure o le diagnosi precoci?
Il futuro della medicina di laboratorio è di intervenire non sul malato ma sul paziente sano. Lo screening ha come presupposto quello di applicarsi a una popolazione non ammalata ma a rischio di sviluppare determinate malattie. Non facciamo allo stato attuale gli screening anche se ne sono partiti alcuni neonatali.
Qual è il Paese che dal suo punto di vista è migliorato di più nel contrasto a future pandemie?
Non ci sono differenze tra Paesi. Nel terzo mondo qualsiasi tipo di patologia rimane una sfida. USA, Europa e la Cina stessa sono attrezzati per far fronte a quello che è prevedibile. Una catastrofe naturale non è solo pandemia, ma anche maremoti, colpi di calore. La nostra popolazione anziana non regge.
A questo proposito nota criticità nel sistema ospedaliero italiano?
L’assistenza territoriale che non c’è. Abbiamo una medicina generale che è in gravissima sofferenza. In molte province il numero dei medici è inferiore al fabbisogno. Manca il filtro che evita che le persone vadano in Pronto Soccoro. Se hai 1800 mutuati non hai una qualità di assistenza tale. E così ha codici bianchi a non finire fino agli episodi di aggressione contro medici e infermieri.

Oggi esiste un piano credibile per reagire di fronte a pandemie future?
L’errore grave fatto è di non avere capito come il Covid 19 si trasmetteva. Molti ricercatori lo avevano capito. L’OMS ha avuto un colpevolissimo ritardo di diversi mesi nel capire questo. Col senno di poi possiamo dire che abbiamo sbagliato. Forse con la mascherina si sarebbe evitato il lockdown.
Il ruolo delle startup nella ricerca quanto è evoluto?
Sono fondamentali. Faccio il preside di facoltà e vivo a stretto rapporto con queste realtà e modalità innovative. La ricerca scientifica negli atenei ha un ruolo importante ma i finanziamenti sono sempre meno. La ricerca subisce sempre i tagli maggiori. Bisogna mischiare pubblico e privato e avere company che intervengano. Se pensiamo di racchiudere la ricerca negli atenei avremo metà dei benefici.
Come cambierà il mestiere del medico con le nuove tecnologie?
C’è una tecnologia che è devastante ed è l’AI. In 3, 4 anni cambierà l’organizzazione del SNN. In UK esistono centri pilota in cui il triage è fatto da un totem AI che sulla base della tipologia della risposta definisce la priorità di accesso. Oggi già viene utilizzata: quando guardiamo le cellule del sangue le guardiamo dopo che un sistema ci ha segnalato anomalie. Il 90% dei vetrini che valutiamo viene valutato dall’AI. Lo stesso in radiologia per identificare prima le anomalie. Ma l’AI non è autonoma oggi nella sanità.

Una delle frontiere su cui si sta lavorando è la longevità in salute: lei cosa ne pensa?
Abbiamo ricevuto un finanziamento di quasi 14 milioni di euro per studiare la fragilità dell’anziano e capire se esiste un modo per far sì che l’anziano vada in health aging. Negli ultimi 50 anni abbiamo aumentato di 20 anni l’età media, ma abbiamo creato una popolazione anziana malata. Quando facevo tirocinio nei reparti clinici c’erano pazienti anziani con 2 patologie, oggi ne hanno 10. Dobbiamo mantenere sana la popolazione anziana.
SNN: è sufficientemente attrattivo?
In questo momento il medico in generale è una professione non sufficientemente remunerata. Esistono categorie che sono vulnerabili come i medici del PS e non sono tutelati. Ma c’è un aspetto positivo che sto notando. Fino a qualche tempo fa il ritorno dei ricercatori dall’estero rappresentava uno dei grossi problemi. Nessuno degli altri Paesi nuota nell’oro da questo punto di vista. Eppure gli europei che hanno lavorato negli USA stanno tornando anche in Italia. Questo perché Trump ha imposto una serie di decisioni che stanno penalizzando la ricerca scientifica. Ora negli Stati Uniti sono in grossa difficoltà a fare fund raising.