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Stefania Esposito, Managing Partner di Blue Ocean Finance, fornisce una serie di consigli per ridurre il margine di errore ed evitare di imbattersi in incidenti di percorso
Come prepararsi al meglio a una exit? Quali approcci adottare e quali, invece, è meglio che evitino le startup? A rispondere è Stefania Esposito, Managing Partner della società di consulenza finanziaria Blue Ocean Finance. Lead advisor di numerose operazioni straordinarie nel panorama delle startup e delle PMI italiane, la dott.ssa Esposito focalizza il suo operato sulle operazioni di M&A ed exit: operazioni in cui i soci iniziali e i soggetti che hanno partecipato ai primi round di investimento cedono in tutto o in parte le loro quote. Abbiamo approfittato del suo ampio background per chiederle una serie di consigli che si sentirebbe di dare alle startup e alle PMI che si preparano a una exit.
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Dottoressa, quale è oggi lo scenario in cui avvengono le exit?
Lo scenario macroeconomico attuale è il più complesso degli ultimi 10 anni: il rialzo dei tassi di interesse a cui abbiamo assistito negli ultimi 18 mesi, oltre al rallentamento globale dell’economia, ha sicuramente reso più difficile per le aziende raggiungere i propri obiettivi di crescita e, di conseguenza, le metriche necessarie per realizzare una buona exit. Questo è vero per le società tradizionali e, in particolar modo, per le startup – intese come società con alta scalabilità, alto potenziale di crescita, innovazione e dall’ambizione internazionale – in quanto è molto frequente che in passato abbiano fatto ricorso ad aumenti di capitale a valutazioni importanti. Con lo scenario macroeconomico mutato, le startup che non sono riuscite a realizzare gli obiettivi di crescita precedentemente stabiliti, si trovano ora a dover raccogliere capitale o vendere con valutazioni di mercato sensibilmente più basse. Sempre di più, infatti, assistiamo a cessioni e aumenti di capitale fatti a valutazioni inferiori di quelle dell’ultimo round di raccolta. In questo scenario le società tradizionali e le PMI strutturate risultano più resilienti in quanto, tendenzialmente, non hanno fatto in passato aumenti di capitale e quindi non hanno valutazioni floor da rispettare.
Cosa può rendere maggiormente resilienti le startup che si affacciano all’exit?
È cruciale che le startup impostino una politica di raccolta corretta, ovvero con valutazioni coerenti – e non sovrastimate – e guidata da una solida Corporate Governance. Inoltre, bisognerebbe essere in grado di non bruciare cassa (in questo momento il mercato premia società EBITDA e cash positive). Mantenere una buona base di liquidità permette alla società di non dover ricorrere per forza alla raccolta o alla vendita, potendo aspettare momenti di mercato più propizi.
Come Blue Ocean Finance aiuta le startup in questa direzione?
È importante innanzitutto fare una specifica sulla definizione di startup. È frequente vedere identificate come startup, società che in realtà sono delle fast-growing companies, per loro natura distanti dall’esempio canonico delle startup della Silicon Valley ma che, ad una magnitudo inferiore di queste ultime, riescono comunque a crescere con rapidità, hanno un buon contenuto tecnologico e sono scalabili. In questo senso, Blue Ocean Finance segue le società fast-growing in tutte le loro declinazioni. Per una corretta preparazione all’exit si parte sempre da una pianificazione strategica e finanziaria attenta. Molti founder vedono la exit come un evento a sé stante, mentre in realtà è un percorso che può durare anche diversi anni. Come Blue Ocean Finance lavoriamo su diversi fronti con l’obiettivo principale di utilizzare tutti gli strumenti finanziari disponibili per consentire il raggiungimento di una crescita aziendale più rapida e, di conseguenza, un aumento della valutazione. Quando parliamo di società a crescita rapida, assistiamo molto spesso all’utilizzo – non sempre corretto – di un’unica fonte di finanziamento, che è l’equity. Noi raccomandiamo però di utilizzare tale risorsa con parsimonia, in quanto molto preziosa; in questo senso, come advisor, aiutiamo l’azienda a coprire il proprio fabbisogno in maniera diversificata e a condizioni complessivamente più vantaggiose. Inoltre, come advisor prestiamo massima attenzione a far emergere correttamente il valore aziendale già nei bilanci societari. Se è pur vero che, in caso di exit, si passa sempre attraverso processi di normalizzazioni, avere già una base di partenza che premi quelle metriche che sappiamo essere alla base delle valutazioni di vendita, aiuta moltissimo le negoziazioni. Tali metriche, ricordiamo, sono solo in parte sovrapponibili alle metriche attenzionate dagli investitori in un aumento di capitale.
Quali consigli si sente di dare alle startup per prepararsi all’exit?
Innanzitutto, è sempre bene che i soci di un’azienda abbiano ben chiara una exit strategy e che la stessa sia condivisa da tutti i soci attuali. Spesso non è così: a volte non c’è stato tempo per lavorarci con attenzione nelle fasi iniziali, a volte ci sono stati importanti pivot nel modello di business. In ogni caso, quando si comincia ad ipotizzare un’operazione di questo tipo, è importante farsi assistere da consulenti competenti che possano lavorare per creare le giuste condizioni per una exit. I punti di attenzione sono diversi, tra i primi sicuramente le metriche di business: nei bilanci delle imprese in crescita può esserci molto valore nascosto. Parte del nostro lavoro di advisor è creare le migliori condizioni per farlo emergere, preparando contemporaneamente l’azienda alla fase di due diligence. Predisporre anticipatamente tutta la documentazione da condividere con un potenziale acquirente è importantissimo. Non solo consente di essere più rapidi nelle fasi negoziali, ma, soprattutto, ci consente di anticipare eventuali criticità e risolverle. Altri due aspetti sicuramente da considerare sono relativi alle proprietà industriale e al team. Avere IP protette e poter dimostrare di avere soci operativi sempre meno centrali nella gestione del business, aiuta sicuramente nella negoziazione di una exit. Un altro consiglio è quello di guardarsi continuamente intorno. I potenziali acquirenti potrebbero essere già nella cerchia dei contatti della società: instaurare rapporti forti, strategici e tenere informati con costanza fornitori, clienti o partner può rivelarsi un grande vantaggio in futuro.
In quali casi, invece, sconsiglia di avviare una exit?
Senza dubbio, quando si deve ancora lavorare sui punti che abbiamo visto precedentemente, se non si hanno le idee chiare sul proprio valore aggiunto in un’operazione di apertura al mercato o di una exit industriale, è probabilmente ancora il caso di attendere. Ovviamente, dobbiamo anche tener presente quali sono le possibilità di crescita del nostro progetto e se, raggiungere le metriche necessarie per valutare una exit soddisfacente, è effettivamente solo questione di tempo. Nel momento in cui abbiamo di fronte un team e un progetto che può, finanziandosi, riuscire a raggiungere degli obiettivi di breve e medio termine, aspettare è la soluzione più intelligente. Al contrario, se il nostro progetto non è decollato, rivedere le nostre aspettative in accordo e, nel caso, passare al prossimo progetto può essere la cosa migliore. Ritengo necessario “normalizzare l’insuccesso” anche nel nostro ecosistema, come già avviene in altri e non avere eccessiva remora a liberare risorse da progetti che non possono raggiungere gli obiettivi sperati. L’insuccesso del progetto può non essere necessariamente il fallimento dello stesso: per una startup può essere anche non avere dimostrato un modello di crescita scalabile ed essersi trasformata, di fatto, in una piccola azienda “tradizionale”.
In chiusura, una curiosità: come è nata Blue Ocean Finance e come si è posizionata sull’M&A del segmento PMI?
Blue Ocean Finance nasce con l’intento di offrire una consulenza pensata dagli imprenditori per gli imprenditori con un focus specifico sulle PMI italiane in rapida crescita. Quando abbiamo iniziato, nel 2018, ci trovavamo in un momento di grande fermento del Tech: nascevano e crescevano tantissime PMI e startup innovative che necessitavano di advisory per sfruttare al meglio questo momento di boom. Queste aziende richiamavano – e richiamano tutt’ora – molta attenzione di acquirenti più grandi, spesso esteri. Così, dal 2020, abbiamo iniziato a seguire queste realtà anche sotto il lato M&A. Oggi siamo felici di seguire non solo aziende ad alta innovazione ma anche società più tradizionali – dal Manifatturiero all’Hospitality – nei loro percorsi di M&A che spesso rappresentano il trampolino di lancio verso un’espansione internazionale.