Dall’intelligenza artificiale ormai visibile alla consacrazione dei pieghevoli passando per la realtà aumentata che rimpiazzerà per ora il metaverso: abbiamo tracciato il percorso che l’innovazione intraprenderà quest’anno
Che anno sarà il 2023 sotto l’aspetto tecnologico e dell’innovazione nel suo complesso? Quali saranno i trend con cui ci confronteremo? Alcune tecnologie saranno assolute protagoniste: l’intelligenza artificiale, che già pervade la nostra quotidianità e si farà sempre più capillare. Alcune porzioni di metaverso (ma più probabilmente il decollo della realtà aumentata grazie allo zampino di Apple e con buona pace di Mark Zuckerberg, che pure sta ristrutturando la sua missione in quella direzione) e forse alcuni esperimenti più sensati e diffusi di decentralizzazione del web. Vediamo alcune di queste tendenze che non potranno non passare anche per alcune innovazioni sostanziali nei prodotti di larghissimo consumo come smartphone e smartwatch, che dovranno accogliere nuovi fattori di forma e nuovi sensori per rendere possibili ancora più funzionalità.
Intelligenza artificiale “visibile”
In molti si stanno rendendo conto solo ora, con le enormi potenzialità di ChatGPT – la versione intelligibile e user friendly dei modelli conversazionali costruiti dalla statunitense OpenAI – o di Vall-E di Microsoft che imita una voce umana sulla base di un campione di soli 3 secondi, di cosa significhi davvero intelligenza artificiale. Eppure dalla sicurezza alla gestione dei contenuti sulle piattaforme social, dalla navigazione sulle mappe agli assistenti virtuali passando per i veicoli a guida semi-autonoma, diversi sistemi sono già fra noi da tempo. Il 2023 sarà dunque l’anno in cui li “vedremo” alla prova in modo più palese e pervasivo. Vale a dire quello in cui ci renderemo conto che dall’altra parte di una determinata relazione – una chat online, uno strumento d’investimento finanziario, uno scenario predittivo proposto dai gadget casalinghi connessi, i supporti all’analisi di referti medici – non c’è più un essere umano. O almeno, non c’è solo un essere umano ma anche un sistema in grado di migliorarsi acquisendo nuove informazioni svolgendo i suoi stessi compiti. Ci sarà dunque del machine learning quasi ovunque.
Metaverso a metà
Che Meta stia parzialmente tornando sui suoi passi sembra evidente da alcune mosse programmatiche e di investimento per l’anno appena iniziato. D’altronde di mondi virtuali ne esistono al momento 141 ma gli investitori sembrano aver puntato soprattutto, in questi mesi, su sole tra piattaforme: Sandbox, Decentraland e Roblox. Meta ha i suoi ambienti, come Horizon Worlds, che stentano a decollare e pare che il gruppo di Mark Zuckerberg stia iniziando a pensare a qualcosa di parzialmente diverso. Più che spingere subito verso la realtà virtuale, “vendere” il metaverso come un ausilio alle attività quotidiane. Come? Certo, quella è un’altra cosa: si chiama realtà aumentata (o mista) e anche Apple dovrebbe finalmente presentare in primavera un visore per sovrapporre dati e informazioni ai contesti in cui viviamo ogni giorno. Sul tema i suoi dispositivi possono già molto, da qui a qualche anno – ma a partire dal 2023 – arriveranno un sistema operativo dedicato e appunto un dispositivo.
Decentralizzare il web
L’attesa migrazione di massa su Mastodon, il social decentralizzato e senza pubblicità, non c’è stata. Anche se quella fase di (presunto) ammutinamento dal nuovo Twitter sotto il controllo di Elon Musk è servito a farci capire che un pezzo di rete sta marciando in una direzione ostinatamente contraria a quella dell’accentramento imposto dalle big della tecnologia. La prima generazione del web era quella degli ipertesti inventati da Tim Berners-Lee all’inizio dei Novanta, da navigare col modem a 56k e poco altro da fare. La seconda, fiorita a partire dai primi anni Duemila, è quella attuale: ruota intorno al contributo degli utenti, che producono, caricano, scrivono, creano, filmano e montano, comprano, vendono e si collegano ad alimentare il flusso dei social network (Facebook nasce nel 2004) o di altri progetti in crowdsourcing (Wikipedia era stata lanciata addirittura tre anni prima).
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La sbornia da criptovalute e da “nft” – i famosi certificati digitali in cui si compra la proprietà di un oggetto fisico o virtuale – avrebbe dunque aperto nei mesi scorsi uno scorcio su quella che potrebbe diventare la terza incarnazione del web: il Web3. Un processo attraverso il quale internet si affrancherebbe dal controllo dei cosiddetti behemoth, i colossi della Silicon Valley che la stampa statunitense definisce appunto con l’appellativo del mostro biblico raccontato nel Libro di Giobbe. Non più data farm e server centralizzati ma un’economia digitale diffusa basata sulla partecipazione, come i pionieri di internet sognavano. Al centro, il meccanismo della blockchain: si condividono potenza di calcolo e spazio di memoria sui propri computer e dispositivi così da liberarsi da Google, Facebook, Amazon, Apple o Microsoft. Un esempio pratico? Invece di salvare foto e documenti sul cloud di Alphabet o Cupertino potremmo archiviarli su una piattaforma decentralizzata come Filecoin o SaladCloud in cui la proprietà di quei file, fisicamente allocati su server e hard disk sparsi per il mondo, è certificata dalla blockchain.
L’addio ai social?
Nei mesi scorsi, a cavallo del passaggio di anni, si è molto parlato di “fine dei social media”. Intendendo così, a partire da una serie di servizi usciti sulla stampa statunitense – fra cui quello sull’Atlantic firmato da Ian Bogost – una fase di progressivo abbandono delle piattaforme per come le conosciamo oggi. L’analisi è corretta: da una rete relativamente ristretta di contatti in qualche maniera interessanti siamo passati a farci, tutti quanti, direttori di un personale palinsesto multimediatico. Da social network, insomma (la rete, i collegamenti) a social media (i contenuti e la loro distribuzione). Tutto gratis o costruendoci sopra un (mezzo) lavoro.
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Non è un caso che da tempo le piattaforme stiano cercando in ogni modo di far monetizzare gli utenti più creativi o seguiti, per trattenere gli altri in un fenomeno top-down non troppo lontano dagli scouting del vecchio sistema radiotelevisivo. E in effetti, da Facebook a Whatsapp, è tutto un fiorire di community, contenuti premium, abbonamenti agli influencer, micro-pagamenti per accedere a servizi a voltedemenziali o ininfluenti (come pagare per avere una spunta blu su Twitter uguale a quella dei vip e di chiunque altro voglia pagare). Eppure da alcune piattaforme passano troppi dei fenomeni di costume e d’informazione che ormai costituiscono l’ossatura di un certo pezzo di società in certe parti del mondo: più probabile che i social continuino a trasformarsi in piattaforme di intrattenimento a tutto tondo. E che qualcuna resti fatalmente sul campo, perché l’attenzione degli utenti è pur sempre un bene finito e limitato nel tempo e nelle energie.
Smartphone e smartwatch: questione di forma (e di sostanza)
Arriveranno secondo gli analisti di Dscc altri smartphone pieghevoli – e comparti fotografici sempre più potenti – a cercare di smuovere un settore che da qualche anno sostanzialmente ristagna. Fatto di nomi, specifiche tecniche e caratteristiche che ormai – a eccezione dei modelli di punta – appartengono all’ambito dei maniaci feticisti visto che i dispositivi di fascia media sono in pratica tutti uguali. I top di gamma saranno invece iPhone 15, Galaxy S23, Xiaomi 13, OnePlus 11 e Oppo FindX6 Pro e molti altri. Anche gli smartwatch accoglieranno sensori più raffinati, in grado di raccontarci sempre più dettagli sui nostri parametri vitali e sulle nostre abitudini. Sarà anche l’anno in cui cominceremo di più ad apprezzare la riparabilità dei dispositivi, con una pressione sempre crescente delle autorità di regolamentazione europee e anche statunitensi che spingeranno a progettare dispositivi sempre più modulari, con porte universali (come la Usb-C, già usata praticamente da tutti tranne che da Apple, in arrivo) e pezzi di ricambio venduti a prezzi ragionevoli. Non è ancora l’epoca dei fai-da-te, e forse non lo sarà mai, ma ormai le persone non cambiano più un telefono ogni sei mesi, questo è chiaro e lo dicono i dati di mercato. In più la sensibilità ambientale sta pian piano trasformando in gesti irrinunciabili e valoriali abitudini un tempo snobbate, come appunto riparare-riciclare-rigenerare (basti pensare al boom del mercato dei rigenerati, da Swappie a CertIdeal solo per fare due nomi di successo).