Dai risultati del rapporto Ipsos Flair, i dipendenti delle Pmi rappresentano tra il 44 e il 63% degli occupati nel nostro Paese, ma tre su dieci dichiarano di non avere a che fare con la transizione digitale a lavoro. «Per il 62% degli italiani il mondo di ieri era un posto migliore»
«È finita l’era delle previsioni fondate su evoluzioni lineari. Dobbiamo abituarci a fare i conti con l’imprevedibilità delle reazioni dei cittadini rispetto agli eventi che stiamo vivendo». Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia, presenta così il volume Flair 2023, realizzato da Ipsos e giunto alla sua 13esima edizione. Una serie di cambiamenti hanno attraversato e stanno tuttora interessando il Belpaese, a partire dalla pandemia e dall’invasione russa dell’Ucraina, con i conseguenti aumento del costo dell’energia e inflazione, fino alla crisi climatica e alle incertezze legate alla diffusione di nuove tecnologie.
A queste componenti, il rapporto Ipsos aggiunge quello che definisce «ripiegamento nostalgico», ossia la ricerca dei cittadini di «ancoraggi identitari solidi», punti fermi a cui fare riferimento in un mondo in rapida evoluzione. Un sentimento dai risvolti spesso negativi, o perlomeno controproducenti: secondo il campione analizzato, è forte la critica alla globalizzazione, con sette italiani su dieci convinti che la «mondializzazione abbia generato svantaggi per i popoli e vantaggi solo per i ricchi».
Leggi anche:
AI e Big Tech | IBM blocca 7.800 assunzioni. Rimpiazzate dall’intelligenza artificiale
Italia e digitale, qualcosa non va
Tra i vari aspetti trattati dal volume Ipsos Flair, la propensione al digitale è un tema centrale per il presente e il futuro del Paese. E la strada da fare, per l’Italia, è ancora lunga. Il nostro Paese è al 28esimo posto nel Global innovation index, che classifica le economie di oltre 130 Paesi in base alle performance in termini di innovazione, seguendo 81 indicatori. Un risultato negativo, se si considera che si tratta quasi della stessa posizione ricoperta nel 2021 (29esima) e lo si paragona a quello delle prime due economie europee, con la Germania decima e la Francia undicesima.
E ancora, l’indice di digitalizzazione dell’Economia e della Società – Desi -, stilato dalla Commissione Europea per monitorare i progressi compiuti dagli Stati membri nella digitalizzazione, colloca il nostro Paese 18esimo su 27.
In Italia, nel 2021, il 26,8% della popolazione fra 30 e 34 anni aveva un titolo di studio terziario, mentre la media Ue è del 41,6%
Le prospettive non sembrano essere delle migliori se si guarda alla formazione – sia accademica, sia in ambiente lavorativo -, un fattore rilevante per lo sviluppo di competenze in ambito digitale. Nel 2021, il 26,8% della popolazione italiana con età compresa fra i 30 e 34 anni aveva completato l’istruzione terziaria, ossia aveva conseguito una laurea, un diploma di alta formazione artistica o concluso un percorso di specializzazione in un Istituto tecnico superiore. Il dato è preoccupante, poiché la percentuale è in calo rispetto al 27,8% del 2020 e la media europea è del 41,6%. Passando all’ambito professionale, il centro studi afferma invece come quasi nove lavoratori su dieci «pensano che le aziende non formino abbastanza».
Limiti delle pmi e non traguardi degli e-leader
In un Paese in cui le pmi rappresentano «tra un 95% e un 99% delle imprese, considerando rispettivamente solo quelle fino a nove addetti o quelle fino a 49 addetti», e «raccolgono tra il 44% e il 63% degli occupati» – a seconda delle due classi citate -, Ipsos ha voluto analizzare la portata innovativa di queste realtà. Il risultato delle ricerche presenta luci e ombre: circa due lavoratori su dieci delle pmi italiane dicono di avere molto a che fare con tecnologie e digitalizzazione nella propria professione, cinque su dieci abbastanza. I restanti tre su dieci «dichiarano di avere poco o per nulla a che fare con la digitalizzazione in ambito lavorativo».
Il centro studi diretto da Pagnoncelli si interroga sulla figura dell’e-leader, che, secondo l’Agenzia per l’Italia digitale – fondata dal governo Monti – dovrebbe supportare la transizione digitale di un’azienda, grazie alle «capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione e di introdurre innovazione digitale nello specifico settore di mercato in cui opera». Allo stesso tempo, questo profilo «deve essere un bravo comunicatore», in grado di sviluppare «più la condivisione che la gerarchia». Resta da capire quanto queste personalità siano presenti nelle imprese e stiano favorendo «un cambio nei modelli organizzativi aziendali».
Secondo Ipsos, per un italiano su due i lavoratori non sono pronti ad aderire a nuovi modelli organizzativi e a un cambio di stile manageriale
In ogni caso, stando ai dati di Ipsos, la carenza di e-leader e i loro scarsi risultati dovrebbero essere associati all’opposizione di alcuni dipendenti. Per un italiano su due, infatti, i lavoratori non sono pronti a rinnovamenti di tipo organizzativo e di stile manageriale, per vari motivi, come la «resistenza al cambiamento, mancanza di hard e soft skill, assenza di atteggiamento evolutivo».
Eppure, lo studio di Ipsos mostra come il digitale renda le imprese più attraenti. «Le aziende che dimostrano di essere tecnologiche e innovative godono di un maggiore livello di fiducia da parte dei consumatori finali». La digitalizzazione giova alle società anche per un altro motivo: le indicazioni condivise dai clienti, attraverso i loro giudizi e condivisioni, sono informazioni preziose. Ma, se «la quasi totalità delle aziende archivia i dati», un terzo dei quali provenienti da piattaforme digitali, «la loro analisi e la capacità di prendere decisioni sulla base di queste analisi coinvolge poco più del 40% delle aziende, sebbene i vantaggi siano chiari a prescindere dalla dimensione dell’impresa».
Cosa resta delle abitudini acquisite in pandemia
Dove invece qualcosa sembra essere cambiato, a seguito dell’esperienza del Covid, è nella quotidianità degli italiani. Certe consuetudini, divenute tali nei periodi di lockdown e coprifuoco, sono rimaste nella vita di molte persone e alcune di esse implicano un utilizzo più diffuso della tecnologia. Ne sono un esempio gli atteggiamenti legati a quello che Ipsos ha definito un processo di «nidificazione», per indicare il rapporto riscoperto dalle persone con la propria casa.
Oltre a dedicare più tempo ad attività come i pasti insieme in famiglia, il pane fatto in casa o l’orto, Ipsos afferma che l’8% delle famiglie hanno conservato l’abitudine di mangiare prodotti da asporto o consegnati a domicilio da negozi e ristoranti locali e fare la spesa online, il 6% si fa ancora consegnare la spesa a casa e il 5% ricicla gli avanzi per i pasti successivi. Anche a causa dell’aumento del costo dell’energia, poi, la casa desiderata dalla metà degli italiani dovrebbe offrire energia pulita, essere efficiente da un punto di vista energetico e in grado di ridurre i consumi. Il 13% evidenzia invece la necessità di avere elettrodomestici intelligenti.
La ricerca e la riflessività sono diventate una parte centrale dell’esperienza di acquisto
Resta di moda anche l’e-commerce, cresciuto in maniera significativa durante la pandemia e capace di cambiare le modalità di acquisto del consumatore, che ora «non è più avvolto entro le coordinate spazio-temporali del consumismo tradizionale, non è più circoscritto a luoghi e momenti specifici. È virtualmente operativo ovunque e in ogni momento». Il 61% degli intervistati sostiene che oggi, quando acquista un prodotto in negozio, cerca prima in rete informazioni su di esso, sul produttore o legge recensioni sui siti di e-commerce. Una prassi simile coinvolge il 59% di coloro che acquistano online.
Insomma, «la ricerca informativa e la riflessività dell’acquisto sono divenute una parte significativa dell’esperienza di acquisto». Un atteggiamento favorito anche dall’inflazione che, riducendo le risorse a disposizione, porta il cliente a rimpiazzare questa mancanza con una migliore esperienza, da cui possa trarre un momento piacevole.
“Il 2020 è stato l’anno del crollo del contante, con una diminuzione delle transazioni e dei prelievi”
Il 2020 è stato anche l’anno del quasi abbandono del contante, con una «diminuzione del numero di transazioni e un crollo del numero di prelievi», spiega Bankitalia. È rimasto stabile l’importo medio della transazione effettuata con contanti, pari a circa 18 euro, a dimostrazione, secondo l’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, che il «suo uso riguarda soprattutto i piccoli importi».
Lo scorso anno, segnala Ipsos, il numero degli italiani legati al contante è sceso ancora, attestandosi al 24% della popolazione. Nei prossimi anni, continua la ricerca, i cittadini si aspettano una «ulteriore accelerazione dell’uso della moneta elettronica, con diversi livelli di favore, ma senza grandi criticità». A incoraggiare questo atteggiamento favorevole sono le diverse novità introdotte, come la formula del buy now pay later, cioè la possibilità di procrastinare e dilazionare un pagamento.
Il periodo del Covid ha contribuito a consolidare anche l’offerta di app di pagamento. Eppure, specifica l’istituto, nonostante «quasi tutti gli italiani ne sono a conoscenza, meno di un terzo ne fa uso. È un settore molto frammentato, ma in cui, di fatto, emergono pochi attori: PayPal, Satispay e PostePay».
Leggi anche:
Prima il round, poi la scintilla. «Vi racconto com’è lavorare in un unicorno». Intervista a Giorgio Berardi (Satispay)
Sostenibilità a ogni costo
Entro il 2020, l’Unione Europea avrebbe dovuto raggiungere l’obiettivo di produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili. La soglia è stata raggiunta e l’Italia è arrivata alla scadenza adempiendo ai suoi doveri: l’apporto complessivo delle rinnovabili ha raggiunto il 20,4% – il target era fissato al 17% per il nostro Paese.
Nello stesso anno, la superficie agricola impiegata per coltivazioni biologiche è stata del 16,4%, in crescita di oltre il 5% rispetto al 2019. Un anno dopo, la raccolta differenziata dei rifiuti urbani ha toccato il 63%, in aumento di 1,7 punti percentuali sul 2020. Dati positivi che, però, devono fare i conti con un crescente consumo di suolo, che lo scorso anno ha toccato i 70 chilometri, vale a dire 19 ettari al giorno o 2,2 metri quadrati al secondo.
Seppure tra molte difficoltà e resistenze, la transizione ecologica sembra essere in atto in Italia, trainata soprattutto dai giovani, in particolare donne, e dai boomer. Si tratta comunque di un tema sempre più urgente per il 74% degli italiani. Tanto che una grande parte degli intervistati – 57% – non è più disposta «ad accettare il ricatto della salvaguardia del lavoro a scapito della sostenibilità» e ritiene sbagliato «far continuare l’attività di un’impresa che inquina, in nome dei posti di lavoro».
Solo il 9% degli italiani conosce gli eco-incentivi e molti pensano di non avere la possibilità di usufruirne
In più, evidenzia Ipsos, il successo della svolta green dipenderà dal raggiungimento di almeno quattro condizioni. In primo luogo, secondo il 65% degli intervistati, il miglioramento della qualità della vita delle persone e la possibilità di intervenire sui cambiamenti climatici, mentre il 40% auspica che la svolta possa generare nuovi posti di lavoro e il 20% che possa creare nuove imprese. Infine, il 19% spera nella crescita di comunità più coese e innovative.
Proprio l’innovazione è la componente essenziale attraverso cui supportare e promuovere pratiche sostenibili. Il passaggio a una mobilità intelligente nelle città passa dalle nuove tecnologie, due delle quali portate come esempio dal volume Flair 2023 di Ipsos: «i sistemi di geolocalizzazione per gestire e ottimizzare i flussi di traffico veicolare e pedonale e le piattaforme e le app di gestione integrata delle soluzioni modali», le cosiddette mobility-as-a-service, in grado di facilitare gli spostamenti.
Leggi anche:
Su TikTok le accuse: van di E-GAP a gasolio. A StartupItalia il Ceo risponde: «Sui social premia di più insultare»
Un altro aspetto importante per spingere la svolta sostenibile sono le comunità energetiche, il cui potenziale è però ancora inespresso, a causa della scarsa conoscenza che gli italiani hanno degli eco-incentivi – il 9% del totale. In questo caso, gli effetti benefici per l’ambiente si aggiungono alle «possibilità di prosumerismo» offerte da queste tecnologie.
In altre parole, l’autoproduzione di energia combina le caratteristiche di produttore e consumatore. Questo «stimola la fantasia degli italiani e potrebbe cambiare davvero lo stile di vita, il bilancio familiare e, in prospettiva, l’attenzione e la diffusione della mobilità elettrica», oggi ancora molto limitata – nel 2022, complice il basso numero delle colonnine di ricarica, circa 41mila in Italia, le vendite di auto elettriche dovrebbero essere il 3,7% e le vetture plug-in il 5,1% del totale.
Così come per gli acquisti in negozio e online, anche la diffusione di pratiche ecosostenibili e vantaggiose a livello economico sembrano passare dalla possibilità di vivere una nuova esperienza, in grado di valorizzare il gesto del singolo nella cornice di un contesto più ampio.